Mondi e Storie del Supramonte. Tra Oliena e Orgosolo.

Matteo Marteddu
31/01/2015
Attualità
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Forse perché abbiamo scelto questo giorno, il giorno della Memoria, l’aria ci sembra più rarefatta. Freddo intenso, mattinata invernale, qui a Oliena. La  attraversiamo ancora sonnolenta. La cornice dei monti lassù è  tinta del bianco della prima neve. Svettano Carabidda,  Corrasi, più in là Sos Nidos, paiono irraggiungibili, confondono le loro cime con nuvole basse e nebbiolina fitta. Posizioniamo la macchina  a Maccione, tra i pochi esempi di offerta turistica montana. Si impenna subito la salita. Umidità, pioggia hanno creato uno strato  di fanghiglia che aggroviglia gli scarponi. Si sale con i primi sudori per recuperare la via maestra verso Scala ‘e Padru. Tornanti per Daddana. Accostiamo, sotto i primi torrioni, la stele del ricordo di uno dei tanti morti ammazzati della nostra Barbagia; il marmo ha quaranta anni, ingiallisce,  il ricordo, no. La sorgente di Daddana, dicono, sgorghi dal lago nascosto dentro il monte. Si prosegue nella carrareccia , larga, ha visto i carbonai che hanno sfoltito le foreste del monte. Sotto , l’immensità delle vallate verdi, tra Ischina ‘e S’Ozzastru e quei nomi avvolti dal mistero, Tumba-Tumba, Fundales , Osposidda. Orgosolo, disteso, racchiuso nelle sue storie, che da qui appaiono in tutta la loro forza epica e tragica insieme. Lasciamo sulla sinistra l’avvio di Scala ‘e Marras; sempre sotto la maestosità dei faraglioni del Corrasi. Silenzi. Un povero muflone femmina ci sbarra la strada; ha il capo reciso, decapitata, non da tanto tempo. Barbarie, senza aggettivi. Pensierosi in cammino, non facile  l’apertura di Scala Cateddu; quella che cerchiamo. L’anfiteatro di calcare, reso ancor più bianco dalla spruzzata di neve, si chiude con la cima, in fondo, di punta Sa Pruna; pieno Supramonte. Oliena e Orgosolo qui non hanno mai trovato il punto esatto dei loro confini. Ma qui si sono costruite Storie, biografie, vite di duro lavoro; testimoni muti, i resti di ovili, ai confini della realtà.  Qui si sono spezzate vite. Dopo due tentativi individuiamo l’arrampicata di scala Cateddu: Occorrono gambe e braccia per superare i contrafforti rocciosi, inumiditi dal ghiaccio. Nubi minacciose all’orizzonte;  la roccia che pende, sembra rotolare; secoli e millenni l’hanno disegnata così. Simbolo delle bizzarre architetture della catena del Corrasi. Guadagniamo  l’altipiano ; davanti a noi le tracce dell’allevamento nel Supramonte orgolese: bovini a pascolo brado, suini incrociati con cinghiali, sos accorros , tronchi cavi di lecci secolari, trasformati in contenitori di vettovaglie e radure arse dalla siccità. Verso scala S’Arenargiu, unico punto di approdo per qualche fuoristrada. Ancora ascesa; punta Solitta, solitaria nella sua altitudine, scossa dai venti di tramontana, il  ghiaccio ricopre i suoi fianchi modellati dal tempo infinito , da queste parti.  Skyline Sardegna interna. Nomi mitici di Barbagia: Su Sercone, Gorroppu, Fumai , Mandreccaia, e i villaggi arroccati alle pendici del Marghine, le creste lontano, di Urzulei, Dorgali.  Il vento ci spinge giù, il rientro è duro. Da Ala Segnora a Scala ‘e Marras. La montagna del Supramonte appare nuda nelle sue solitudini;  incoraggiano le tracce visibili di una nuova attenzione dei comuni di Oliena e Orgosolo che spendono risorse per animarla. I tratturi sono ben tenuti, i vecchi sentieri di collegamento di genti e greggi, sono riscoperti; davanti a noi quei cumuli di pietre, micronuraghi quasi, omini per gli escursionisti, indicano il cammino, danno sicurezza, segnano il tempo che qui scorre lento, disegnando il luoghi o intriga la rapidità dei mufloni che sotto di noi inseguono i loro mondi.

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