Le parolacce esistono ancora? Penso proprio di no, perchè sono state sdoganate nella tv pubblica, nel cinema, nelle conversazioni, nel parlamento, persino nel piccolo vocabolario dei ragazzi.
Piuttosto ne esiste una sola che si ha paura e vergogna a pronunziare: la parola morte. Si preferisce dire: “è scomparso, è mancato, non è più ”. Perchè? Perchè “ci è capitata una curiosa avventura: avevamo dimenticato che si deve morire” (P.Chaunu). Tanto più che la cultura che respiriamo non vuol saperne proprio della morte.
Eppure mai come oggi la morte è spettacoralizzata con le immagini più crude delle guerre, della violenza quotidiana, degli incidenti, anche davanti ai bambini.
Questi giorni, andando in cimitero: visitiamo tombe di persone care e rinnoviamo solo ricordi dentro un passato sigillato dal nulla, oppure incontriamo dei viventi in Dio come noi e collochiamo la morte solo come parola penultima della vita.
In cimitero c’è la macchinetta più drammatica alla quale siamo costretti tutti a giocare, credenti e non credenti: la scommessa sulla morte.
Nei cimiteri aumenta il numero di coloro che vanno incontro alla morte senza la fede nella risurrezione, ma “la Chiesa - diceva papa Ratzinger - conoscerà una nuova fioritura ed apparirà agli uomini come patria, che ad essi dà vita e speranza oltre la morte”.
I cimiteri possono diventare scuola di vita: “dimenticare la morte e i morti significa rendere un pessimo servizio alla vita e ai vivi”. (Ph. Ariès)
La strada della fede unisce cimitero e chiesa, tomba ed altare, fotografia e crocifisso. Così coltiviamo il coraggio di pensare e di giocare la scommessa.