Una nuova idea di Sardegna: l'indipendenza non è più un tabù

Paolo Stella
28/06/2014
Attualità
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BORORE. Ha senso parlare di autonomia, sovranità e indipendenza piuttosto che di lavoro, energia, trasporti sviluppo? Se lo è chiesto l'Associazione Nino Carrus, che ha organizzato il dibattito svoltosi ieri nella sala congressi del Museo del Pane di Borore.
Fausto Mura, presidente dell'Associazione, ha introdotto i lavori partendo proprio da una riflessione che il compianto politico bororese fece nel 1982 sulla rivista Ichnusa, parlando dell'autonomia speciale sarda come di una “esperienza chiusa” e della possibile necessità, per la Sardegna, di “sovranità statuale”. Un concetto, questo, che nella sua formulazione forse oscura per i più significa, in pratica, la creazione di uno Stato sardo.
Un contributo è arrivato anche da chi, come il sindaco di Borore Tore Ghisu, vive tutti i giorni le difficoltà di amministrare un piccolo Comune: “la nuova legge di riordino degli Enti Locali sarà la cartina di tornasole per capire se finalmente lo Stato ha capito la nostra situazione”. Secondo Ghisu, “l'autonomia è diventato un concetto vuoto, fatto solo di parole e non di fatti: con la cancellazione delle Province e lo svuotamento delle Unioni dei Comuni, per noi il destino è quello della testimonianza se non del baratro”.
“Opportuno parlare di autonomia, sovranità e indipendenza”, ha detto la consigliera regionale Daniela Forma, coordinatrice del dibattito, “in un momento in cui di questi temi si discute sia a Roma che a Cagliari: le riforme romane hanno forti ripercussioni sulla nostra autonomia, ma anche in Consiglio stiamo cominciando a lavorare sulla riforma dell'autonomia, parallelamente all'azione della Giunta”.
Assente l'assessore competente Gianmario Demuro, tocca all'ex presidente della Regione Pietrino Soddu cominciare la discussione, che vedrà impegnati anche il deputato di Sinistra Ecologia e Libertà Michele Piras e il segretario del Partito dei Sardi Franciscu Sedda. “Non ho ancora capito quale è la linea della Giunta e della coalizione che governa la Sardegna”, ha detto Soddu, “una coalizione 'poco tradizionale' che comprende anche partiti indipendentisti: per questo sarebbe bello sapere quale è la sintesi politica sul tema dell'autonomia e indipendenza, quale è il minimo comune denominatore”. Il tema, sottolinea Soddu, è di grande importanza anche perché “tocca questioni che trenta anni fa non esistevano, dalla tutela dei beni naturali alla gestione dell'informazione all'urbanistica: su questo tipo di problemi dobbiamo chiederci se la Sardegna è davvero sovrana e se ne sarebbe capace; dopo che lo Stato ha privatizzato tutti gli strumenti di intervento in campo economico, cosa resta alla Regione Sarda per cambiare questo quadro di crisi e dare una prospettiva ai giovani?”.
L'intervento di Soddu sembra più rivolto verso Sedda, indipendentista e parte della Giunta Regionale in quanto membro dello staff dell'assessorato ai Lavori Pubblici. Tuttavia, il secondo a intervenire è Michele Piras, deputato bororese come fu Nino Carrus: “la crisi economica è intrecciata inestricabilmente con la vetustà, farraginosità e lentezza delle nostre istituzioni, della cui riforma si discute dagli anni '80 senza arrivare mai a una conclusione: per questo le persone non comprendono e non credono più nella politica”. Il problema, dice Piras, “è la tenuta democratica di queste istituzioni ormai incapaci di rappresentare le speranze e le esigenze delle persone che governano”. A questo proposito, Piras afferma che “il punto di crisi dell'autonomia speciale sarda è il venir meno della validità degli articoli dello Statuto, compresi quelli fondamentali”. E a questo si lega “in modo preoccupante un clima da Vandea contro le autonomie speciali, per questo il Consiglio Regionale deve affermare la validità dello Statuto e, allo stesso tempo, proporne una riforma”.
E' stato quindi il turno di Franciscu Sedda, che ha parlato molto esplicitamente dell'indipendenza “possibile” della Sardegna: “i criteri internazionali per l'autodeterminazione richiedono una storia di autogoverno, una prospettiva democratica, secolare e multietnica e, infine, un soggetto collettivo, democraticamente eletto, che richiede l'indipendenza”. Questo è, secondo Sedda, il nodo cruciale: “io sono convinto che questo percorso ha i suoi tempi, e non deve essere unilaterale ma coinvolgere, soprattutto, chi non ci crede, perché vittima di paure ormai ingiustificate: i referendum che si terranno in Scozia e Catalogna dimostrano che esiste una via pacifica, democratica, negoziale per un'indipendenza che deve essere all'interno di un'Europa ancora più politica”. La via, secondo Sedda, è anche quella di “tirare fuori dallo Statuto autonomista tutti i contenuti più 'sovranisti', cioè quelle disposizioni che consentono di portare in Sardegna responsabilità e capacità di governo per dimostrare a noi stessi che possiamo farcela”. Il 'minimo comune denominatore' chiesto da Soddu, conclude Sedda, è questo: “la sovranità, idea più o meno condivisa e che per noi rappresenta un passo decisivo verso l'indipendenza e l'affermazione di una diversità non etnica, ma civica dei sardi”.
La seconda parte del dibattito si è maggiormente incentrata sul ruolo dei partiti in questa fase di riforma. Piras ha sottolineato l'esigenza di “ricostruire il tessuto partitico su nuove basi, comprese quelle territoriali”, e di “costruire surplus di partecipazione, una democrazia che sia più vicina possibile al cittadino: per questo, contestiamo la riforma del titolo quinto della Costituzione che vuole riportare tutte le materie concorrenti sotto la competenza dello Stato”.
“Il Consiglio Regionale rappresenta il 50% dei sardi”, ha detto Pietrino Soddu, “e la legge elettorale ha lasciato fuori la rappresentanza del 20% degli elettori, per non parlare degli scandali che stanno travolgendo tutta la classe politica sarda: manca quindi la legittimazione necessaria per contrastare il nuovo centralismo dello Stato”. Soddu ha manifestato il suo scetticismo sull'idea di indipendenza: “la storia sarda è una storia di dipendenza e servilismo: siamo diventati popolo grazie alla Costituzione italiana che ci ha dato autonomia e solidarietà, e ora sembra che vogliamo cancellare tutto questo senza conoscere quale sia il progetto concreto alternativo”.
“Di fronte alle macerie della Sardegna la classe deve riscattarsi, tornare a fare politica e abbandonare la retorica e i progetti di carriera personale; quale fiducia possono avere i venticinquenni di oggi di fronte a questo egoismo individuale che ci pervade tutti?”.
La risposta arriva, stavolta direttamente, da Franciscu Sedda: “gli atti della Giunta finora parlano chiaro sulla direzione che si vuol prendere, rifiutando di firmare accordi che vanno contro gli interessi dei sardi e lavorando per acquisire maggiori risorse e competenze”. Infine, secondo Sedda, “Soddu dovrebbe ringraziare che noi giovani siamo usciti dalle macerie senza diventare grillini né rassegnandoci a chiedere favori: la politica ha un senso, e ha senso farla da sardi”.

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