Un mucchio di anime bruciate

di Natalino Piras

08/08/2013
Attualità
Condividi su:

Istutare, istutare, istutare. La guerra durava. A Diego Rubens non interessava più  né  vivere né morire. Solo spazzava cenere e braci. Istutare istutare istutare, spegnere il fuoco, cercare di farlo. Come cosa immane, fatica di Sisifo. Istutare. Istutare. Istutare.

L'orizzonte erano  colonne di fumo. Istutare. Il prebiteru diventava un ossesso dello spegnimento. Scese al basso della foresta per poi risalire un costone di pietra rovente, riverbero di rosso sulla pietra che fu d'argento, un canalone di colata che sembrava lavica. Gli bollivano le piante dei piedi, camminava a zig zag, si inerpicava come cervo ferito. Vide cavalli morti, mucchi di cani spenti. A un certo punto, quasi in sommità del canalone, decise di deviare verso un territorio dove ancora non c'era fuoco, andalas di terra battuta e gradoni di pietrisco che entravano in quella parte di bosco. Era come un fuggire e si reputò vile. Errò tra sterpi e letti di felci, tra sassi affioranti e radici che laceravano il terreno. Ma era salvo. I piedi facevano meno male. Era nel verde iskuricore della foresta, oppresso da una cappa di silenzio irreale, come una campana di vetro che ancora non surriscaldava. Stringeva i denti, respirava affannato,  a  bocca chiusa. Gli dolevano fegato e milza, si sentiva scoppiare il cuore. Alla fine di quell'errare sbucò ai bordi di un viadotto che attraversava la vallata congiungendo due parti di bosco. Il prebiteru si sentì aggredire dal fumo. Un muso meccanico gli veniva contro, il rostro di un  camion militare lampeggiante di giallo e di blu nell'acre del cielo sbriciolato in chisina, cenere. Il camion mostruoso veniva contro e sembrava che nessun autista lo guidasse. Diego inebetito si sentì afferrare da due robusti artigli. Mani lo abbrancarono e il suono lacerante di una sirena gli frastuonò nei timpani.

L'avevano caricato nel cassone del camion e non era solo. Altri stavano seduti vicino a lui, su  panche traballanti. Altri rimanevano in piedi, muti, il volto teso e le mani che si stringevano nervose a pugno. Non fecero caso a Diego in tonaca e scarpe da tennis annerite. Gli  dettero una roncola e una borraccia "chin abbardente " - disse una voce cavernosa -  diluita in acqua, per prevenire l'asfissia.

Il fronte del fuoco si estendeva da una porta all'altra della foresta, rossa lingua del diavolo che divorava feroce il fianco coperto di lecci e sughere, pinus radiata e querce. Il fuoco risaliva dal basso in alto, al luogo di concentrazione delle pale eoliche. Poi ridiscendeva, mangiatore furioso. Oppure saltava da cima a cima negli alberi. Le colonne dell'inferno toccavano il cielo mulinando cenere e gli  alberi  mano a mano scomparivano dalla faccia della terra per fare posto ad altre colonne di fuoco e di fumo. Mangiata la cima della collina, la temporata di fiamme attaccò i pendii che portavano a valle per poi risalire verso nuovi colli e ridiscendere  nuove vallate: la valle dell'uva, quella dei cervi, la valle del Lupu.  Gli spegnitori, volontari con le frasche, forestali in tuta arancione e altre forze accudite da più parti, non ce la facevano a domare le fiamme. Vennero i canadair e rovesciarono dal cielo tonnellate d'acqua. Come buttarne  un bicchiere in un falò. Gli elicotteri roteavano in mezzo all'apocalisse ma un'altra forza diabolica li attirava a sé, come la gola di un baal. Diego Rubens ne vide cadere prima uno e poi un altro,  li sentì esplodere in mezzo alle fiamme, un boato solo un poco più forte del crepitare moltiplicato nell'aria arroventata. Bevve un sorso di acquavite dalla borraccia che teneva appesa al collo e si mosse in avanti brandendo la frasca come una donchisciottesca durlindana.  A tratti, in mezzo al fumo asfissiante scorgeva nuovi arditi istutatores che se urlavano nessuno li sentiva, voci scoppiate di polmoni esausti. Scomparivano e riapparivano. Un elicottero proveniente dalla collina sbucò all'improvviso dal fumo, come un drago alato. Si abbassò impazzito in cerca di atterraggio e nel volo radente le pale del rotore decapitarono uno spegnitore. La testa volò via come un pallone e andò a cadere in una pozza di braci, sfrigolando come una goccia di lardo bollente.  Alle nari del prebiteru ne venne odore acre, come di gomma bruciata. Diego provò meraviglia per riuscire a distinguere particolari odori in quel bollitoio di morte.

Non c'era più niente da bere, neppure abbardente tagliata. Il fronte del fumo si faceva  più spesso. Quando diradava si scorgevano  cime annerite, file disperate di alberi, grumi e  cumuli di nero. Diego Rubens prese a vagare in mezzo alla cenere e iniziò a vedere neri morti bruciati,  carne annerita. L'acre non  riusciva più a sopportarlo. Troppo. Come fosse un mucchio che si rigenerava, di continuo. Homines e fera, selvaggina: sirvones, pecore, vacche e vitelli, buoi,  intere greggi e mandrie, cervi, daini, mufloni. Persino aquile. Il fuoco era risalito sino ai loro imprendibili nidi, nei roccai che spuntavano come stalagmiti dal fondo dell'inferno. La sua stessa  pelle  avviluppava il prebiteru come in un mantello incandescente. Errava come un pazzo sul bordo dell'abisso. Come in incubo, sentendo la morte addosso,  gli venivano sopra gli incubi, garriatores di tutte quelle anime bruciate. 

Leggi altre notizie su labarbagia.net
Condividi su: