“La Sardegna è leader italiana dell’allevamento di capre, ma se si continua a procedere senza una seria programmazione si rischia di disperdere un patrimonio strategico per la Sardegna, dal punto di vista economico, ambientale e culturale”.
Come ha ricordato l’agronomo dell’Aras Roberto Boi, sabato scorso a Ballao durante il convegno promosso dall’Aipa di Cagliari, “la nostra isola è leader in Italia del settore. Alleviamo circa 297mila capi, che corrispondono a circa il 25 per cento del patrimonio caprino nazionale, e produciamo oltre la metà del latte (52 per cento)”.
“Nel mondo - ha illustrato ancora Roberto Boi, facendo una fotografia del settore - si allevano circa 861milioni di capi, 13 milioni in Europa. I leader del vecchio Continente sono i greci con 34% delle capre, seguono la Spagna (21%), la Romania (10.5%) e la Francia (10.3%). L’Italia è quinta con il 7.9%”.
“L' Europa – ha ricordato ancora Boi - con 570 razze caprine detiene il 33% della variabilità genetica mondiale”.
“E’ un settore su cui occorre investire – sottolinea il direttore dell’Aras Marino Contu -. Stiamo facendo sinergia con le Apa, le agenzie agricole e l’università e le associazioni di categoria, per far emergere il valore di questo animale, sul quale soprattutto negli ultimi anni si è proceduto a comparti stagni. Sono maturi i tempi perché si programmi, progetti, tuteli e valorizzi il comparto, autonomamente da quello ovino, con il quale a lungo è stato spesso impropriamente associato, ma trascurato perché considerato inferiore”.
Il punto di partenza è la selezione della razza pura locale. Ma “serve un lavoro collettivo – secondo il genetista di Agris Antonello Carta – con il coinvolgimento di allevatori, Apa, centri genetici e di ricerca come Agris, l'assistenza tecnica dell’Aras e l’università. Lo dimostra la corretta gestione del miglioramento genetico della pecora sarda che ha fatto si che questa razza da latte sia quella più allevata in Italia”.
Da un indagine del professore Massimo Vacca del dipartimento di veterinaria di Sassari si evince che “l'introduzione di sangue di altre razze nel lungo periodo non ha portato i benefici sperati per le produzioni”.
Inoltre ha evidenziato le potenzialità degli allevamenti di montagna per la qualità delle produzioni in termini di materia utile: “in particolare quelli con capi con orecchie piccole e dritte, riconducibili al ceppo sardo primitivo, producono latte con maggiore contenuto in grasso e proteine”.
Indagine che trova conferma nelle parole di Roberto Boi secondo il quale “le razze locali appaiono in grado di compensare la minore potenzialità produttiva in relazione a caratteristiche quali: qualità delle produzioni; resistenza ai fattori climatici; resistenza alle malattie; fertilità; longevità; attitudine al pascolamento e al consumo di foraggi grossolani”.
“L’obiettivo deve essere quello di impegnarsi per il riconoscimento del marchio Igp per i capretti nati da capre di razza sarda” è la proposta che arriva dall’Aipa di Cagliari per voce del presidente Eraldo Pisano e del direttore Aldo Manunta.
“Il miglioramento delle razze locali – secondo il presidente dell’Aras Stefano Sanna - sembra attualmente la strategia migliore. A suo vantaggio l'adattamento al territorio, la resilienza agli stress ambientali (cambiamenti climatici), l'identità delle produzioni. Occorre proseguire nella strada di un lavoro collettivo, con la Regione che deve assumere sempre più un ruolo guida per differenziare le politiche del comparto caprino da quelle dell’ovino e sviluppare una programmazione seria”.