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Coldiretti. Guerra del grano: nasce la pizza Io sono sarda

a cura della redazione
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Il comparto cerealicolo sardo è in forte crisi a causa del ribasso dei prezzi alla produzione. Rispetto allo scorso anno il grano agli agricoltori viene pagato il 30 per cento in meno: il prezzo quest'anno è sceso a 20 euro a quintale rispetto ai 30 dello scorso anno.

Prezzo che non paga i costi di produzione e che sta portando molti cerealicoltori alla estrema decisione di abbandonare il campo in tutti i sensi.

Per molti è stata un'annata disastrosa e hanno addirittura dovuto rinunciato alla raccolta, anche perché oltre al crollo del prezzo si è sommata una produzione sotto le aspettative a causa della siccità: in media si è prodotto il 40 per cento del grano in meno, con punte del 60 per cento. 

La crisi è reale ed è fotografata dai numeri. Negli ultimi 12 anni la superficie destinata alla coltivazione del grano è scesa del 60 per cento, perdendo 58.129 ettari.  Si è passati dai 96710 ettari coltivati nel 2004 ai 38581 del 2015 (fonte Laore).

Ma non potrebbe essere altrimenti visto che il prezzo è fermo da quarant'anni. Nel 1976 un contadino per un quintale di grano riceveva più di quanto non riceva oggi: 48 mila lire rispetto ai 20 euro di quest'anno. A fermarsi è stato solo il prezzo del grano mentre tutti gli altri costi di produzione sono cresciuti a dismisura. Un esempio su tutti: il concime nel '76 costava 5mila lire, oggi 48 euro.  

Una crisi che tocca tutta la Sardegna ma più da vicino il mondo agricolo del sud Sardegna dove si coltiva quasi i due terzi della superficie destinata al grano. 14.102 tra la provincia di Cagliari, Medio Campidano e Sulcis: 12.545 ettari Cagliari; 9.985 Medio Campidano; 1.949 Sulcis. Segue Sassari con 6.420 ettari, Oristano con 5.465; Nuoro con 1.450; Ogliastra con 618 e infine la Gallura con 149.

Il peggior nemico delle produzioni locali arriva dalla concorrenza sleale delle importazioni, che sono di grano ma sempre di più anche di semilavorati (la pasta congelata pronta a lievitare). Nel primo semestre del 2016 le importazioni, in Italia, sono aumentate del 14 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Importiamo grano del quale conosciamo poco della provenienza  e dei metodi di produzione (arriva principalmente dal Canada, Stati Uniti ed est Europa). Spesso si tratta di grano vecchio di oltre quattro anni sul quale non vengono effettuate delle analisi.

Nei giorni scorsi la Guardia Forestale di Bari ha rilevato nel grano proveniente da Regno unito, Canada e Panama, la presenza di aflatossine, tra le sostanze più cancerogene esistenti.

Un recente sequestro della guardia di finanza ha rilevato che il grano viaggiava in camion contaminati da rifiuti tossici.

Molto del grano importato è stato trattato con il glifosato. Si tratta del diserbante più usato (soprattutto negli Stati Unit e in Canada). E' un dissecante che viene irrorato nei campi poche settimane prima del raccolto, soprattutto nelle zone umide, per accelerare la mietitura.

Inoltre la lunga conservazione e i lunghi viaggi alterano il grano. 

In Italia si importano 4 milioni e mezzo di tonnellate di grano. Un quarto dall'est Europa. Ed è da questa parte di Europa (4milioni di kg dalla Romania) che arrivano soprattutto i semilavorati congelati. Questi sono a lunga scadenza (due anni) e consentono un ingente risparmio di denari (il 60 per cento) grazie al basso costo della manodopera. Un panino su quattro venduto nella grande distribuzione è prodotto con i semilavorati surgelati, spesso vecchi due anni.

Prodotti dei quali non abbiamo garanzie sul rispetto delle più elementari norme igienico sanitarie.

Questo fa si che il nostro grano, garantito e certificato, di stagione e privo di glifosato (siamo il Paese in cui i limiti alle sostanze contaminanti sono più alti che nella maggior parte del mondo), venga prodotto sempre di meno perché sta diventando fuori mercato, per via dei costi di produzione che garantiscono il consumatore e l'ambente.

Da una recente analisi della Coldiretti risulta che trenta anni fa, nel 1985, in Italia il grano veniva pagato 23 centesimi a quintale, il pane 52 centesimi al kg.

Oggi il primo costa meno, 18, mentre il prezzo del pane e quintuplicato. 

Nel passaggio dal campo alla pasta il prezzo aumenta di circa il 500%, mentre dal grano al pane addirittura del 1400%.

LE PROPOSTE. Serve una inversione di tendenza e innanzitutto garantire produttori e consumatori con una etichettatura obbligatoria della pasta, del pane e dei prodotti da forno (indicazione in etichetta dell'origine del grano utilizzato per pasta e derivati della data di produzione e divieto di utilizzare di quello extra comunitario oltre i 18 mesi dalla raccolta); blocco delle importazioni a dazio zero e controlli sul 100 per cento del grano importato. 

E' necessario che il pubblico promuova le produzioni locali. A cominciare dalle mense dove il consumo di pasta e pane non è trascurabile: in Italia il consumo medio di pane annuo è di 66 kg (spesa media 177,54 euro), mentre di pasta è di 26 kg. Oggi più di un pacco di pasta su tre è prodotto con grano straniero, mentre nel pane la percentuale supera il 50 per cento. Ogni anno in Sardegna si somministrano tra i 10-12 milioni di pasti nelle mense, il che significa un consumo medio di circa 66mila quintali di pasta.

Mentre sfiora lo zero la percentuale della pasta prodotta in Sardegna con il grano degli agricoltori locali presente nelle mense. Dopo un approvvigionamento  negli anni scorsi in questo momento sembra ci sia un blocco verso il mercato interno. Come mai??

Per questo è quanto mai necessario un interventi politico per incentivare iniziative che avrebbero delle ricadute positive sia sui produttori (economiche) sia sulla salute dei cittadini che avrebbero la certezza di mangiare dei prodotti sani e di qualità. Oltre che sull'ambente con un risparmio importante di CO2. 

IL PROGETTO. La Coldiretti in collaborazione con Confcommercio e Confesercenti, per promuovere le produzioni locali in un mercato privo di trasparenza sull'origine dei prodotti, sottoscrivono un accordo per promuovere nelle pizzerie e nei ristoranti la pizza e la pasta sarda 100%, prodotte esclusivamente con i prodotti locali: la passata di pomodoro Io sono sardo, la semola e la pasta della CO.CE.SA e la mozzarella della 3A di Arborea (quest'ultimi si sono detti interessati e devono confermare la partecipazione al progetto). Questa mattina è stato presentato il logo della pizza Io sono sarda, dal campo al forno, che troveremo nelle pizzerie che aderiranno al progetto. 

 

 

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