"A questi prezzi ci rifiutiamo di seminare". E' duro lo sfogo dei cerealicoltori che stanno pensando seriamente ad uno sciopero della semina visto il drastico ribasso dei prezzi che non copre neppure i costi del lavoro. Gli agricoltori sono sul piede di guerra e stanno iniziando a mobilitarsi in tutto il territorio. Quarant'anni fa il prezzo era più alto di quello di adesso. Il grano nel 1976 veniva pagato al produttore a 48mila lire contro i 22 euro di oggi. E se il costo del grano al produttore in quarant'anni è addirittura sceso i costi di produzione sono cresciuti a dismisura. Le proporzioni ci sono date dal costo del concime: 5 mila lire nel '76, 48 euro oggi.
"La situazione nei campi è davvero insostenibile – dice a nome dei soci il presidente di Coldiretti Cagliari Efisio Perra -. Non si può continuare a lavorare in perdita. Le aziende sono già in bilico e non possono permettersi altri debiti. Rispetto allo scorso anno il grano costa il 19 per cento meno (da 27 euro a 22), il 24 per cento rispetto a tre anni fa (29 euro)". "Latte o grano il problema è sempre lo stesso – afferma il direttore di Coldiretti Cagliari Vito Tizzano – sono le speculazioni che avvengono nel mercato che ingrassano pochi a svantaggio sempre dei produttori e consumatori. In primis l'invasione di prodotti stranieri dei quali non si conosce la provenienza e la salubrità. E' lecito – precisa Tizzano – attingere dal grano non italiano ma sempre nel rispetto delle regole e dell'etica. E soprattutto bisogna farlo alla luce del sole e non approfittando della confusione per passarlo come sardo. Oggi c'è chi approfitta della poca trasparenza acquistando a prezzi stracciati la materia prima da fuori, dove oltre a costare poco la manodopera non ci sono soprattutto le regole ed i giusti controlli che abbiamo da noi che ci consentono di avere prodotti di altissima qualità. Questo sta portando piano piano all'abbandono della coltivazione: in meno di vent'anni la superficie sarda destinata al grano è diminuita di quasi i due terzi: da circa 100mila ettari si è passati a poco meno di 40mila". "Ma quanti dei nostri pani sono realizzati con grano sardo? – e' la domanda retorica di Efisio Perra -. Aldilà delle giustificazioni di facciata - spiega - si ricorre a materia prima estera perché costa molto meno. Siamo invasi dal grano straniero destinato alla produzione di pane e pasta senza alcuna indicazione in etichetta sulla reale provenienza, con l'inganno dei consumatori e la concorrenza sleale nei confronti dei produttori impegnati a garantire qualità e sicurezza dei raccolti. Furbizie che sfruttano le politiche dell'Unione europea che non prevedono l'obbligo di indicare la provenienza del grano impiegato. Per questo – secondo Efisio Perra – serve l'etichettatura di origine obbligatoria e la tracciabilità delle produzioni, mettendo il consumatore nelle condizioni di fare una scelta consapevole". "Allo stesso tempo – chiosa Vito Tizzano – dobbiamo sviluppare quei pochi esempi virtuosi di accordi di filiera che consentano un giusto riconoscimento a tutti gli attori".