Può la cultura avere un ruolo nella rinascita dei nostri piccoli paesi?

Peppe Cau
21/01/2013
Territorio
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Intervengo su un argomento che, almeno in apparenza, ha poco a che fare con gli argomenti trattati in questo sito, sempre legati alle urgenze dell'attualità socio-economica; mi richiamo semmai a quella simpatica rubrica intitolata Il Corriere dei piccoli paesi, ormai messa in disparte, forse perché ha perso un po' della sua ragione di essere, dal momento che i nostri paesi stanno vivendo una profonda crisi e non si vede alcuna luce che faccia sperare nella ripresa.

In questa situazione, metterne in evidenza eventuali lati positivi può sembrare del tutto inutile, quasi una perdita di tempo.

Io credo di no e perciò lo faccio: a Borore, recentemente, ho assistito alla presentazione di due libri di scrittori bororesi, due libri intensi, chiaro frutto di lungo lavoro, di passione e di carica emotiva.
Uno è intitolato Le Api, scritto da Francesco Cadeddu, veterinario in pensione, appassionato e attento osservatore della realtà agricolo pastorale sarda, che presenta in modo semplice e chiaro l'interessante mondo delle api, un libro che potrebbe essere un manuale di consultazione per chi volesse lavorare sulle api, ma è anche un libro di piacevole lettura adatto a coinvolgere un vasto pubblico e portarlo a conoscere un mondo nel suo genere straordinario e di grande utilità per l'equilibrio ambientale.

L'altro, intitolato Iscalas e Pizos è stato scritto da Bastiano Cappai, Sottufficiale del Corpo Forestale della Sardegna, speleologo ed escursionista per passione, che per vent'anni si è lasciato prendere dal Mal di Supramonte e ora ha raccolto le sue esperienze e le sue osservazioni in un libro che oltre ad essere suggestivo per le fotografie spettacolari e per le incredibili gesta alpinistiche dei pastori locali, consegnano alla storia fatti, esperienze e tecniche arcaiche che altrimenti sarebbero andate perdute e che possono rendere quei luoghi di grande attrattiva anche per chi, non conoscendoli, si prenda ora la briga di sfogliare il libro.

Mi chiedo: sono davvero secondari questi avvenimenti? È proprio vero che la cultura non da pane e che, quindi, in tempo di crisi va messa in disparte in attesa di tempi migliori?

Io rispondo di no. Anzi, è proprio in tempo di crisi che la cultura può offrire i migliori strumenti per dare impulso a nuove iniziative economiche, oltreché per stabilire un rapporto più intelligente coi valori della vita.

Il fatto che anche in piccoli paesi come Borore ci sia ancora fermento culturale, non aumenta per ora la speranza di un superamento della grave crisi che stiamo vivendo, ma porta a ritenere che in futuro la rinascita sarà possibile solo se la cultura (e cioè lo studio, la ricerca e l'utilizzo di quanto è stato realizzato nel passato e di quanto la natura ci offre) si unirà alle risorse umane che offre il territorio. Se si riuscisse a trattenere e a motivare i giovani su queste cose, la ripresa potrebbe arrivare proprio da loro, come sempre è stato nel passato, perché essi, più degli anziani, possiedono le giuste risorse di energia, di spirito d'innovazione e voglia di fare.

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