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Matteo Marteddu risponde a Massimo Dadea: "Non manipolare quella Storia così ancora vicina"

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Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Matteo Marteddu all'articolo di Giacomo Mameli (che trovate sotto) uscito su La Nuova Sardegna il 4 aprile.

Si manipola la Storia. A piacimento anche contro ogni evidenza, perché  ci sta ancora davanti. Trasecolo scorrendo  questi giorni le “Novità Editoriali” di Giacomo Mameli. “ La maledizione libertaria” di Massimo Dadea, che non ho letto e non so se lo farò, diventa il terreno su cui intessere ricostruzioni  parziali, fuorvianti e banali sugli avvenimenti degli anni ’60 e ’70 nel Nuorese e in Barbagia…tralascio le pur facili ironie sugli aspetti auto incensanti, non so se dell’autore o derivanti dall’eccesso di zelo del giornalista; mi interessa il contesto su cui il giovane Dadea, “ex socialista, iscritto al PCI soltanto dal 1974”,  in quella Nuoro anni ’70,  “veniva mal sopportato da classi dirigenti pietrificate” che poi Egli scalzò. Così: Renzismo ante litteram o licenze pseudo letterarie… ma sarebbero affari loro. Mi interessa invece, eccome, il prosciugamento della realtà, che in uno straordinario crescendo di entusiasmo cortigiano fa scrivere, testuale: “Era la Barbagia dei notabili scudocrociati che, sbagliando di grosso, volevano le ciminiere anche in cima ai monti…dal giovane socialista Dadea, con il concorso di Salvatore Nioi, i notabili DC vengono piano piano messi a tacere”. Se a Massimo gli è rimasto un po’ di quel sano senso dell’umorismo, avrà di che sorridere. E’ seria al contrario la volontà di gettare in soffitta quella straordinaria esperienza, proprio in quegli anni, del gruppo di Forze Nuove, dentro la DC, che ha sconvolto e sradicato vecchi apparati, prima nel nuorese poi in Sardegna, che ha scatenato la ribellione di popolazioni intere, facendo partecipare il sindaco DC di Orgosolo, insieme alla sezione del PCI, alla sollevazione di Pratobello, che ha posto la questione zone interne  all’attenzione del sistema istituzionale nazionale, che ha attivamente partecipato alla commissione Medici, che ha cambiato radicalmente le dirigenze politico istituzionali, aprendo in un modo, mai più ripetutosi, a nuove generazioni di sindaci e amministratori locali. E siamo ancora qui a testimoniarlo. E’ vero anche che quello tsunami attestava, in ogni elezione, la DC Nuorese attorno al 50% dei consensi popolari. Il PCI inseguiva, ma a distanze siderali. Non so a quanti potrà interessare, ma anche la Storia, soprattutto quando ancora la respiriamo vicina,  non è manipolabile e mantiene intatte le sue certezze.

Matteo Marteddu

 

 

Il nuovo libro di Dadea La politica come passione

Le scelte compiute in nome del binomio Autonomia-Piano di rinascita Il bilancio di una stagione e il confronto con le sfide e le scommesse di oggi

di Giacomo Mameli

Le cose che Massimo Dadea ci racconta in questo suo secondo libro, “La maledizione libertaria” (Cuec) dopo il fortunato “La febbre del fare” (Cuec) vanno inserite nel contesto di una fase della storia della Sardegna – dagli anni Cinquanta ai Settanta – di forte travaglio ideologico e politico. Basterebbe riflettere su alcune cifre che lo stesso Dadea ci propone di leggere: «Nel 1951 l'agricoltura in Sardegna assorbiva il 51 per cento degli occupati, nel 2012 gli addetti in agricoltura rappresentavano il 12 per cento». Quel 51 per cento viveva bene o sopravviveva? Oggi quale regione al mondo ha metà della popolazione nelle campagne? E ancora: quali erano i tassi di scolarizzazione negli anni Cinquanta? Quali sono quelli di oggi?

Certo, la scelta dell'industrializzazione compiuta in quegli anni «non era l'unica possibile». Ma questo è il senno del poi. Che cosa avrebbe potuto scegliere la Sardegna? Creare tante Coste Smeralde in ogni spiaggetta dell’isola? Inventarsi Tiscali o The Net Value quando Steve Jobs era ancora in fasce? Il nostro declino diventava contemporaneo alla morte dell'industria informatica che, nata a Ivrea, sbaraccava verso l'Asia. Perché? Per carenze nazionali dirigenziali e politiche. Se la stampa sarda diventava filo-petrolio era colpa dell'industria o di una classe imprenditoriale locale pronta a vendersi e svendersi al primo offerente?

Era parola magica l'industria, così come lo era l'Autonomia. Quale autonomia? (...) Autonomia era anche Europa. La Sardegna ha ottenuto quell’esempio alto di Autonomia? La risposta sta a chi legge queste pagine. E va declinata con le posizioni dei protagonisti, di Mario Melis da una parte e dei dirigenti comunisti dall'altra che mal sopportavano che un giovane ex socialista come Dadea – iscritto al Pci soltanto nel giugno del 1974 – scalzasse di botto classi dirigenti pietrificate.

Era la Barbagia dei notabili scudocrociati che – sbagliando di grosso – volevano le ciminiere anche in cima ai monti. Ma era anche la Barbagia che cominciava ad avere dirigenti scolastici di qualità, a Nuoro come a Macomer, nei licei come negli istituti magistrali, nelle scuole medie che cominciavano a sorgere paese per paese. E Nuoro – ce lo ricorda Dadea citando Grazia Deledda e Salvatore Satta, Francesco Ciusa e Antonio Ballero – «rivendicava un primato culturale non senza alterigia e supponenza». E si discuteva con Peppino Catte e Raffaello Marchi. E Cagliari – anche fra queste menti – era vista come «straniera all'isola». Il giovane socialista Dadea diventa presto leader del Pci (stiamo parlando dell'era di Enrico Berlinguer) e poi del Pds. Crea e rafforza spazi reali a Nuoro dove solidarizza con un altro vero leader, il sindacalista della Cgil Salvatore Nioi. I notabili Dc quasi vengono pian piano messi sotto silenzio. Dadea cresce perché studia e legge. A Cagliari trova sintonia con un suo collega medico, Emanuele Sanna, che diventerà anche presidente del Consiglio regionale. Consiglieri giovani, volti nuovi in una politica che – come sempre è avvenuto e sempre avverrà – mal sopporta il ricambio. Dadea, però, lo impone nelle cose, con uno stile british non sempre ricambiato. Anche quando si deve confrontare nella commissione regionale d'inchiesta sul banditismo, anche quando gli attentati agli amministratori fanno ricadere la Sardegna nella cappa ossessionante della cronaca nera degli anni pre-industria. Politica e rapporti di amicizia. Fra tanti altri, leggerete di Mariano Cucca, «amico di una vita" ed "espressione di una Nuoro popolare, autentica, sanguigna». E leggerete dell'uscita di scena («ero felice di passare il testimone a un amico fraterno») prima di indossare di nuovo il camice bianco di cardiologo all'ospedale Brotzu. Altre storie sono state raccontate. Altre restano ancora da scrivere. Ma prima o poi Massimo ce le racconterà. Perché è giusto che così sia. Che nulla venga nascosto. Lo impone la solarità di cui Massimo Dadea ci ha dato prova concreta, in questa raffinata descrizione di una benedizione libertaria.

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