Ma Montanaru era fascista?

Francesco Casula
07/10/2014
Territorio
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Sabato 11 ottobre prossimo a Norbello (ore 18, Sala del Consiglio comunale) organizzato da Comune, dall’Ufficio della lingua sarda e dalla Biblioteca comunale si terrà il Convegno: Una die pro amentare a Montanaru.

Una parte della mia relazione la dedicherò per chiarire la vexata Quaestio sul “Fascismo” di Montanaru.

I denigratori e i malevoli accusano Montanaru di essere stato fascista. A parte che uno scrittore o un poeta deve essere valutato per le sue qualità letterarie ed estetiche e non la sua appartenenza politica: altrimenti dovremmo – ma è solo un esempio – sottovalutare Pirandello che aderì e si iscrisse al fascismo e proprio nel momento (19 settembre 1924) in cui il regime iniziava a mostrare il suo volto più odioso (con l’assassinio di Matteotti). E non mi consta che nessuno dei critici di Montanaru si scagli contro Pirandello. A parte questa osservazione dunque occorre chiarire fino in fondo il “fascismo” di Antioco Casula.

E’ vero nei primi anni del fascismo vi aderì. Occorre però conoscere il clima, la temperie culturale e politica di quegli anni in Sardegna in cui il fascismo tentò di presentarsi con un suo volto “sardista” tanto che corteggiò insistentemente il Movimento dei combattenti e lo stesso Partito sardo e una parte del suo gruppo dirigente vi aderì: ad iniziare da Egidio Pilia, che diventò l’uomo forte del fascismo nell’Isola e la cui ambizione fu quella, neanche tanto nascosta, di sardizzare il Fascismo: attuare attraverso la copertura fascista, i programmi del Sardismo. I sardo-fascisti (espressione ironica che i fascisti della prima ora affibbiarono ai nuovi fascisti di estrazione sardista) ripresero alcuni cardini di politica economica che il Sardismo aveva ereditato soprattutto da Attilio Deffenu: la formazione di cooperative di produttori del settore caseario che mise fine al monopolio degli industriali del settore (provenienti per la quasi totalità dalla penisola) e così, nelle intenzioni del Pili, sarebbero dovute realizzarsi le cooperative agricole, col supporto di Casse Comunali di Credito Agrario, che sarebbero dovute nascere e svilupparsi in modo capillare in ogni centro dell'isola. L'apice del successo del cosiddetto sardo-fascismo si ebbe con lo stanziamento da parte del governo, di un miliardo di lire da spendere in opere pubbliche.

A ciò occorre aggiungere che proprio nel periodo iniziale del Fascismo (negli anni 1922-1924 in cui Montanaru aderì) il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, alle dirette dipendenze dell'allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, come direttore generale dell’Istruzione primaria e popolare, provvide alla stesura dei programmi ministeriali per le scuole elementari o primarie, prevedendo fra le altre anche l'uso delle lingue regionali nei testi didattici per le scuole con il programma Dal dialetto alla lingua, nel rispetto delle differenze storiche degli italiani e per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari, partendo dalla lingua viva. L’inserimento del sardo a scuola era proprio l’obiettivo per cui il maestro Montanaru di batteva, essendo convinto assertore del valore della lingua sarda e dell'importanza del suo insegnamento nelle scuole.

Questa ventata liberalizzatrice di lingua e cultura locale durò pochissimo: con il consolidarsi del regime fascista nel 1924, specie dopo l’assassinio di Matteotti, prevalse l’enfasi unificatrice, omologatrice e livellatrice tanto che fu avviata un’azione repressiva nei confronti degli alloglotti e, per quanto ci riguarda, della lingua e cultura sarda: fu vietato non solo l’uso della lingua sarda ma le stesse gare poetiche estemporanee. Anzi, il Fascismo ben presto, ad iniziare dagli anni trenta, imboccata la strada dell’imperialismo e dell’autarchia, tenterà di cancellare il concetto stesso di civiltà regionale e di regione e abolirà l’uso del Sardo, in nome dell’italianità, minacciata a suo dire da tutto quanto era “locale”.

Così Montanaru non solo si allontana ma inizia ad essere perseguitato e finirà addirittura in prigione. E’ lui stesso a descriverlo nel suo Diario: ”La sera del giorno 16 dicembre 1927, uscito da scuola, mi avviai lungo la strada a fare due passi nonostante il tempo fosse pessimo: Mi venne incontro un appuntato dei carabinieri che mi pregò di avvicinarmi in caserma, dove io andai tranquillo come chi ha la coscienza a posto. Oltre al commissario sunnominato ci trovai un delegato di pubblica sicurezza, venuto da Nuoro, circondato dai carabinieri e agenti in borghese. Mi venne dato il fermo per ordine del Prefetto e fui tradotto a Nuoro senza che i miei sapessero nulla. Ero già proposto per il confino e sarei dovuto andare a Lampedusa. Ma questo sembrò poco ai miei persecutori che pensarono di intentarmi un processo con ben quaranta capi di accusa. Questo gesto criminoso fu la mia salvezza. Affidato ai magistrati ordinari, dopo un’istruttoria minuziosa ma sollecita, fui prosciolto da ogni accusa con una luminosa sentenza affermante che i fatti non sussistevano. Ben novanta giorni durò questa mia odissea. Che produsse dolorose rime che uscirono a brani come singhiozzi”.

Fra i capi d’accusa quello che sarebbe amico di latitanti e banditi del Gennargentu. Il motivo vero era che il regime non poteva sopportare uno spirito libero come Montanaru, impegnato per di più nella battaglia per la lingua e la cultura sarda, assolutamente osteggiate dal regime. E così continuerà a perseguitarlo e penderà su di lui, per anni e anni, la minaccia continua del confino.

Questa la verità storica: tutto l’altro è paccottiglia anti Montanaru.

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