GAVOI. Sesto appuntamento con il premio Tumbarinu d'argento

a cura della redazione
05/12/2013
Arte
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GAVOI. “Educazione siberiane” è il titolo del film che verrà proiettato domani sera alle 21 nell'auditorium dell'Istituto Floris. Si tratta del sesto appuntamento del premio Tumbaribu d'argento, la rassegna cinematografica di soli film italiani, promosso dalla Proci Arci, che quest'anno ha come tema le diseguaglianze.

La trama:

Un film di Gabriele Salvatores. Con Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalji Porsnev. 

Drammatico, durata 110 min. - Italia 2013. 

Oltre il fiume Nistro' vive una comunità singolare che educa i propri figli al crimine. Onesti con i più deboli e feroci con esercito e polizia, i siberiani pregano dio e impugnano armi, predicando una violenza regolata da prescrizioni. Il crollo del Muro e del regime sovietico altera gli equilibri del loro mondo, corrotto rapidamente dall'aria dell'Ovest. Nel passaggio epocale che confronta e poi scontra la Tradizione col cambiamento nascono e crescono Kolima e Gagarin, amici per la pelle e amici nel sangue. Ispirati e armati di picca da nonno Kuzja, vengono iniziati alle rapine e alla condivisione 'comunitaria' della refurtiva. Perché i siberiani non rubano per arricchirsi ma per sostenere la loro piccola società, premurosa con gli anziani e coi 'voluti da Dio' come Xenja, giovane donna affetta da demenza. Figlia del medico locale, la ragazza è protetta da Kolima che ne è profondamente innamorato. Finito in carcere, ha sublimato quel sentimento in un tatuaggio, una tecnica di decorazione corporale che impara e affina sulla pelle dei galeotti. Diversi tatuaggi dopo, nonno Kuzja provvede alla sua scarcerazione per affidargli una missione importante, trovare l'uomo che ha abusato e picchiato la sua Xenja. Sarà l'inizio di una lunga caccia che lo costringerà ad arruolarsi nell'esercito, infrangendo codici e tradizioni.
Autore cult degli anni Ottanta e Novanta, a partire dal 2000 Gabriele Salvatores si lascia alle spalle la 'sindrome da Peter Pan', che caratterizzava quasi tutto il suo cinema precedente, per tentare la strada più ardua del film non generazionale ma teso a raccontare l'incontro fra generazioni. Sperimentatore di nuove tecniche e nuovi possibili modelli di rappresentazione, negli anni zero infila la strada della trasposizione, traducendo con esiti oscillanti (e qualche volta discutibili) due romanzi di Niccolò Ammaniti (Io non ho paura, Come Dio Comanda), il noir di Grazia Verasani (Quo Vadis, Baby?) e la pièce teatrale di Alessandro Genovesi (Happy Family).

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