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GAVOI. Giovanni Cugusi tra fascia tricolore e pastorizia: "la Sardegna rurale vuole continuare a esistere"

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La drammatica situazione che stiamo vivendo in Sardegna, il dolore del mondo delle campagne, il latte versato, i blocchi stradali dei pastori che lottano per sopravvivere a un mercato avaro e a una società e a una politica che quasi li ignorano ci chiamano ad alta voce a mettere mano alle politiche sulla pastorizia. Dico dobbiamo perché un ruolo in questo processo ce l'abbiamo tutti: noi pastori, noi politici che amministriamo gli enti locali, i politici sardi e italiani, i rappresentanti europei, i tecnici delle diverse agenzie, le associazioni di categoria, gli industriali, i consumatori.

Un'azione è urgente in questo settore non solo per i pastori, i custodi del tempo che vivono a pieno la crisi e le contraddizioni della contemporaneità, ma per tutta la Sardegna.

I pastori sono l'impronta identitaria di questa isola e, nonostante tutto, oltre lo sfascio industrialista che ben conosciamo, rimangono il fragile elemento portante dell'economia, il filo che tiene assieme la cultura, la società, le comunità.

Perché una Sardegna non metropolitana, una Sardegna rurale, resiste e vuole continuare a esistere.

Essere pastori in Sardegna oggi, essere lavoratori delle campagne, è una scelta politica. È una scelta politica ed esistenziale nella quale è insita una prospettiva costante di lotta. Una scelta di dignità di fronte alle asperità del sistema economico. Dignità è la parola, che prima di tutti i prodotti tipici della terra e del lavoro, merita tutela e riconoscimento: la dignità dei pastori e delle loro famiglie.

Potrei ripercorrere numerosi miei interventi degli ultimi quindici anni e ritrovare gli stessi temi, gli stessi problemi, gli stessi toni che ogni anno divengono più drammatici. E non sono solo problemi di settore. Certo, la botta violenta la assorbono i pastori e tutti i lavoratori delle campagne che rischiano di crollare e abbandonare per disperazione il comparto. Ma il riverbero di questa crisi si inizia a sentire con forza anche in tutto il contorno economico che circonda le campagne: mangimistica, artigianato, edilizia, industria, servizi.

Ci hanno insegnato a curare le nostre pecore e a produrre latte e formaggi come beni preziosi e oggi li vediamo deprezzati, disprezzati e scherniti dal mercato, dai mercanti, da un'industria spesso ingrata nei confronti dell'origine del suo profitto.

Il latte pagato a 0,56 euro (+iva) nel 2019 a fronte di un prezzo, comunque di mera sussistenza, di 90 centesimi della campagna precedente, significa una riduzione del reddito del 30%. È un'ovvietà ma bisogna ribadirla. Sarebbe come se uno stipendio di 1500 euro fosse drasticamente, e senza alcuna possibilità negoziale, ridotto a 1000 euro. E parliamo del lordo!

L'attuale crisi del latte, la crisi dei formaggi e delle carni, la pervasività dell'industria casearia che, pur vincolando il prezzo del latte a quello del Pecorino Romano, invade gli spazi produttivi da millenni appannaggio dei pastori (e come esempio cito la questione paradossale del Fiore Sardo che può essere solo DEI PASTORI, prodotto artigianalmente, dalle mani dei pastori, negli ovili dei pastori) non sono una novità. Originano, infatti, dalle scelte di un sistema politico e economico che ha trasformato i mezzi di produzione, le greggi, gli ovili e anche le realtà industriali del latte spingendo tutti questi attori a una ultra-produzione che oggi, non può essere cancellata con uno schiocco di dita. Una dinamica produttiva mal governata che rischia di portare al collasso prima i pastori, la parte più debole e sfruttata, poi tutto il comparto, compresa l'industria casearia. Perché gettare il latte può essere una manifestazione dolorosa di pochi giorni, farne formaggio in azienda è la prospettiva di pochi, ma poi bisognerà tornare al tavolo negoziale e qui sarebbe il caso di incontrare soggetti, dagli interessi diversi, ma con un'etica e con una visione della Sardegna comune.

Gli industriali del latte hanno e avranno un ruolo importante nella filiera, ma devono essere consapevoli che per essere industriali in Sardegna bisogna amare questa terra, averne assorbito la radice solidale ed etica. Una cosa è essere capitalisti, un'altra è essere imprenditori sardi. Chi rivendica il ruolo di asse portante dell'economia isolana, ha anche la responsabilità e il dovere di prodigarsi per i lavoratori di questa terra che, per inciso, non sono e non vogliono essere solo servi, o succubi di decisioni calate dall'alto, ne vogliono essere ridotti a clienti o vassalli.

Se i nostri padri e sos pastores mannos erano in grado di reggere numerose cattive annate, ai giovani pastori che hanno scelto questa vita non possiamo chiedere la stessa abnegazione. Abbandoneranno. E allora altro non ci sarà da fare se non l'ennesimo convegno sullo spopolamento o l'ennesimo dibattito sulla crisi della pastorizia.

Le azioni per generare un sistema che guardi al mondo delle campagne come fulcro e settore strategico della nostra isola devono essere quotidiane e portate da tutti i soggetti che hanno un ruolo in questa nostra storia.

Molte amministrazioni locali, come quella che mi onoro di rappresentare, sono consapevoli dell'importanza del mondo pastorale e agricolo e mettono in campo azioni di sistema per favorirne la rinascita e la resistenza. A favore dei lavoratori, dei cittadini, dei consumatori, della salute, del benessere, dell'identità.

Così si generano distretti per il riconoscimento delle produzioni tipiche, si fanno laboratori di educazione alimentare e di educazione al consumo consapevole per i più piccoli affinché mangino sano e mangino sardo, si inseriscono negli appalti delle mense pubbliche i prodotti locali a km zero, si promuove la formazione degli imprenditori del settore, si legano il mondo pastorale e agroalimentare al settore turistico e culturale come volano identitario di una offerta integrata, si propongono musei e mostre sui formaggi e sui pastori, numerosi e pregevoli film e documentari, si studiano nuovi marchi. Tutte azioni meritorie, valide, innovative ma che possono essere solo di supporto al settore, non possono avere, da sole, una forza risolutiva. Possono essere un pezzo delle azioni necessarie a risollevare il mondo delle campagne da una crisi gravissima che ha alla sua base l'iniqua valorizzazione della materia prima (il latte, appunto, ma lo stesso discorso vale per il prezzo delle carni, dei formaggi, e di tutti i prodotti agricoli). Un'eventualità che certo deve essere scongiurata con interventi urgenti della politica regionale e nazionale, delle associazioni di categoria e con un forte impegno di tutti i sardi. Interventi di sistema sul mercato interno e esterno, sull'incentivo al consumo consapevole, sullo sgravio dei costi di produzione, sullo snellimento della burocrazia, sulla chiusura della filiera.

Possiamo trascorre ore a parlare delle responsabilità dell'uno e dell'altra, dei contributi europei, della Pac o del Psr, della burocrazia, della atavica resistenza dei pastori a riunirsi e accordarsi (cosa per altro falsa in quanto la realtà cooperativistica è ampiamente diffusa), della politica che giunge sempre al livello dell'ascolto, della comprensione, talvolta delle iniziative strategiche, ma che sembra non avere in mano il timone dell'azione risolutiva.

Prima di qualunque provvedimento ministeriale, regionale, europeo, prima dei tavoli, della trattativa infinita deve nascere fra i sardi la consapevolezza di essere pienamente parte in causa di questa vertenza. A questa consapevolezza si dovrà legare alla pacifica risolutezza nella lotta, al fianco dei pastori, per una equa retribuzione dei prodotti del lavoro delle campagne, che poi è la battaglia storica per una equa distribuzione della ricchezza.

 

Per questo, come forma di lotta e sensibilizzazione dei cittadini e dei consumatori, chiedo ai pastori della Barbagia, storici produttori di Fiore Sardo, di continuare in questi giorni a non versare il latte a prezzi iniqui e di trasformare, anche attraverso il mutuo aiuto, la materia prima in formaggio da donare agli enti di solidarietà e alle persone in difficoltà.

 

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