Ovodda. Il mercoledì delle ceneri a Ovodda è una festa di difficile definizione. Infatti, pur ricoprendo solo l’arco di mezza giornata, acquista significati innumerevoli ed imprevedibili.
Gli elementi della festa, i rituali, la partecipazione, il coinvolgimento e la trasgressione fanno di questa giornata la giornata comunitaria per antonomasia, la giornata trasgressiva per eccellenza, "sa die de me^uris de lessia" (Mercoledì delle Ceneri)
La trasgressione è già nella data calendariale coincidente con il primo giorno di Quaresima poiché questo è il giorno in cui per la religione Cattolica si attua il passaggio dal periodo di Carnevale, in cui la trasgressività non veniva osteggiata ma limitata in un dato ambito di tempo e in convenzioni sociali ben definite, ai riti quaresimali. Mercoledì delle ceneri cattolicamente dedicato al digiuno e alla penitenza.
Mercoledì alternativo in cui una comunità si consente un’inusuale permissività di comportamento, personale e collettivo, che costituisce, necessariamente, la valvola di sfogo di conflitti e tensioni presenti nella collettività.
Una comunità che pur aprendosi verso il cambiamento e le trasformazioni sociali e tecnologiche, non riesce a farle proprie del tutto e nello sforzo di accettarle le esorcizza nel modo più liberatorio possibile, abbandonandosi ad urla, rumori assordanti, bevute collettive, danze ecc.
L’unico punto fermo della festa consiste in un enorme fantoccio denominato Don Conte, costituito da uno scheletro di ferro imbottito di stracci, di una bruttezza devastante, volgare ed osceno, che tramite congegni meccanici adotta atteggiamenti... non proprio puritani.
Viene in genere rappresentato di sesso maschile evidenziando ed accentuando gli attributi sessuali, può anche assumere caratteristiche ermafrodite, mai però aspetti solamente femminili. Il fantoccio trascinato da un carretto trainato da un asino costituisce il centro della festa.
Don Conte apre una processione profana alla quale durante il percorso si accodano tutte le persone che vogliono prenderne parte. Non esistono percorsi obbligatori, il carretto viene fatto vagare durante tutta la giornata per le vie del paese a seconda dell’estro e dello stato d’ebbrezza di chi lo guida; non esistono regole, la gente può seguire il percorso, disperdersi in gruppi, perdersi e riincontrarsi; non esistono transenne che delimitano chi fa spettacolo da chi lo guarda, la strada diventa un enorme palcoscenico in movimento dove tutti sono contemporaneamente attori e spettatori.
Il coinvolgimento rituale a questa festa avviene nell’atto del prestarsi a farsi pitturare il viso dagli iniziati. La pittura facciale è d’obbligo infatti questa viene accettata o imposta.
Un tempo, neppure troppo lontano, il colore esclusivo di questa giornata era il nero. I volti, gli abiti riflettevano questo colore. La giornata del mercoledì delle ceneri era riservata, esclusivamente, agli uomini che attuando una sorta di contrario culturale si tingevano il viso di nero e adottavano abiti vedovili femminili. A ciò si sovrapponevano elementi di oscenità incontrollata, di disordine, di rappresentazioni giocosamente drammatiche della morte e delle regole sociali comunemente accettate, per poterle poi riaffermare con più forza nel vissuto quotidiano. Pur mantenendo alcune delle caratteristiche tradizionali, nel corso degli anni, questa festa ha subito delle trasformazioni rilevanti.
La divisione sessuale che fino agli anni ‘70 comportava per le donne l’esclusione dalla giornata viene definitivamente superata con il loro ingresso al corteo e la conseguente condivisione della festa.
Agli elementi classici della giornata si accompagnano elementi colorati e moderni di travestimento estemporaneo, spesso l’abbigliamento è del tutto casuale, di oggetti vari, di strumenti musicali, di animali di tutti i tipi, di arredi urbani presi in prestito ecc..
La pittura facciale con l’aiuto della moderna cosmesi lascia spazio alla fantasia individuale e privata rispetto a quella tradizionale, collettiva e pubblica; quest’ultimo tipo di pittura continua però ad essere prevalente anche nell’uso del colore nero composto da una mistura di sughero bruciato e polverizzato amalgamata nell’olio d’oliva.
La presenza di Don Conte nelle vie del paese, accompagnato in prevalenza da bambini e ragazzi, è manifesta fin dalla mattina, ma l’ora dell’affluenza del resto della folla al corteo non è certa, dipende dai bagordi della sera precedente e dall’umore collettivo. E’ caduto in disuso il tradizionale processo a Don Conte.
Questa allegra corte dei miracoli prosegue il suo cammino coinvolgendo e trascinandosi dietro gli eventuali, pochi, refrattari. Non esiste una regia della festa. Regna solo il frastuono delle urla, dei canti ritmati al suono di strumenti musicali occasionali e scordati, di campanacci e di tutti gli oggetti più strani recuperati all’uso esclusivo di contribuire a creare rumore assordante, confusione sguaiata e frastuono.
Gli atteggiamenti di ognuno sembrano slegati dal resto della massa, ma l’insieme è armonico, di un’armonia che è data dall’accettazione della propria ed altrui sregolatezza ed esuberanza.
Al calar del sole il corteo accompagnato da lamentazioni funebri-oscene si avvia verso il ponte più alto del paese dove il fantoccio in fiamme viene sospinto.
Il corteo immediatamente si scioglie ed è questa la vera fine del Carnevale.