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Il matrimonio in Barbagia (Fonni) nelle parole di Manlio Brigaglia.

Redazione
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In Sardegna i pastori e le loro greggi stanno sulla montagna soltanto fra giugno e novembre, poiché il resto dell’anno lo trascorrono lontano da qui, nei pascoli della pianura. In questi mesi l’attività pastorale sembra rallentare e fermarsi come preparandosi al nuovo ciclo stagionale, ma è in questo periodo che si fanno anche i consuntivi dell’annata, si impostano i programmi per il futuro. Ed è in questo stesso periodo che nei paesi della montagna, dove l’economia è basata quasi esclusivamente sulla pastorizia, si celebrano i matrimoni.


La cerimonia ha inizio col perdono. Il perdono che gli sposi prima di andare in Chiesa inginocchiati chiedono ai genitori della sposa. Si può pensare ad un rito morale, cristiano, che risolve le colpe della giovinezza, e così è sentito anche da chi lo compie. In realtà su un piano di verità etnografica, l’unica grande colpa di cui gli sposi chiedono perdono, è la rottura dell’unità famigliare: l’abbandono del nucleo dentro la cui legge rigorosa si è vissuto fin qui. In questo mondo la famiglia è il centro di tutto: un piccolo sistema regolato da leggi di comportamento molto precise, così anche il breve ricevimento che precede l’uscita degli sposi, “il trattamento” come lo chiamano, si svolge severo e composto come un rito.


Fra i pastori, gli uomini si sposano in genere non giovanissimi. In questi paesi della montagna infatti il nucleo essenziale della società, la famiglia funziona come una piccola azienda, che ha bisogno per produrre di tutti i suoi componenti. Così il pastore, resta a lungo come si dice “figlio di famiglia”, e soltanto quando ha messo da parte quanto occorre per la sua indipendenza, può finalmente sposarsi.


La donna in genere ci pensano i genitori dello sposo a cercarla e a sceglierla. Sono loro che controllano la situazione anche economica del proprio figlio, e possono quindi decidere quasi meglio di lui quando è tempo di accasarsi, e qual’ è la ragazza in paese che meglio conviene al matrimonio. Per tornare a casa, dopo la cerimonia religiosa si compie un lungo giro attraversando quasi tutto il paese. Il corteo si snoda con una lentezza che non è soltanto desiderio di conferirgli solennità: ogni matrimonio è qui sentito come un evento che non tocca soltanto le famiglie che vi sono direttamente interessate, ma tutto il paese. Così l’itinerario ha soprattutto lo scopo di permettere a ciascuno, di partecipare alla parte pubblica del rito, quella che si svolge per le strade. Il matrimonio, più di ogni altra cerimonia, ricostituisce quel senso della compattezza della comunità pastorale, che ora sembra talvolta essersi perduta.


Il calore e la confidenza del saluto, varia come varia il grado di conoscenza, sulla base di un rituale che non può essere frutto di capriccio personale, ma è determinato dalla natura e dalla solidità del rapporto sociale. Così man mano che ci si avvicina al proprio rione, al vicinato le soste presso le case amiche sono più frequenti; gli auguri più caldi e più numerosi.


Le donne che si fanno incontro al corteo, gettando del grano augurale sulla sposa, e rompendo subito dopo il piatto, non sanno di compiere un antico gesto di significato simbolico, propiziatorio di fertilità.
Il corteo arriva alla fine a casa dello sposo. Anche qui il primo rito è quello del perdono, chiesto questa volta ai genitori di lui. Poi vi sarà un altro “trattamento”, a base di dolci, di vini e di liquori, che precede di poco il pranzo di nozze.


Il regalo più frequente è costituito oggi in molti paesi della Barbagia, dal denaro. Esso sostituisce l’antica consuetudine delle comunità paesane di offrire doni in natura, come pecore e agnelli per concorrere a formare il capitale iniziale, per la vita dei nuovi nuclei famigliari. E’ un po’ lo stesso principio della “ponidura”, l’usanza per cui al pastore, cui sia stato distrutto o rubato il gregge, la comunità lo ricostituisce con una donazione collettiva.


La festa di nozze, diversamente da quello che si usa in tante altre parti della Sardegna, si svolge in casa dello sposo: fra i pastori infatti il matrimonio è la cerimonia con cui un nuovo membro, la sposa,  viene assunto all’interno della piccola e compatta società che è la famiglia del marito.
Il pranzo è il momento più atteso della festa; le grandi portate di carne, sono il piatto d’obbligo. Nella società dei pastori infatti la carne non si mangia spesso, perché la pecora, l’agnello in questa economia fanno parte del capitale del pastore, che preferisce nutrirsi semmai dei prodotti del gregge: latte, formaggio, yogurt. Ma l’eccezionalità della festa fa si che si mangi soprattutto carne.


In questo mondo patriarcale, la conclusione di ogni festa è il ballo tradizionale. E quando i ritmi della musica echeggiano in questo rustico ambiente, la festosità dell’occasione sembra riacquistare nella serietà dei danzatori, il suo carattere di cerimonia sacra. Fa riemergere per un attimo da un tempo dimenticato, l’antica forza di questa società arcaica.


L’autunno per i pastori da inizio al nuovo ciclo annuale, e fra poco verrà il tempo del distacco e della lunga lontananza, anche per chi si è appena sposato. Resteranno solo i bambini e le donne in questi paesi, e le montagne che sembrano intristirsi ogni giorno di più, sotto i colori dell’autunno.

Testo a cura di Manlio Brigaglia, tratto dal video diretto da Fiorenza Serra “un matrimonio in Barbagia”. (1961)

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