Gavoi. L’emozione è tangibile quando racconta la sua storia. Il trapianto. Il figlio. Lisa Cugusi ha quarant’anni, sposata con Salvatore Mura, un figlio di 5 anni, Gabriele. Il 3 settembre dell’anno scorso è stata trapiantata di cuore, dopo un anno in lista d’attesa, nove con la malattia. Vive grazie al cuore di un’altra ragazza, forse sua coetanea, che non smette mai di ringraziare. Anche ieri tramite Facebook. ....A te che sei lassù, volevo solo dirti che sarai sempre nel tuo/mio cuore...."grazie per avermi ridato la vita".... ♥♥♥♥ Lisa....E’ una moglie e una mamma come tutte le altre. Dal marzo di quest’anno è anche presidente della sezione Aido di Gavoi, l’associazione italiana per la donazione degli organi, tessuti e cellule. “Mi sento di farlo, nessuno mi obbliga”. Accetta di parlare della sua storia perché “utile a sensibilizzare la gente”. Che vede molto disinformata, anche perché “la politica spende per pubblicizzare tutto tranne le cose serie” denuncia. Quando comincia a parlare della sua storia, della sua malattia e del percorso che l’hanno portata al trapianto, si emoziona ma non dimentica una data, neppure l’ora.
“Mi sento fortunata – esordisce – molti non riescono ad arrivare al trapianto”. E’ il 2003 quando i medici le diagnosticano una cardiopatia dilatativa al cuore. “Ci eravamo appena trasferiti nella casa nuova – ricorda – mi sentivo stanca, molto affannata, e avevo sempre una leggera febbre. Ma pensavo dipendesse dal lavoro. Dapprima allo Zonchello pensavano dipendesse dalle macchie ai polmoni che mi avevano già diagnosticato. Ma le successive analisi hanno portato alla diagnosi giusta. Da allora è cominciato il mio rapporto con il Brotzu di Cagliari, dove mi recavo ogni due o quattro mesi. Dovevano tenere sotto controllo il mio cuore”. Per la cardiopatia dilatatoria Lisa doveva prendere diversi farmaci. A lei non era stato detto, ma i medici sapevano che si sarebbe arrivati al trapianto.
Dopo due anni, nel 2005, quando oramai si stava abituando alla nuova vita, Lisa ha il desiderio di tutte le donne: un figlio. “Signora glielo sconsiglio, perché il bambino avrebbe diversi scompensi” è la risposta di un ginecologo. “Deve solo avere calma e pazienza, vediamo il decorso della malattia e poi vedrà che potrà diventare mamma” è invece il pensiero del cardiologo Stefano Salis. E cosi fu. Perché nell’aprile del 2007 nasce Gabriele. “Sapevo dei rischi, la mia non poteva essere una gravidanza come le altre, perché ho dovuto interrompere tutte le cure e il cuore in gravidanza è messo sotto sforzo. Si, sapevo che potevo morire, ma ne valeva la pena”. Dopo sette mesi nasce Gabriele, sarebbe stato troppo rischiosa andare oltre con la gravidanza. Oggi ha cinque anni e sta benissimo. Per Lisa la gravidanza non è stata però una passeggiata. La malattia è peggiorata. Dopo il parto è rimasta in ospedale per circa 20 giorni per rischio trombi.
A luglio (2007) le viene impiantato un pacemaker defibrillatore sotto la cute nella zona toracica. “Ma nonostante tutto io ho sempre fatto tutto a casa. Ho vissuto sempre una doppia vita: a casa mi sentivo sana, normale, mentre quando andavo all’ospedale diventavo malata”. Nel 2010 la malattia di Lisa si era oramai aggravata e viene palesata anche a lei la necessita del trapianto. A luglio viene ricoverata, sempre al Brotzu, perché deve effettuare tutti gli accertamenti indispensabili per capire se può entrare nella lista di attesa per trapianto.
“Avviene tutto a luglio, tutto nella data del nostro anniversario di matrimonio”. E’ questo un momento importante della sua vita “perché non tutti sono compatibili, non tutti possono essere trapiantati. Io comunque mi sono sentita sempre forte, forse a volte penso anche di aver preso tutto alla leggera, di averlo vissuto con superficialità, ma fatto sta che non volli neppure l’assistenza del psicologo”.
Il 29 settembre del 2010, è un’altra data che Lisa non dimenticherà. “‘Da oggi sei in lista d’attesa per il trapianto’ mi ha detto il cardiologo, così come se niente fosse”. Da quel momento doveva tenere il cellulare sempre in mano perché la potevano chiamare a tutte le ore. “Ci sono state tre chiamate che non dimenticherò mai”. La prima avviene il 22 marzo 2011 alle 19,04. “Signora si tenga pronta a venire a Cagliari, è appena arrivato un cuore, dobbiamo fare gli ultimi accertamenti”. In quel momento il primo pensiero di Lisa è al marito che stava male “era allettato, aveva dei problemi alla schiena. E con chi sta mio marito? Risposi”. Chiusa la chiamata Lisa comincia a realizzare che era arrivato il momento del trapianto. E va in tilt come dice lei. Dopo qualche ora arriva una nuova telefonata. “Il cuore è partito in continente”. “Per me è stato un mese da incubo” svela.
La seconda telefonata arriva il 19 giugno sempre del 2011 alle 14,14. “Ho reagito molto meglio, oramai sapevo a cosa andavo incontro e cosa mi aspettava”. Anche questa volta però il cuore non era compatibile. Ed è con questa angoscia del dover aspettare il “cuore giusto”, tenersi sempre pronta per partire a Cagliari, che vive tutti i giorni Lisa e la sua famiglia.
E arriva il 29 agosto (2011). Lisa si sente male. Durante la visita il medico di base le dice di andare immediatamente a Cagliari. Viene ricoverata in terapia semi intensiva. In due giorni perde 10 kg, perché gli vengono tolti i liquidi in eccesso che per un cardiopatico sono terribili. Dopo tre giorni quando si era ripresa si sentiva pronta per tornare a casa. “‘No lei adesso deve andare lì’ mi è stato risposto dal dottor Binaghi. Non capivo cosa significasse andare lì, forse, mi sono detta, devo andare nel reparto donne. Da quel momento mi sono accorta di essere controllata da tutti i medici. Passavano, mi guardavano, mi chiedevano se andasse tutto bene”. Lisa ricorda tutto di quel 2 settembre. Alle 15 viene trasferita in corsia donne. Alle 17 squilla il cellulare. E’ il cardiochirurgo Luca Cossu che le comunica di prepararsi e partire per Cagliari “perché c’è un cuore compatibile”. “Ma io sono in ospedale” risposi “ma sicuramente – riflette ora – lui lo sapeva, loro lo sapevano tutti sin dall’inizio che mi dovevano trapiantare. Alle 2 di notte sono entrata in sala operatoria – continua –. L’operazione è andata avanti fino alle 8. Quando mi sono svegliata ricordo di avere molta sete. Rimasi in ospedale 42 giorni. Quando sono rientrata a casa ho ripreso fin da subito a fare la casalinga e la mamma. Oggi chi non sa che sono trapiantata non ci crede perché vede che faccio una vita normale”.
Certo per Lisa ci sono stati dei momenti difficili. “Non lo dicevo ma mi sentivo diversa, inferiore, mi mancava qualcosa. Adesso invece sto recuperando in autostima, sono normale, e mi sento fortunata rispetto a tanti che purtroppo non riescono ad arrivare al trapianto”. Il cuore di Lisa è arrivato da una ragazza di quarant’anni sarda. “Non so altro, sono stati i genitori a dare l’assenso all’espianto e salvarmi la vita”. Non vuole dimenticare di essere stata fortunata e soprattutto non dimentica che molti sono in attesa di trapianto. Per questo da quando ha conosciuto l’associazione Aido (“ho saputo della sua esistenza grazie a facebook”), si è messa a disposizione. Ha dato vita al gruppo di Gavoi, “abbiamo diversi iscritti e il 15 giugno di quest’anno abbiamo eletto il direttivo che poi mi ha nominato presidente”.
L’obiettivo dell’Aido è quello di sensibilizzare le persone alla donazione degli organi. “C’è troppa disinformazione, la donazione degli organi non va contro i principi di nessuna religione, tant’è che il primo che mi ha sostenuto e incoraggiato a Gavoi è don Corraine. Inoltre va fatta informazione anche ai bambini, nelle scuole. Mio figlio sapeva da subito che dovevo essere trapiantata. Oggi si spende su tutto, lo Stato paga la pubblicità per il lotto e non per le donazioni, tagliano sulla sanità e sulla ricerca e non sui costi della politica. E’ assurdo, perché stiamo parlando di vite umane”. Per questo invita tutti a isciversi all’Aido (“associazione senza scopo di lucro, apolitica e non religiosa”) “grazie al quale poi sarete inseriti nell’albo nazionale di donatori. Possono donare tutti, un uomo di novanta anni ha donato il cuore. Basta compilare un modulo”. Per contattare l’Aido e la sezione di Gavoi la si può trovare su facebook o nel sito (www.aido.it).
Alla fine della chiacchierata Lisa vuole ringraziare. “Chi mi ha ridato la vita, la possibilità di stare qua. I genitori della ragazza. Tutte le persone che mi sono state vicine, i medici. E mio figlio Gabriele”.