di Francesco Casula
La Fusione perfetta della Sardegna con gli stati sabaudi di terraferma, del 29 novembre 1847, è senza dubbio l’evento politicamente più significativo dell’Ottocento sardo.
Con essa l’Isola rinunciava al suo Parlamento e con essa finiva il Regnum Sardiniae. A chiedere la “Fusione”, che verrà decretata da Carlo Alberto, membri degli Stamenti di Cagliari e di Sassari, senza alcuna delega né rappresentatività né stamentaria né, tanto meno, popolare. Il Parlamento neppure si riunì. Tanto che Sergio Salvi, lo scrittore e storico fiorentino gran conoscitore di “cose sarde” ha parlato di “rapina giuridica”.
La speranza era quella che all’interno della lega doganale italiana fosse favorita la libertà commerciale, sia nelle esportazioni che nelle importazioni. Si sperava inoltre in una maggiore libertà di stampa, nella limitazione del potere ecclesiastico e di polizia ecc.
La realtà fu un’altra: aggravamento fiscale e maggiore repressione: lo stato d’assedio, subito dopo in Sardegna, sia con Alberto la Marmora (1849) che il generale Durando (1852) divenne sistema di governo.
Gli stessi sostenitori della “fusione”, ad iniziare da Giovanni Siotto-Pintor, parlarono di “follia collettiva”, riconoscendo l’errore:”Errammo tutti”, ebbe a dire Pintor.
Gianbattista Tuveri scrisse che dopo la fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza ciore e senza cervello.
Ad esemplificare l’estraneità della Sardegna al Piemonte basta un episodio paradigmatico: Giovanni Siotto Pintor, uno di quegli intellettuali sardi che nel novembre del 1847 più si era adoperato perché si raggiungesse l'obiettivo della fusione con il Piemonte, all’ingresso di Palazzo Carignano viene fermato dal portiere. Il suo abbigliamento ( si era presentato con il costume caratteristico dei sardi , con sa berritta, orbace e cerchietto d'oro all'orecchio) contrastava con l'eleganza e severità dei suoi colleghi piemontesi o liguri o savoiardi della Camera di nomina regia. Per questo si dice che entrò nell'aula del Senato solo dopo aver vinto con la forza le resistenze del portiere che evidentemente aveva una qualche difficoltà a riconoscere in lui un Senatore.
Il secondo episodio venne denunciato con una lettera al Presidente della Camera dal deputato di Sassari Pasquale Tola, che, quando nel maggio del 1848 in occasione di una riunione con i colleghi delle altre province, rimarcò l'assenza dell’emblema della Sardegna nell'aula dove,invece, erano dipinti e diversamente raffigurati quelli delle altre province del Regno.
Con la fusione si pensava di volare. Le cose andarono diversamente.