Purpuza de Gavoi

di Giulio Lobina

06/07/2014
Attualità
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A Gavoi ci sono i libri, le pietre, gli autori, i gerani e la purpuza.

I libri puoi gustarli con gli occhi,

le pietre delle case con le mani,

gli autori con le orecchie,

i gerani col naso

e la purpuza con la bocca.

Anzi, la purpuza con tutti i sensi perchè è un passaggio di sapori e profumi, di occhi che ne osservano la cottura nel pentolone nero, mani che mescolano e riempiono i panini, orecchie che ascoltano le ordinazioni e il cuore. Il cuore di una famiglia intera che con passione, dalla macelleria al garage trasformato per l'occasione in una bottega, preparano questo cibo per i forestieri.

A Gavoi, dopo che assaggi la purpuza, diventi un ospite. Un ospite gradito e con le dita che profumano di aceto di vino e salsiccia.

Avete presente la carne macinata che le nonne mettevano in abbondanza nei sughetti? Senza grasso e senza budella ad avvolgerla, un pizzico d'anice, a pezzetti grandi quanto i sassolini che i bambini lanciano nel mare o nel lago di Gusana a mezz'ora a piedi da Gavoi? Ecco, quella cotta nell'aceto è la purpuza. E la zeta è quella di zanzara.

E' un suono bellissimo. Provate a scandire la parola a voce alta. E se siete a Gavoi, passateci. Oltre il bar della piazza della chiesa di San Proto, Gavino e Gianuario, che quest'anno ha sedili e panche di latta che, a suonarle, sembra esser immersi nel suono dei tamburi. E dovete vedere il rimbombo nell'aria di quel suono quando Pietro, in bicicletta, ci sbatte sopra con la ruota anteriore!

Sedevamo al bar, quando ho incontrato Pietro, vestito di rosso come me. Su una bicicletta nera. E l'amico senza freni! Un'altra bici senza freni. E così, dalla bottega della purpuza le tenaglie hanno prima sistemato la bicicletta e poi una donna vestita di bianco mi ha accompagnato per un pezzo di strada chiedendomi se fossi io, Giulio Lobina, quello dei fiori di Gavoi, delle donne di Gavoi. Ha detto che in paese mi conoscono tutti e che qualcuno quel racconto sui gerani se l'è appeso in casa, incorniciato in un quadro.

Dunque, anche se ancora i miei scritti non accompagnano gli ospiti tra i muri di un paesino arroccato sui monti della Barbagia, c'è già chi, della prosa, ne ha fatto quadri da appendere in casa. E si diventa ospiti, ospiti graditi, tra un panino con la purpuza e i tavoloni di legno sui cavalletti, rivestiti da tovaglie di carta bianca. Accostati vicino al muro, "accozzausu" perchè il Paese non è in piano.

All'ora di pranzo è un via vai continuo di sapori, camicie, sandali, profumi, biciclette, tendoni bianchi che fanno ombra, tamburi suonati nell'aria da biciclette che si scontrano sulla piazza col suono del ferro vuoto.

Chiedete di Pietro, se andate a Gavoi. Il figlio del Macellaio. Chiedetegli dove si può mangiare un panino squisito alla purpuza o con salsiccia o con fettina di vitello e pomodoro! Io venerdì ne ho mangiati due e ho dato un morso anche a quello di mio fratello. E nelle dita, fino alla fontana d'acqua gelida avevo ancora l'odore dell'aceto. Un odore forte, sublime. Un odore che stona un po' col vino rosso squisito che ti offrono lì, ma non si può far a meno di Amare questo Paese e la sua gente.

Grandi lavoratori. Instancabili.

Viva Gavoi! Viva i libri e questo polmone di cultura che ogni anno riceve sempre meno finanziamenti pubblici, purtroppo! E viva la purpuza!

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