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Quanto perdiamo con il fuoco

di Natalino Piras

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Disse una volta Margherita Hack che gli uomini, solo gli uomini, sono responsabili dell’inesorabile distruzione del luogo da loro stessi abitato, “quel meraviglioso pianeta Terra”. Dopo miliardi e miliardi di anni. Ma già tanti, moltissimi, di miliardi di anni, ne abbiamo consumati. Il fuoco è uno dei principali elementi dell’inesorabile distruzione. È la violazione della speranza di vita sulla Terra che agli uomini diedero Prometeo che rubò il fuoco a Vulcano e Sant’Antonio quando scese nell’inferno riuscendo a ingannare persino il diavolo. “Ocu ocu peri su locu peri su mundu, ocu jucundu”. Gli uomini potevano insistere su questa giocondità del fuoco, la sua forza creatrice e riscaldante, quanto ha permesso di passare – rileva l’antropologo Lévi-Strauss – dal crudo al cotto, dalla primitività alla società industriale, intesa questa parola come arte di “industrire”, costruire. Invece il fuoco ha segnato tutti i momenti di conquista e sterminio in tutte le guerre, nessuna esclusa, che gli uomini hanno portato ad altri uomini: dalle foreste bruciate del tempo dell’inizio a quelle di adesso. In fondo per produrre il fuoco bastava sfregare una pietra contro un’altra milioni di anni fa. Oggi basta un fiammifero, unu luminu. È così che arriva il giorno del giudizio, un continuato giorno dell’ira, quando il Creatore del mondo, dice la liturgia cristiana, verrà a chiedere conto agli uomini proprio con il fuoco: dum veneris judicare saeculum per ignem.

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