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Tumbarinos e jovia lardajola: filosofia carnevalesca gavoese

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Il ritmo incessante dei tamburi, sos tumbarinos, Giovedì 4 febbraio, giovedì grasso appunto, colmerà l'aria del piccolo borgo barbaricino, segnando ufficialmente l'apice, e l'inizio, dei festeggiamenti carnevaleschi. Su tumbarinu, il tamburo tradizionale gavoese, è insieme alla musica e al ballo il protagonista di un evento in cui tutti, indipendentemente da sesso, età, e provenienza geografica possono essere parte integrante e maschere festose, con un po' di nero fuliggine sul viso e degli abiti scuri.  Più che una sfilata, quella del giovedì grasso è infatti un incontro, un raduno che, partendo alle tre del pomeriggio dalla Piazza San Gavino, si snoda liberamente sul selciato del centro storico facendo vibrare i vetri delle antiche case di granito. Ogni piazza è la tappa di un ballo dissetato con abbondante vino nuovo e nero, accompagnato dalle quartine in limba cantate appassionatamente. In questa gioia generale, il carnevale a Gavoi non è mai stato né potrà essere uno spettacolo di maschere da contemplare, perché il senso del carnevale gavoese, è la condivisione di balli e canti, accompagnati da strumenti le cui origini si perdono nella storia antica dei popoli mediterranei, e non solo.

L'utilizzo dei tamburi nella musica tradizionale sarda un tempo diffusi in diversi paesi (in diverse forme e tipologie), è oggi pressoché scomparso tranne che nel paese di Gavoi dove "un orchestra formata da tumbarinu, pippiolu-flauto di canna-e triangulu â€“ triangolo in ferro battuto,  Ã¨ unico in tutta l'isola", afferma Piergavino Sedda, bibliotecario e appassionato ricercatore che da oltre quarant'anni è impegnato nello studio e nella valorizzazione di questa tradizione. Sebbene il triangolo e il flauto in canna, siano presenti nel mediterraneo fin dai tempi degli egizi e dei greci, e le percussioni sono notoriamente strumenti delle tradizioni tribali, le prime testimonianze scritte sui tamburi di Gavoi risalgono al 1827, quando il Casalis documentava l'uso di questo strumento nel piccolo borgo di granito. La tradizione orale testimonia che poi, alla vigilia della prima guerra mondiale, ci fossero solo quattro tumbarinos in tutto il paese, sparsi nei vari rioni e la sfida era quella di difendere il proprio tumbarinu dal coltello del rione avversario. Oggi, nel paese si contano oltre mille tamburi, e l'abilità di costruire su tumbarinu Ã¨ stata diffusa e tramandata ai giovani, che hanno imparato a scegliere le casse di legno (provenienti da antichi setacci di farina e forme per il pecorino romano), a conciare le pelli di pecora e capra e tenderle e legarle fino a conferire loro un timbro unico.

Malgrado le diverse fasi attraversate dalla tradizione secolare, a memoria di tutti, su tumbarinu ha sempre preannunciato le mascherate che iniziavano a partire dai giorni di Sant'Antonio, dove nei bar storici del paese si battezzavano i nuovi tamburi con nomi di fantasia e un numero indefinito di brindisi. Ancora oggi, a partire dal 16 gennaio in poi, il carnevale avanza col crescere della musica, che raggiunge l'apice proprio il giovedì grasso, quando centinaia di tamburi suonando all'unisono. Ed è questo il giorno in cui, questa comunità rurale della Barbagia, e chiunque volesse farne parte, nascosta dietro il velluto nero e gli abiti delle nonne, l'orbace e le mastruche, abiti del mondo pastorale e contadino variamente reinterpretati, incontrandosi al ritmo de sos tumbarinos, sente vivere più sinceramente e gioiosamente che mai, la propria identità in una festa collettiva.

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