La storia infinita della vertenza latte è tanto grave quanto assurda. Sì, assurda, perché tutti sanno chi sono i protagonisti di questa estenuante e lunghissima guerra, tutti sanno che è una guerra tutta locale, che oggi, nell’era dei social, viene confusa con mille cose diverse da ciò che veramente è.
Leggendo la lettera del professore Giuseppe Pulina, pubblicata da La Nuova Sardegna sabato 8 febbraio in cui parla del numero delle pecore e del latte prodotto in Sardegna, fa sorridere ritrovarvi le stesse domande e le medesime osservazioni che, esattamente 4 anni fa, denunciammo anche noi, proprio sulle quantità di latte prodotto e sul numero dei capi presenti in Sardegna. Sì, Noi di Coldiretti, certamente scomodi per alcuni, forse autocelebrativi e roboanti per altri, ma anche dannatamente coraggiosi e coerenti. Era il 2016, a febbraio, quando si erano annunciate possibili “inondazioni di iperproduzione di latte ovino” in una stagione favorevole dal punto di vista climatico. Accompagnati proprio dalle valutazioni tecniche del professor Pulina, ma per il resto terribilmente soli. Soli: perché non fummo ascoltati, né prima né dopo, da nessuno, né dal Consiglio regionale, né dalla Giunta. Soli a denunciare gli effetti negativi di informazioni ingiustificate, soli a chiedere la trasparenza dei dati sul latte, soli ad organizzare confronti e convegni per parlare di dati del latte e di trasparenza. Senza il conforto delle Istituzioni, senza i media vicino, soli con la forza dei nostri soci che credettero in questa battaglia di trasparenza e coerenza. Ed eccoci oggi, dopo 4 anni, a riparlare di trasparenza, di dati relativi al latte e di pecore, gridando per la riconoscimento della nostra dignità.
Ma per tutto questo serve coraggio, e non solo quello avuto dai pastori nel denunciare la situazione nella piazza, dove abbiamo scelto di fare un passo indietro come Organizzazione pur di sostenere l’unità degli allevatori nella vertenza, ma anche quello necessario dopo, nel combattere i colletti bianchi ostacoli alla trasparenza, nello stanare e denunciare i gangli della burocrazia che impediscono ai processi di arrivare a termine, nella determinazione fondamentale affinché tutti, nessuno escluso, facciano la propria parte da cittadini, in modo che le speculazioni vengano denunciate e contrastate.
È perciò quindi che affermiamo che tra 330 e 290 milioni di litri di latte c’è una bella differenza, che sul mercato vale decine di milioni di euro, così come tra 3,5 e 2,1 milioni di pecore c’è una bella differenza. Eppure tutti, proprio tutti, politici compresi, utilizzano i numeri come se, cifra più cifra meno, non cambi niente, sull’importanza della pastorizia sarda. In senso puramente generale questo può andare bene, ma non quando si parla di mercato, dove i numeri contano davvero… i numeri come le virgole! Quando si parla di crisi si arriva sempre a definire la cifra alla virgola, tranne sui numeri di pecore o dei litri latte… là, i numeri si citano aggiungendo ‘circa’. Sì, perché la colpa è sempre del pastore che produce più latte, anche se magari a splafonare sulle produzioni è stato il pecorino romano.
Noi da tempo, in assoluta solitudine abbiamo denunciato, e continuiamo a farlo, queste situazioni e non siamo mai stati ascoltati da chi, in casi come questi, deve prendere decisioni sanzionatorie o da chi può influire con le leggi per limitare queste situazioni. Abbiamo sempre urlato la nostra denuncia, prendendocene le responsabilità, sostenendo ripetuti, pesanti e non simpatici litigi e subendo spesso critiche e attenzioni non propriamente ‘amabili’, ma rimanendo sempre dannatamente coerenti sui veri problemi del settore agropastorale sardo.
E siamo ugualmente rimasti soli nel chiedere un prezzo minimo garantito, un prezzo base per il latte che garantisca i costi di produzione al pastore.
Abbiamo lanciato dal 2012 una soluzione per accorpare l’offerta di mercato della produzione del Pecorino, su una proposta di Consorzio di secondo livello, elaborata dalla SFIRS, che giace dal 2012 sui tavoli delle Giunte regionali che si sono alternate sino ad oggi. Riteniamo, ancora oggi, quella proposta l’unica possibile e realizzabile, a costo zero, in quanto basata sull’accorpamento su un consorzio partecipato da Sfris e da tutte le strutture di trasformazione, per la commercializzazione del prodotto attraverso un unico ufficio commerciale, in modo da non cadere in giochi speculativi che, come ammesso ormai da tutti, rovinano il mercato.
Ecco il coraggio che bisogna avere, quello di osare, di fare cambiamenti veri sul mercato, di unire le forze della trasformazione per diventare più forti, quello cioè di lasciare i sentieri dei personalismi e degli individualismi, che per molti ci identificano, quello di affrontare il mondo, i mercati internazionali insieme e non da soli, perché il mondo è grande e ci sono un miliardo di pecore ed altri produttori di formaggio ed affrontarli uniti significherebbe poter riuscire. Sì, perché, nel frattempo che noi in casa continuiamo a litigare con le nostre divisioni, la Spagna con il proprio Manchego, pecorino da tavola, ha inondato il mondo, acquisendo larghissime fette di mercato ormai difficili, ma non impossibili, da conquistare. Abbiamo oggi l’occasione di sconfessare l’epiteto che da tempo gli stessi Spagnoli stessi ci hanno affibbiato, quello di essere ‘pocos, locos y mal unidos’, ma occorre il coraggio di farlo da parte di tutti.