La fine dell’anno scolastico ci consegna una scuola sarda “afflitta” da una serie di primati non proprio invidiabili, peraltro certificati impietosamente – da anni oramai – dall’INVALSI. Ad iniziare dalla dispersione scolastica che, anziché calare, sale. A documentarlo, questa volta è il Rapporto Cronos 2013 secondo cui a partire dal 2007, in Sardegna la percentuale di abbandoni scolastici è cresciuta dal 21,8 al 25,1%, mentre in Italia si assesta sul 17,6%. Su questo fenomeno preoccupante interviene il professor Roberto Bolognesi, sardo di Villamassargia ma da decenni in Olanda. Attualmente è associato come ricercatore all´Università di Amsterdam e a quella di Groninga come docente di linguistica italiana. È autore del libro The Phonology of Campidanian Sardinian e di diversi articoli di fonologia e di linguistica sarda: fra l’altro è uno degli artefici e sostenitori de sa Limba sarda comuna (LSC). Argomenta Bolognesi :” Non so bene quali siano stati gli interventi, ma so con certezza che una cosa non è stata fatta: un’indagine mirata a stabilire il rapporto tra la dispersione scolastica e la lingua effettivamente usata dai giovani sardi. Una simile ricerca non esiste per la Sardegna e, a quanto mi risulta, non esiste per tutto il territorio dello stato italiano. Mi sembra altrettanto chiaro che deve esistere una discrepanza tra la lingua usata dai giovani sardi e la lingua che la scuola si aspetta da loro. Oggi il problema viene liquidato con una leggerezza che sconfina nella colpa, dicendo che tutti i giovani Sardi sono italofoni. Eppure a nessuno dei linguisti che operano in Sardegna, a nessuna delle università della Sardegna, a nessuno dei politici sardi – inclusi quelli democratici, sovranisti e indipendentisti – è venuto in mente di accertare quale sia effettivamente la situazione linguistica dei giovani Sardi e di cercare di comprendere quale sia il rapporto tra questa lingua e il fallimento scolastico. … I politici e gli intellettuali sardi continuano a rifiutarsi di prendere atto del fatto che la questione linguistica in Sardegna è tutt’altro che risolta. Evidentemente non hanno ancora superato il trauma della loro italianizzazione forzata”. Difficile non convenire. Per decenni l’impegno politico-sindacale è stato finalizzato esclusivamente alla risoluzione dei problemi strutturali (aule, laboratori, palestre) o a quello dei trasporti. O a quello del personale e degli organici. Si è invece trascurato del tutto una questione cruciale: la catastrofica situazione della didattica. E dunque dei contenuti e dei metodi di una scuola che risulta semplice e piatta succursale della scuola italiana. Nereide Rudas studia da anni il malessere psicologico dei Sardi: ancora non ha messo in conto gli effetti della repressione che la scuola italiana esercita sulla lingua materna. In Friuli questa repressione non c’è più: sarà un caso che la dispersione scolastica in quella regione è così bassa? Di qui l’urgenza che la lingua sarda entri organicamente nei curricula scolastici, delle scuole di ogni ordine e grado: anche come strumento per iniziare a risolvere i problemi dello svantaggio culturale, e della stessa dispersione e mortalità scolastica come della precaria alfabetizzazione di gran parte della popolazione, evidente e diffusa a livello di scolarità di base ma anche superiore. Specie a livello comunicativo e lessicale. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero, banale, improprio, gergale.