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Un gruppo di pastori scrive all'assessore alla Sanità: "sui vaccini serve dialogo e vera informazione senza conflitti di interesse"

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La lettera inviata nei giorni scorsi da un gruppo di allevatori, che si firmano Comitato di Base allevatori, all'assessore regionale alla Sanità per rivendicare il diritto della libertà vaccinale dei propri animali.

 

Gentile Assessore,
siamo i rappresentanti di un comitato di base della Sardegna, formato da centinaia di allevatori e migliaia di simpatizzanti della nostra Regione ma anche di altre Regioni Italiane.
Siamo imprenditori ai quali sta a cuore la salute dei propri animali e hanno questi obiettivi: pretendere un informazione scientificamente corretta e senza conflitti di interesse sui vaccini, la libertà di scelta, la solidarietà e la tutela degli allevamenti purtroppo danneggiati dalle "terapie imposte". Infatti gli effetti collaterali del vaccino sono una realtà (anche se ufficialmente non riconosciuta) e se fossero così rari come si intende far capire non saremmo ancora qui a recriminare. Molti allevatori,in seguito alla somministrazione del vaccino contro la Blue Tongue denunciano morie, perdite di latte, caduta di fertilità, dimagramenti.
Nel decreto n.22 del 10/09/2014, che pretende di imporre la pratica vaccinale obbligatoria per tutto il patrimonio ovino, caprino, bovino e bufalino in tutto il territorio regionale, che diventa coattiva e sanzionatoria in caso di rifiuto, non si tiene conto che la "vaccino-vigilanza" è molto carente e che anche quando le pecore hanno reazioni gravi temporalmente connesse con la vaccinazione, molto difficilmente viene compilata una scheda di sospetta reazione avversa, inficiando tutti i nostri ragionamenti a posteriori sulla pericolosità delle vaccinazioni.

Siamo fermamente convinti che le pecore che sono state colpite dalla Blue Tongue (sierotipo 1) nel 2012 e nel 2013 (la gran parte del patrimonio ovino Sardo) si siano ormai "autoimmunizzate" e quindi riteniamo del tutto inutile somministrare oggi un vaccino col medesimo sierotipo, che risulta vecchio e ormai scaduto. Ad avvallare questa tesi ci porta il fatto che negli allevamenti non vaccinati nell'anno in corso non si è verificata la malattia. Gentile Assessore, lei forse non sa che il terrorismo mediatico che viene applicato dai media sulla popolazione ignara, fomentando paure sulla diffusione di "pesti ed epidemie" non giova alla nostra già fragile economia. Paure del tutto ingiustificate, visto che la Blue Tongue o la Peste Suina Africana non sono malattie trasmissibili all'uomo; un aspetto questo di rilevante importanza, purtroppo da voi trascurato nei vostri proclami mediatici.
Lasciare intendere che se tutti gli animali fossero vaccinati non ci sarebbero casi di Blue Tongue, significa fare disinformazione e non dire tutta la verità. Infatti, la prima causa di relativo fallimento di questa vaccinazione risiede nella ridotta durata dell’immunità evocata dal vaccino.
A prova di ciò riteniamo ricordarle che la protezione del vaccino diminuisce dopo quattro mesi dalla somministrazione. Quindi se l’immunità evocata dalla pratica vaccinale svanisce abbastanza rapidamente dovrebbe rendere gli animali suscettibili alla malattia nel periodo che si trovano scoperti.

Gentile assessore, inoltre non va dimenticato che la pressione esercitata dalle ASL per portare avanti la campagna vaccinale non sta sortendo l'effetto sperato, anzi, ha alimentato un risentimento negativo nei confronti di questo Sistema Sanitario, che ha scelto invece di autoreferenziarsi mediante la nomina sconsiderata di un esercito di Colonnelli e Generali, e soprattutto di privilegiare le funzioni di polizia a scapito di quelle tradizionali veterinarie. Di fatto il nostro comparto ha ripudiato totalmente queste funzioni repressive e sanzionatorie, che ottengono solo un desolante risultato: allungare le distanze tra il mondo rurale e le istituzioni, tanto che per scelta consapevole e cosciente, piuttosto che esporre i nostri animali ad una profilassi che provoca "effetti indesiderati" si è disposti a rinunciare agli indennizzi in caso di danni causati dalla malattia, con un grande risparmio di enormi risorse finanziarie, le quali si possono destinare ad altre "priorità". Allo stesso tempo ci rifiutiamo di pagare sanzioni esageratamente ingiuste, dato che alla fine di tutta questa storia gli unici ad essere danneggiati siamo solamente noi allevatori.
Abbiamo invitato i veterinari con senso di responsabilità a non fare propria questa follia, chiedendo un confronto a trecentosessanta gradi, che non c'è stato.
Altro punto dolente riguarda il compito di "tutela e rappresentanza" delle nostre organizzazioni agricole, le quali hanno trattato l'argomento in modo troppo approssimativo in rapporto alla portata del problema e mancando di intraprendere con i propri associati una discussione preventiva.
Escludendo dal dibattito i diretti interessati questi signori si hanno fatto da soli un autogol, perdendo la fiducia degli allevatori.
Non abbiamo lobby da difendere, ne pregiudizi nei confronti dei vaccini e nemmeno paura della scienza. Il nostro unico interesse è la salute delle nostre pecore, e di conseguenza la nostra economia.
Sentiamo il dovere di intervenire a nome dei migliaia di allevatori che hanno scelto e/o vogliono scegliere responsabilmente se, quando e come vaccinare le loro greggi.
Respingiamo naturalmente tutte le accuse di un nutrito numero di veterinari ASL che hanno espresso le loro argomentazioni in modo molto arrogante, senza rispetto, chiamandoci “antivaccinisti” e dandoci in sostanza degli ignoranti.
La vera scienza non si esprime in questo modo, non denigra il dissenso e non ha paura del confronto, anzi, lo cerca e da esso ne estrapola qualcosa di utile per tutto il sistema.
In conclusione, la nostra opinione è che, se si vuole costruire un Servizio Veterinario veramente moderno e che lavori per il bene dei nostri animali si dovrebbe puntare prevalentemente sulla personalizzazione di qualsiasi trattamento, ai fini di costruire un armonico accordo con l'allevatore. Non possono quindi esistere vaccinazioni di massa imposte per legge, ma dobbiamo diffondere una profilassi diretta basata su una corretta igiene degli allevamenti e sulla lotta al culicoide, con le disinfestazioni e le bonifiche delle aree più a rischio.
Oggi abbiamo le conoscenze per fare questo. I vaccini invece, come qualsiasi altro farmaco, vanno usati ad hoc nel numero, nei tempi e nelle condizioni in cui si ritenga necessario e intervenire in base alle circostanze di ogni singolo allevamento.
Noi allevatori, che lavoriamo tutti i giorni sul campo accanto agli animali, rifiutiamo qualsiasi coercizione, allo stesso modo non possiamo accettare che, in assenza di una effettiva emergenza sanitaria, venga limitata la libertà di scelta terapeutica e che il ruolo di proprietari degli animali venga a mancare a causa di una imposizione vaccinale.
Se così non fosse, ci troveremo di fronte ad una vera e propria "dittatura sanitaria".

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