Dal dibattito Stella /Soru: Sardegna paesaggio unitario o svendita a spezzatino?

di Matteo Marteddu

03/12/2013
Associazioni
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Straordinaria la partecipazione alla presentazione del libro di Gian Antonio Stella Vandali. La sala delle caserme Mura hanno vissuto una serata di forte intensità emotiva. Non è che l’associazione Carrus ha bisogno di consenso, ma spesso tempi, ritmi e modi sono indovinati. Gente che ha negli occhi ancora le clips del dissesto di vaste aree di Sardegna e nella testa la campagna martellante di un nuovo piano paesistico che irrompe con la furia delle colate di cemento. Una miscela esplosiva e si ha bisogno di chiarezza e verità. Sete di giustizia, il convitato di pietra in quella tesissima assemblea. Certo Stella, come ha ricordato Fausto Mura, ha ridisegnato la cartina dei disastri culturali italiani, in una dettagliata antologia di brutture urbane, di colpevoli abbandoni, di siti disfatti, di antichità perdute. Una retina che copre il bel paese. Ma è stato Renato Soru ad accendere la miccia sulle questioni sarde. Con metodo induttivo, che gli è proprio, partendo cioè, dal particolare, Soru richiama il valore del PPR e delle leggi di salvaguardia sulle quali ha sfidato e scommesso per il futuro, mentre corre oggi il tentativo di stravolgere e di ributtare l’Isola indietro di un quarto di secolo. E’ questo il punto, lo spartiacque che siamo chiamati a tracciare con estrema chiarezza. E’ ormai da circa 25 anni che la Sardegna, sulla scia di leggi nazionali, la Galasso dell’85, e di una cultura maturata in contrapposizione ai master plan, ai villaggi delle anime morte sulle coste, al cemento invasivo, ha avviato un processo di pianificazione paesistica all’avanguardia. E’ verità storica che con la legge 45/89, attore principe l’assessore Luigi Cogodi, il Consiglio regionale pone la pietra miliare sulla strada dello sviluppo sostenibile e della integrazione paesaggio/cultura/ tutela e rispetto. E’ in quella legge che la Sardegna acquisisce una sua unicità armonica, componendo la qualità urbana, la presenza antropica, con il suo paesaggio, dal mare verso l’interno. Nei successivi anni novanta su questa strada abbiamo proseguito con determinazione, decidendo l’inedificabilità entro i 300 metri dalle spiagge, il dimezzamento delle zone F sui litorali, la previsione di autorizzare solo con legge eventuali grandi accordi di programma, su interventi destinati a stravolgere gli asseti territoriali e urbani. Una strada ancora incompiuta, ma certo irta di insidie e contrapposizioni; dal sindaco di Olbia di allora sotto le suggestioni di Berlusconi e di Costa Turchese, al sindaco di Bosa, che come nel medioevo gli stamenti imploravano la corona spagnola, il nostro implorava Berlusconi, usque tandem abuteris….., offrendogli su un piatto d’argento le coste intatte tra il Temo e capo Marrargiu. E’ storia che si ripete.

Ma, alla vigilia delle elezioni regionali, e Soru lo ha lasciato intendere, la scelta è netta, dirimente, epocale. Da una parte si pensa allo sviluppo della Sardegna armonizzata con il suo paesaggio, valorizzata nei suoi attrattori storici e ambientali, dalle coste all’interno, salvaguardata nei compluvi e nei corsi fluviali senza interventi invasivi e devastanti, senza cemento inutile e dannoso, in una visione unitaria della sua cultura e dei suoi territori, tra mare, coste, villaggi, città, storia e preistoria, insomma quello che oggi ancora produciamo e potremmo produrre in maniera spettacolare per l’Europa e il mondo. Parole di Stella. Dall’altra la pervicace riproposizione di una parte della politica Sarda, leggere Pittalis di qualche giorno fa, che nega la unicità della visione paesistica, per produrre un acido spezzatino, zona per zona, cemento per cemento, palazzo per palazzo, golf per golf, distesa di seconde case al miglior offerente, invasione delle coste richiamando in vita vecchie lottizzazioni sul mare. E’ una cosa molto seria che non può essere derubricata a questione tecnica o al massimo al solito irrisolto conflitto tra Soru e Cappellacci. Dobbiamo avere la consapevolezza che siamo a un bivio: o Sardegna che produce la sua forza nel mondo per quello che la sua storia, la sua cultura, il suo paesaggio unitario e unico offre, o  Sardegna che cambia pelle, esposta alle intemperie e alle temperie di speculatori e cementisti, dei loro megafoni, più o meno acculturati, ma sempre  a libro paga, che si arricchiscono ma non rendono più viva la qualità della condizione dei cittadini. La  chiarezza su questo, come si è visto alle caserme Mura, è determinante.

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