L'intervento di Gian Gavino Sedda al convegno dell'associazione S'Isprone su Mitri Urru Deliza. Unu poeta chi traballat pro s’istoria
Demetrio Urru nacque a Gavoi il 5 marzo 1885. Morì sempre a Gavoi il 28.8.1932. Questo secondo la nota dell’Ufficiale di anagrafe del nostro Comune: Giovanni Maoddi e che venne pubblicata assieme ad alcune poesie dell’autore sul libro pubblicato dalla biblioteca comunale di Gavoi E su Fodde lis servit de sonette, raccolta di poesie gavoesi a cura di Pier Gavino Sedda e Gristolu. Introduzione di Pasquale Maoddi. Sassari, Iniziative Culturali, 1986. Queste sono alcune delle poche poesie edite del poeta di Gavoi. Nel1985 ne appaiono alcune in Hontos de Meda stampato dalla biblioteca comunale di Gavoi, (a cura di Pinuccia Sedda). Alcune sono state pubblicate anche nel libro della Parrocchia di San Gavino Martire di Gavoi: Un pastore, un villaggio, una storia, a cura di Pietrina Cualbu (2000). Qui è riportata anche la Canzone Cumposta per le Figlie di Maria (1913) che manca di una sestina rispetto alla versione originale che si trova nei quaderni manoscritti. Ritroviamo anche la Canzone per la partenza delle prime suore, I gavoesi all’Argentina, ed una canzone per i caduti sotto il crollo del muraglione di S. Antioco (7.2.1921). (sa vida est unu sonnu in custos portos/oe nde semus bios e cras mortos…)
In un altro libro, I sentieri del pane, stampato nel 1990, è riportata la canzone I gavoesi all’Argentina, oltre ad una interessante ricerca della Scuola Elementare di Gavoi sull’emigrazione dei gavoesi in Argentina.
Ho intervistato la figlia di Mitri Urru, Tia Anna Urru il 28 marzo 2014, spronato dall’iniziativa dell’associazione s’Isprone che vuole ricordare “su disterru” di molti gavoesi e la figura di questo poeta.
Secondo la figlia, Tiu Mitri partì o nel 1908 o nel 1909 in Argentina. Ritornò a Gavoi probabilmente nel 1913, anno di nascita della figlia e anche anno del suo matrimonio avvenuto a Gavoi. Rimase assessore al Comune di Gavoi. In famiglia erano tre maschi (Pera, Mitri, Innassi il più piccolo) e cinque femmine: tre di queste, Maria Zuseppa, Rosa, Angela. Partirono suore (andarono in Francia, a Parigi e dopo in Corsica, dove sono seppellite) due rimasero a Gavoi. Nel 1910, a Gavoi, fu istituita l’Associazione delle figlie di Maria oltre che quella dei Luigini. In quegli anni partirono (tra il 1911 ed il 1918) almeno 8 suore gavoesi. Maria Giuseppa Urru di Giovanni Antonio, padre del poeta, partì il 7 maggio del 1914. Queste suore appartenevano alla Associazione delle Figlie di Maria. Entrarono nell’ordine religioso delle Figlie del Sacro Cuore e di Maria Immacolata (dette comunemente suore francesi).
La madre di Mitri era Anna Deligia. Tia Anna Urru, nata a Gavoi nel 1919, ed ancora oggi lucidissima, conserva una foto di Tiu Mitri in camera da pranzo, ritoccata in studio, ma non vi è certezza che la foto fosse realmente di Tiu Mitri. In una foto scattata a Buenos Aires e pubblicata in E su Fodde lis servit de sonette, che riporta una scritta in alto: fotografatto in Argentina a Buenos Aires” vi sono 7 gavoesi. Il terzo da destra sembra essere certamente tiu Pera Urru, fratello di Mitri, ed il primo da destra sembra essere Mitri Urru, notevole è la somiglianza con la foto che tia Anna conserva in camera da pranzo. Io ricordo a memoria che in quella foto, secondo alcuni anziani gavoesi ci fosse proprio Mitri Urru, oltre ad un certo Deligia, un certo Biancu e mi pare certo Gua ed altri, forse un Fancello. Qualcuno sostiene che il primo da destra nella foto fosse il fratello del padre di Franceschino Gua, anziché Mitri. Sulla questione vi è incertezza. Tiu Mitri era fabbro, eo chi so’ ferreri s’autore…cantava, imparò l’arte con Tiu Zicantoni Ibba, (b’at zicantoni con tiu Vissente) ed era fidanzato prima di imbarcarsi per l’Argentina. In Argentina deve aver lavorato come cameriere (secondo un’altra fonte orale era cuoco, secondo altri operaio). Il fratello Innassi aveva un bar (la cosa risulta anche in un quotidiano che pubblicò una pubblicità del locale ed un articolo su Ignazio Urru: Cafe y bar “La Paz” Ignacio Urru, salòn de 3 billares – especialidad para la carambola y casin. Abierto toda la noche, Yujuy (calle) 2864 Rosario. L’articolo si intitola: “ El triunfo de los buenos. Ignacio Urru es todo un voluntarioso si esordisce, Segue una foto di Dbe Jgnacio Urru, terminando dicendo: Oriundo de Sassari ha empleado en la elaboraciòn de su porvenir ya asegurada, todo el caracter fuerte de la region donde …(salìa?). Afable y circuspecto, se ha rodeado de numerosas amistades que lo aprecian con toda sinceridad…. Lo presentamos como un ejemplo de probidad y actividades… Nella pagina appaiono anche altre due foto, una del locale e una sua caricatura con ai piedi un libro e monete raccolte in un fazzoletto (almeno sembra). Partito nel 1908, tornò a Gavoi nel 1921. Si sposa nel 1922 e a Gavoi apre un bar ed un negozio di coloniali e tessuti.
Tornando a Tiu Mitri, la figlia non ricorda dove fosse andato se prima a Buenos Aires o a Rosario. Di certo la poesia de sos emigrantes gavoesos, a lui attribuita, chentubintises in su totale, sembra essere scritta a Buenos Aires nel luglio 1909. Questa Poesia dal titolo I gavoesi all’Argentina, Cantone sarda, venne stampata a Sassari dalla Tipografia Giuseppe Dessì con la data 11-1909. Un foglio volante che vendeva per duos soddos Tiu Zuseppe Marche di Gavoi, anche dopo che Mitri rientrò dae Merica. Nel foglio volante appare anche la data luglio 1909 ed il luogo: Buenos Aires. Secondo alcune fonti a ponnere in istampa e a la bendere custa canzone de America udi istau Tiu Jubanne Antoni Mameli.
Tiu Innassi era il più piccolo dei tre fratelli, secondo Tia Anna, ma quando si parla di (massimamente su frade minore, mai nde bessit dae vagabunderi.., la canzone fa riferimento a Mitri. Tiu Pera, in frades Urros iscriene in paperi… è il più grande. Tutti e tre emigrarono in argentina, ma in tempi diversi. Non rimasero mai tutti e tre assieme.
Tiu Pera rientrò dopo Mitri. E al suo rientro regalò una collana a tia Anna.
“Sa mama ‘e babbu”, ricorda la figlia, “si chiamava Anna Deligia, iscriviada, dopo che Mitri scrisse la canzone della lunga malattia, la madre aveva risposto. Di questa poesia non è rimasta traccia, la conservava Francesca. Tot’as tres sorres udini cada die pregande po issu.”
Tiu Sarvadore Sedda udi fradiele de Mitri (atteru gavoesu emigrau in Rosario e poeta issu puru n.d.r.).
“In su 1923, Tiu Sarvadore Sedda, fut ghirau dae America e aviana ‘attu una ‘esta in bichinadu cun duas pizzinnas minores biondas, tando avio 4 annos e mi l’ammento. Cun Tiu Franziscu Sedda Coanu, atteru poeta de Gavoi, trattavana meda.”
Sembra certo che, dopo la parentesi di Buenos Aires del 1908-1909, Tiu Mitri si ritrova a Rosario Santa Fè, nel 1912, dove scrisse anche la poesia La libertà dei poveri, firmando la poesia con la scritta ”autore Demetrio Urru Deligia di Gavoi in Rosario Santa Fè. 1912”.
“Su babbu de Zizzu Lavra, forzis fut modiu in su 1907 o 1908, udi cumpanzu de Tiu Mitri. Navat chi una vorta udin pulinde una fogna in Buenos Aires, s’ut settiu e lis aviat postu una canzone e udini po lu picare a perda, po ca lis cantavada comente udini muircande sa merda. Tiu Lavra udi abbarrau deghe meses paris cun Mitri poi ‘u torrau. An triballau isperdende tilipriche, tundende, sun abbaraos unu mese tundende una borta, in roba de lavore cun trebbias, “nos davana unu licore, vocavana su sudore dae intro ‘e s’oricra navat babbu.” (Fonte Zizzu Lavra, 15.5.14)
Tiu Mitri scriveva di sua mano. Alcuni manoscritti circolano a Gavoi. Un quaderno lo scrisse Caterina, la figlia, “babbu liu at dettau.” Lo avevano dato in prestito a un gavoese che lo perse, era pastore, lo prestava spesso, era affumicato perché circolava negli ovili. Tiu Franziscu Sedda ha trascritto numerose poesie per conto suo, attribuendo sempre le poesie a Tiu Mitri e mettendo la data della stessa o la data della trascrizione con un timbro a secco.
In un quaderno trascritto da Francesco Sedda, appare, con un timbro a secco nel frontespizio, il nome Sedda Cidu Francesco, Gavoi 24.10.1914, dal titolo Canzoni Sarde: vengono riportate due canzoni di Tiu Zurru all’inizio (autore incerto si diceva, era il 1913, ma sotto vi erano tra virgolette le inziali dell’autore “G. Z.” Giovanni Zurru appunto. La poesia intitolata canzone sarda, di Tiu Zurru, esordiva: “Miserinu poeta cal’est s’astru/ chi t’at ispintu a cantare in poesia…” la seconda poesia Iniziava con “Medas tenene in odiu a Moddone e si riferiva alla nota vicenda de sas carmelitanas: “Contra de me bogadu azis ‘iscaglia/ sas chi de sa suttana sun corrottas” .
e nella nona ottava dice:
E cantos sun de custos ruinados
Omines in sa menzus pizzinnia,
medas sun in America emigrados
ca sufffrire sas sorres non podian(n)
si sun fuidos che disisperados
pro non fagher degollu in familìa
oe biven cun pena, e angustìa
odiande s’insoro nazione.
Medas tenen in odiu a Moddone.
Continuando contro su preide:
In bidda mia ti ponen tropea
Ca ses faghende a caddu istellone.
Sa bestia niedda de malu pilu
Sa chi cheres sa bidda triulare
T’avverto a incuru leadilu
Chi a mie non torres a chircare…
In un altro verso “Ca cherene s’anzena murigare/ e sa padedda insoro est affumada… Questo per dire del clima poetico dell’epoca.
La prima poesia di Mitri in questo quaderno è una Canzone Sarda cumposta per la disgrazia dell’autore. Qui descrive la sua lunga malattia in Argentina:
primu die de austu mil’ammento oras cant’in terra app’a durare… e su dottore: custu mi visitesit cun amore et declara chi fit sa viruela (su murmujolu, il vaiolo) connoschende severu custu male/ mi manda prontamente a s’ispidale” con Ziu Cosomo Sedda in cumpagnia…
Quaranta ottave dove dice che “Pro finis battor meses so istadu, in custu logu su pius tiranu…” (Rosario, 1912) Seguono altre 21 poesie di Mitri Urru, non in ordine cronologico, scritte tra il 1910 ed il 1914, alcune a Buenos Aires altre a Gavoi.
Nella poesia (p. 93) Canzone de amore, l’incipit è: Non creia columba fortunosa…
Ci racconta parte del viaggio che si faceva per andare in Argentina, unu mese e ses dies navighende…Una canzone de 36 ottadas torràs, che ci parla oltre che del viaggio anche del rapporto d’amore difficile e contrastato dai parenti in quel periodo:
sos tuos mi cherian disterrare
unidos cun sos mios uguale
e s’affettu nos cherian privare
c’aviamus de coro liberale…
e Tiu Mitri sembra emigrare per amore: da ponente a levante in terra istragna / pro cumbincher sa zente inbidiosa.
Parto dolente e lasso sa Sardinna
Parto però cun dolu e sentimentu
Nende adiosu amabile pizzinna
Deus nos ghie su nostru intentu
In mesu mare una tempesta indinna
Nos at postu tres dies in turmentu
Perdidu amus sas forzas e talentu
Culpas d’una maretta burrascosa.
Dove sa zente ch’est in mare navighende/ sa vida insoro est sempre dubitosa.
A dogni pena e dolores resortu/ a tales de ti tenner in podere…
Passo su Portogallu e cun dolore
Passo s’Ispagna e semper in tristura
Remediu chirchende pro s’amore
C’aia a tie amabile turtura…
Alla fine della canzone Mitri sembra tornare dalla sua amata.
Pustis chi tantos annos so’ istadu
girende terras e mare in tantu pena.
Tia Anna attribuisce la grafia di alcune poesie contenute in un quaderno con fogli numerati a Tiu Mitri (Solu sento amada mia sos coros de separare (p. 85).
Tia Anna ricorda anche di una poesia contro Zuvanneddu Urru, nepode de Tiu Pera Mameli, ma non ricorda i versi. Ricorda sa poesia “Su Sonnu” ed una Canzone cumposta per le figlie di Maria. Ricordando che Sas ‘Izzas de Maria era una associazione nata attorno al 1913 a Gavoi, tipo l’associazione cattolica, avevano come segno distintivo: una medaglia con un nastro celeste, chintas in costumene. Allora era parroco di Gavoi Rettore Calzone, di Bitti, rimase a Gavoi dal 1908 al 1947, anno della sua morte. Tiu Mitri nella poesia per le Figlie di Maria si riferisce con astio a su Rettore: …cun su rettore vaghimus duellu/ s’agatto a sorres mias medagliadas…
E ancora:
S’agatto a sorres mias medagliadas
Sa parte mia ded’esser notabile
Ca tantu est su rettore su curpabile
C’a manu sua las tenet ligadas
Las at pro pagos soddos comporadas
Reione chi sa zente sin de ria’.
Accusando le giovani figlie di Maria che: “in manos an sa santa filotea/in buzzacca sas litteras de amore… E su chi ponet in fastizzos a Mitri:
…
“ch’una tale suggetta ha duos fizos
E fatt’a bottu de sa verginidade
Atteras puru in sa sociedade
C’an fattu giuramentu in sagrestia.
Tiu Mitri era sempre mastru ‘erreri e lamearzu. Faceva broccas, malunes, pischeddas de casu, ringhieras, leppas. Un ufficiale gavoese fece in modo che lui evitasse la guerra, andando ad Ozieri, si imboscò, da li tornò con una ringhiera in ferro battuto che ancora si trova a Gavoi, trasportata da Ozieri col carro a buoi, ringraziando l’amico per il favore fatto. Il disegno della ringhiera lo portò con se dall’America, dae Argentina.
Tia Anna ricorda ancora alcuni versi a memoria che non troviamo nei quaderni. Un sogno fatto da Tiu Mitri in Argentina. Oh sonnu curiosu…:
Sonos de allegria
chi app’intesu e mi che arrizzo in presse
l’appo nadu Tia
custu sonu inue ch’ada a esse’?
…
Issa m’at nadu calla!
Chi non ch’intenda s’abrusore fizu
Ue sonan e ballan
Est a che Marianzela ‘E Lizza
Sa fiza ad’isposau
Però chie ‘u s’isposu non m’at nau.
Subitu movesi
senza si nd’abbizare sa ‘ighina
dae foras miresi
e bid’appo su ballu in sa coghina
…
Pera, Zuanne e Rosa
M’ana fattu de manu dae tesu
M’ana nadu una cosa
Però niente lis appo cumpresu
Paret ch’an faeddau
Che in prima su nostru costumau.
Tia Grassia Mazzone
A tiu pera l’at dadu unu ‘asu
L’at nadu attenzione!
Grazia non mi toghes a su nasu.
Di questa poesia si ricordava anche tia Rosa Zurru (di 91 anni) che in una intervista da me fatta nel 1987 diceva che tiu Mitri dall’america, dispiaciuto cantava:
Tia Rosa:
Cantemus a manzanu
O cantemus a merìe
…. Ego a tie
Puzzoneddu americanu
Sa novas t’appo a iscrie’
Cun s’aneddu in sa manu.
Mitri:
Oh! sonnu curiosu
Chi m’appo vidu su sapadu santu
Essende in su reposu
M’incontro in allegria e no in piantu
Sicomente dromia
Divertinde in Sardinna mi parìa.
Passende in sa funtana
Fia cun d’una a foeddu a foeddu
Boghe bettadu m’ana
Tia Pira da su tauladeddu
Subitu ego b’andesi
E supra un’iscofitta mi sezzesi.
(Questi versi poi li ricordava anche Tia Anna Urru)
Tia Anna si ricorda che Michele Costeri trovò registros mannos in sa domo de Tiu Maoddi, iscrittos da Tiu Franziscu Sedda Coanu. Mi los dazes? Chiese, Udini tres cuadernos, dazemilu unu, l’appo fotocopiau. Poi non los appo acattaos prus. (che los depede aer picaos unu chi teniada una falegnameria in cue). Questi quaderni contenevano poesie di Mitri Urru.
Tiu Mitri udi omine divertiu. Cando fu morta Mama Lai aviat postu unu muttu e ud’essiu a sorgonittos, “Morta ch’est mama Lai, a sos novantaduos, morta ch’es mama Lai, sos suos duren gai, a sos novantaduos, gai duren sos suos.” Fudi unu tipu alligru chi organizzavada finas in carrasecare. (Mitri, Bainzu Ibba cun Taccone…)
Queste sono le poche notizie sull’uomo, che magari potrebbero ricostruire meglio i nipoti ed i parenti.
Rimane invece ricca la produzione poetica di Tiu Mitri grazie a diversi manoscritti che sono stati conservati e che circolano fotocopiati a Gavoi. Io conservo, fotocopiati, due quaderni che mi erano stati lasciati da Tia Anna Urru. Lei ora non ricorda di averli e sembra non ritrovarli più.
Un quaderno con righe e quadretti laterali, intitolato Componimenti è di 170 pagine, molto vecchio, sembra essere scritto interamente da Tiu Mitri di sua mano. Questo posso affermarlo confrontando la sua firma con le poesie scritte da lui. Ho trovato la sua firma “Urru Demetrio fabbro” in un documento, inviato al Vescovo di Nuoro in data 20 aprile 1924, che ho fotografato e che cercherò di farvi vedere dopo, dove si chiede di rinviare la festa di Sa Itria al 7-8-9 agosto di ogni anno con decorrenza della novena dal 1° dello stesso mese. Il documento di cinque pagine, manoscritto, termina con la firma di 76 gavoesi. Primi firmatari sono Mastio Francesco proprietario, Maoddi Giuseppe negoziante, Lavra Antonio possidente. L’elenco dei firmatari è numerato ed al n. 66 troviamo appunto Urru Demetrio Fabbro ed al n. 67 Urru Ignazio negoziante.
L’altro quaderno dello stesso formato, ma meno antico, ha 162 pagine numerate. Nel primo quaderno vi sono circa 20 canzoni, alcune contenute anche nell’altro quaderno. L’ultima risulta incompleta (Vinti7 annos fit sa mia edade…) e le ultime pagine molto rovinate. Qui vi è la poesia La libertà dei poveri scritta a Buenos Aires il 19.12.1910 di cui parleremo più avanti. Mancano inoltre alcune pagine: la 159 e 160 e le pagine da 163 a 168.
Fa impressione la varietà di metri utilizzati dal poeta nelle canzoni di Tiu Mitri Urru:
Gosos, ottada serrada, ottada torrà, sestina torrà, sestina, sesta lira, cinquina in tre, quatordici retrogato, ottava con settimo verso settenario, un dieciotto o diciotto, quartinas, anninoe, ottava rima torrada (8+2 che si ripetono), cinquantanove retrogato, una quindicina di metri diversi.
Oltre alle poesie d’amore, Mitri scrisse anche 49 ottave sulla vita e morte dei poveri lavoratori, senza data, ma pare scritta in Argentina.(Ant. al 1914)
Sos chi bos mustran cara de allegria
Custos sun chi bos ponen’in masellu
E bois lis tratades cortesia
Tirandebos pro isso su capellu
S’affettu insoro es totu tiranìa
Zegos non cumprendides su modellu
Ca viven issos de grande signores
De sos vostros trabaglios e sudores.
E la denuncia sociale si fa più incisiva:
Caros frades e sorres chi restades
Isclavos de s’infame traditore
Umiles e onesto bos istades
Servinde a isse, e faghendeli onore
Gai continu sa vida passades
A cumandos de unu usurpadore
Brivos de ogni gosu e allegria
E cattivados da s’economia.
Bos lean totu su chi trabagliades
Pro sas legges tiranas e ingratas
Poveros chi sa terra coltivades
Pro sos chi gosana in sas piattas
E bois cun dolore bos cibades
D’erbaggios e farinas artifattas
E isso cun chietarras e sonettos
Unidos in issalas e banchettos.
… E canta zente restat aturdida
Pro perder sa salude in disciplinas
E cantos puru an perdidu sa vida
In galerias, fabricas e minas
E cantos si nde’est bidu cun dolore
Guastados e privos de lugore.
Sos bravos e felices proletarios
Cun sudore abellides su terrenu
Però civiles e millionarios
Padronos sunt de su trabagliu anzenu
Ca sos ch’usurpana sun’immaginarios
E cando furan, furan in pienu
Si lean tottu e cuntentos si nd’andana
Ca issos faghen legges e cumandana.
Il mondo in sostanza es reduidu in pagas manos
Dove s’ainu pappa paza e lu bastonan
E molina su trigu a su mannale
E si non gira non deli perdonan
A su poveru costat s’iguale.
E su poveru est sempere odiadu
Finas a pustis mortu abandonadu.
Su poveru est continu cun lamentu
Pro culpas de sas legges maledittas
Inie resta solu in su pamentu
Senza preides dottores e visittas
E pagos suni in s’accompagnamentu
Senza rughes né abbas benedittas
A zertos pro disfregiu li dana
Pro beffa duos toccos de campana.
Morit senza nessunas funziones
Unu lu sighit pro l’accumpagnare
Fingi’ chi sia nende oraziones
Fattende laras senza calculare
Forzis den esser malediziones
Ch’est mortu tristu e non podet pagare
E gasi sos peccados non perdonant
Ca sas bottiglias in mesu non sonant.
E ancora:
…
In sas carrelas lu passan currende
Senza fagher perunu pasatoriu
Unu lu sighit e batto’ afferrant
E gasi che l’imbolat e l’interran.
Mentre per i ricchi :
sos sacerdotes benint che crabolos
Currende dae dogni sagrestia…
E
A su riccu li faghene tantu onores
Ca l’ischin cantu in domo b’a lassadu
Parracos, sacerdote e rettores
Dae dogni paisu est avvisadu
Si pagat benit finas Munsignores,
ch’est pro su soddu su Deus amadu
ca si nos sezis ne prata ne oro
non funzionat su deus insoro.
Ed dei preti dice:
pro su ‘inari sa ‘oghe l’intonas…
e finisce la canzone:
e dai cussu est sa creja sagrada
una grutta de ladros diventada.
Altra canzone sarda simile per i toni a questa appena accennata è La libertà dei poveri, scritta a Buenos Aires il 19 gennaio 1910 come già detto. Sunis 33 ottadas.
Partide gioventude pius benigna
Prite in Sardigna bos istades?
Apenas chi partides dae Sardigna
In dogni passu a Deus incontrades
Finendo l’ottava:
lassade riccos e proprietarios
sos ch’a sa povertade sun contrarios.
…
Partide tottus cun animu forte
Però partide. Sos isfortunados
Amigos de sa trista mala sorte
Cun su coro dolentes umiliados
Donzunu a custa terra si acconnorte…
Partide ch’incontrades sa vortuna
Tristos disfortunados servidores…
In un’altra ottava la nona:
Sos chi andades peri sas buttegas
Fatende vestas in salas unione
Sindigos, cunsizeris et collegas
Ingannu de sa populazione
Custa orta isligamus sa piegas
Non ristet in Sardigna una persone…
Ed alla dodicesima:
mammas chi pianghides unu vizzu
pianghide su ch’adis in Sardigna…
e
…sun suspiros e lagrimas invanu.
Pro su ch’ades in Merica vivente
Mai non bos fissedas in memoria
Anzis nade cun boghe allegramente
“Deo unu vizzu che tenzo in sa groria”
Non b’est prus in Sardigna penitente
Como tenen in manu ogni vittoria
Ringrazio su Deus soveranu
Ca de sos tales non b’est piu in manu.
In Merica appenas arribadu
cun modu riverente lu contesta(n)*
Cun modu riverente est saludadu
Da sa gente onorabile e onesta…
Cuddos chi sedis de sorte mischina
In mesu de turmentos e affannos
Imbarcade a sa grazia Argentina
A su logu ch’est liberu de dannos
Solu su chi chi ‘alanza de propina
Manch’in paga in Sardigna in battor annos…
Ed ancora
…
Partide a custu logu de allegria
Pro ch’est cura de dogni maladia.
29.
Duncas partide tottu a coro sanu
Abbandonade terras e paisu
Tristos chi sa vortuna ades in manu
Non bos perdedas custu paradisu…
L’ultima ottava:
Finis bos appo tottu ispiegadu
Dendebos perfettisimos signales
Ecco sas rimas mias liberales
Non sun cuddas ch’in vanu an’istampadu
Sa chi tantas camorras han mandadu
Non de crededas amigos corales
Solu creide custas chi relatto
Ca fin’a morre su giustu bos fatto.
Qui potremmo supporre che Tiu Mitri si riferisca alla conosciutissima canzone degli Emigrati gavoesi, scritta pare 5 mesi prima, che non appare nei quaderni che ho potuto consultare, se non l’ultima ottava della stessa che sembra copiata dal foglio edito a Sassari (corrispondono punteggiatura e scrittura) e che sembra scritta in tempi più recenti, in aggiunta alle altre contenute nel quaderno che riporta anche in indice manoscritto. (Il quaderno è quello più nuovo, e contiene anche la poesia Sa Tusura, di 15 ottave, scritta da Mitri Urru, ma non è datata) La grafia di queste due poesie è la stessa, ma è diversa da quella di Tiu Franziscu Sedda.
Forse Tiu Mitri pensava che la poesia de sos emigrantes “chi invanu ana istampadu” (nel caso si fosse riferito a questa) fosse stata apposta pubblicata per screditare l’Argentina come terra di speranza e di lavoro, visto che in più parti si sottolinea il fatto che Segnores, prinzipales cavalleris/parene remitanos de Oniferi e mentre alcuni se la passano allegramente altri sa vida suni passende in abbolottu.
Frades Mattos non tenent una lira
Tottus sunis torrados a sa Santa
E Zua Podda e Boboreddu Satta
Como sun disizande sa patata
Sun chentubintises in su totale, nada sa cantone, sos chi partidos suni in Argentina
Non chirco differente raighina, solu sos de Gaboi naturale, est custu su totale in sa comuna, si mi nd’ad’olvidadu est pro fortuna. E la poesia ne elenca veramente 126, se andiamo a contare sono 125, ma probababilmente quando si parla di frades a volte potevano essere più di due o tre. (Sos frades de Mitri Sedda po esempiu, erano emigrati in tre)
Contraddizioni poetiche.
La canzone finisce dicendo:
Si binda maccu mandademichelu
Si cherides sienda acquistare
Ma sos bonos lassadelos istare
Ch’est pro sos castigados custu chelu
Ca s’America est tottu a su travessu
Formada solu pro unu iscunfessu.
E dopo l’inizio e la fine di quella canzone, mi sembra lecito il dubbio che Mitri Urru stesso sembra insidiare, visto che per l’ottanta per cento della canzone si scrive dicendo che l’emigrazione in Argentina non sia una buona idea. Ma non prendetemi troppo sul serio. Che questa poesia l’abbia scritta qualche altro poeta? O che sia stata manipolata? Perché è stata l’unica pubblicata in quell’epoca? E perché est custu su totale in sa Comuna? E’ possibile che “Giuanne Lizza su vagabunderi/ si meritat sa rughe ‘e cavalleri”? Sembra una poesia più scritta per “canzonare” o farsi beffa dei poveri emigrati. Sembra un elenco degli emigrati risultanti all’anagrafe del Comune piuttosto che un elenco spontaneo di gavoesi fatto in Argentina. (anche se tra i nomi citati nella poesia, 126, sembrano mancarne almeno 7 di gavoesi emigrati nel 1908, come riporta un registro dei passeggeri del Lloyd Italiano). Ma questo forse è un punto a favore di Mitri Urru nel considerarlo quale autore della poesia. Sembrano mancare elementi spazio-temporali riguardanti i personaggi citati nella poesia. A parte un “non d’appo bidu nen goi nen gai”. Se Mitri ha scritto nel 1909, come poteva sapere di quei gavoesi emigrati dopo di lui, con certezza, come faceva a sapere dov’erano e cosa facevano e come stavano? Mirae chi S’Argentina est manna. Forse solo con lettere e col passaparola? O forse incontrandosi da Salvador Sedda A Rosario? Era li che spesso si riunivano i gavoesi e vi facevano recapitare parte delle lettere inviate dalla Sardegna e pare che si riunissero per parlare in sardo e fare anche poesia. Lì, secondo alcuni, fu composta la poesia attribuita a Tiu Mitri de sos emigrantes. Fu sempre lì che il 20 luglio 1933 fondarono la Società Assistenza Mutua Fratellanza Sarda per dare assistenza medica durante i periodi di malattia, in cui si trovassero impossibilitati al lavoro, ed, in caso di morte, un sussidio alla famiglia dei medesimi, per contribuire a suffragare le spese di defunzione, come recita lo statuto. (v. I sentieri del pane, Gavoi, 1989)
Qui bisognerebbe controllare documenti e tempi precisi dell’emigrazione negli archivi pubblici e privati. Secondo alcune fonti un gruppo di 60 gavoesi partì assieme per l’Argentina, probabilmente nel 1908. Sicuramente almeno 23 gavoesi partirono il 5 settembre 1908 col vapore Virginia con destinazione Buenos Aires. Altri 12 partirono il 20 settembre 1913 col vapore “Indiana” sempre per Buenos Aires (v. Registro dei passeggeri del Lloyd Italiano, società di navigazione con sede principale in Genova – sede di Napoli, rappresentanza di Fonni-Gavoi. Ma c’erano anche altre compagnie di viaggio come la Rubattino come ricordano alcune fonti.
Di certo la poesia de sos emigrantes contrasta in parte con ciò che più volte ha scritto Mitri nella maggior parte delle sue poesie.
Alcuni versi lasciano il dubbio: nella prima ottava iniziale si chiude con: consolu de Cordesse e Mattulone/ e de me cun carc’attera pessone. Poi però troviamo Frades Urros iscriene in paperi/chi santu non de tenene in favore…
A Lillore li narat su connau/ est fattende dinari cantu mai…
Pera Soru e Larentu vagabundu/bos declaran diversa chistione…
Pera Coi soe mesu dubbiosu/ chi l’andet in derettu sa fortuna…
Anche una ottava ci dice:
Giuampaule Ibba nat de prontu
Lassade a contu meu sos terrenos
Cosomo Cidu sos meres anzenos
Cando bi torrat los ponet a montu
Ambos Dominicheddu e Perdu Contu
De pratta e oraria sunis pienos
Giuanne Lizza su vagabunderi
Si meritat sa rughe ‘e cavalleri.
Batto’ de custos chimbe non non suni mai torraos a bidda. Tenzo in dubbiu Tiu perdu Contu. Chissai chi appen’attu abberu fortuna.
Anche Antonello Satta in un un convegno tenutosi a Gavoi il 19.9.1987 sosteneva che “totu sos chi sun torraos, mai si sun ghettaos a chistionare male de s’Argentina”.
Ma questo e solo un dubbio. Atteru poeta non d’est ‘essiu a campu.
D’altra parte i ricordi di alcuni familiari di Mitri Urru ci dicono che la canzone era stata inviata dae Merica e trascritta poi in un quaderno. Poesia che all’epoca circolava non solo a Gavoi ma in molte parti della Sardegna. Su babbu de Zizzu Lavra, su cumpanzu de Mitri, navat chi l’aviat posta issu sa cantone.
Forse bisognerebbe avere a disposizione una più completa documentazione e maggiori testimonianze su questo poeta, cercando di riunire tutto il materiale sparso a Gavoi. Di certo è stato un prezioso testimone della vita della comunità, contribuendo a fare la storia non solo poetica di Gavoi.
Oltre a poesie d’ispirazione socialista, oltre alle poesie d’amore, a quelle per lutti e molte altre, Tiu Mitri sembra indirizzare alcune poesie ad un suo cugino, Salvatore Sedda, anch’esso emigrato nel 1910 secondo alcune fonti.
Nella poesia Risposta di una canzone composta per il medesimo autore, scrive nella 4°ottava:
Rispondemi unu pagu Salvadore
Prite discutes e ti vittuperias
Da no aer cumpresu sa materia
T’es mudadu in oscuru su colore
S’aias segheradu su dolore
Ti fistis aunidu a sa miseria
Sos dolores t’amentan su cantare
Ite t’at fattu su non t’abizzare.
Tue ti ‘antas chi ses onoradu
De conduta e istirpe signorile
Prima t’aia segundu fradile
Como ses can’anzenu abandonadu…
Continua dicendo:
de sos cumpanzos mios bentuleris
sa matessi conduta apo m’as nadu
bin’in su contu chi an’istampadu
m’an postu imesu a sos iscabezzeris
ma su c’apo gastadu in sos zilleris
no l’apo da sos santos usurpadu
so de bagamunderis no’ mi vrango (bagamunderi e non vagabunderi come si dice in quella stampata)
niente devo, e niente piango.
Ancora:
Des faghere a sardigna sa torrada
non ti casa restare in S’Argentina
pro passare in sa terra milesina
ue tenes sa tumba preparada
ue pro tene su masellu b’ada
cas’a piangher sa sorte mischina
non ti lu naro pro m’allegrare
es ca ses in orvidu a l’amentare.
…
Com’as rejone si mind’isto vriscu
Ca milliones non potto torrare
Ca no ap’antas de mi sullevare
Non dinaris de Dominu Bobiscu
Malu pro tene l’as fattu s’arriscu
Ca depias da prima istudiare
Non bi potto torrare ricu vattu
Ca no apo inaris d’ampar’attu(?).
…
Imputadu as infamias pro me
Creias chi ti davana sa sorte
…
A manu tua t’as dadu sa morte
Pro chi discurrer non podes in se’
Como poetta ses bessidu a nou
Pro castigare su sambene tou.
E poi prosegue invitando il cugino ad inviare altra lettera ma con muttos po mi cosolare.
La poesia non è datata.
Sappiamo che il cugino Salvatore Sedda, pubblicò nel 1919 a Rosario, nella Imprenta y Libreria Americana de Longo y Argento, a Rosario Un opuscolo di 15 pagine, una poesia in ottava serrada, di 40 ottadas: Risposta d’una canzone infamante d’un mio cugino. Riferita certamente a Tiu Mitri per ciò che dice nei versi.
L’autore dice: Io l’autore Salvatore Sedda, non avevo mai intenzione di rispondere ad un mio proprio cugino, ma si come le uno adulatore vano, e di più mi posi una canzone, della quale era una difamazione, e pure non feci caso, lo perdonai non basta la prima e mene mise unaltra, nella puale parla di nuove rilazioni; però le relazioni sarebene queste che io spiego nella presente…..
L’opuscolo termina con un noe torradu, firmato Salvador Sedda. Autore sattirico di Gavoi.
Ma custu est un’atteru contu.
Spero che questo enorme patrimonio poetico venga presto raccolto e pubblicato.