ATERUE.

di Natalino Piras (Disegnu de Lorenzo Vacca).

Natalino Piras
30/05/2013
Arte
Condividi su:

C’è sempre un altrove che si pone come centro. Questo può essere più o meno stabile e temporaneo, nel segno del camminare e dell’erranza. Prendete i quattro del canto a tenore, gli americani del Massachusetts e di altre parti degli Stati Uniti ieri sera all’auditorium della Biblioteca Satta di Nuoro. Hanno cantato nella folla, per la folla, con la folla. Ed erano e tali restano nelle annales, sardi come sardi, unu cuncordu, un cussertu alla stessa stregua dei cantores di Bitti, Mamoiada, Orune, Galte, Oniferi, Neoneli, Seneghe e altri aterues della nostra sarditudine. Voci narranti nel tempo del mito e della storia. L’aterue pretende identificazione in altrui stato. Non come imitazione ma nella misura delle duas limbas duas animas, dice Michelangelo Pira in “Sos sinnos”. Che è una conflittualità di codici però concorrenti alla ricomposizione in unicum come racconto di sé per l’altro. Gli americani avrebbero potuto dirci delle streghe di Salem, appunto nel Massachusetts, delle torri gemelle buttate giù quell’11 settembre 2001, del mito americano: come si aggiorna. Invece hanno parlato e cantato il nostro tempo curvo e circolare, hanno riprodotto i nostri suoni, su tumbu e su ‘erru, che si fanno musica, comunicazione musicale. Tale è il farsi dell’armonia: il feeling che unisce differenze e distanze, geografie separate da migliaia e migliaia di chilometri di monteras, mari e oceani. Cantare è pregare, stare insieme, specie nel centro dell’altrove.

Leggi altre notizie su labarbagia.net
Condividi su: