Sono figlia, sorella, nipote di allevatori, e la mia riflessione nasce soprattutto dal confronto con tante altre persone che affrontano ogni giorno la realtà delle campagne e non hanno tempo da perdere con le iniziative politiche pseudo-animaliste della Signora Brambilla. Persone dagli sguardi severi e profondi che nascondono vividi sorrisi e che quotidianamente si misurano con gli stessi problemi: costi di farmaci, mangimi ed energia troppo elevati, prezzi dei prodotti sempre più bassi, burocrazia, premi non liquidati, bluetongue, disastri ambientali ed Equitalia. Problemi che spesso si è chiamati a risolvere da soli, abbandonati, in primis, dalle associazioni di categoria perché anche al loro interno conta più la parola del politico che quella del pastore che dovrebbero rappresentare e tutelare. Così è difficile avere spazi in cui giornali ed emittenti televisive dicano la verità. Per fortuna negli ultimi anni l’avvento dei social network ha reso più semplice condurre molte battaglie attraverso internet, servendosi di gruppi Facebook e hashtag su Twitter, e soprattutto permettendo agli allevatori di esporsi in prima persona. Ed è qui che oggi torno a rispondere a Brambilla, Lav e company, raccontando il valore dell’allevamento estensivo in Sardegna e soprattutto confutando le loro tesi con concetti semplici e condivisibili.
Il comparto agropastorale è un settore perennemente in guerra, poiché da settore trainante è diventato un mondo che lotta per continuare ad esistere. I pastori non sono dei barbari, sono persone genuine con alle spalle una tradizione ancestrale, ricca di gesti, riti e valori che non vogliono sacrificare al progresso, né tanto meno alla prepotenza dei poteri forti. Ho visto più umanità nelle campagne sarde che nelle metropolitane romane. Ciò che voglio dire alla Brambilla è che non si passa dalla barbarie alla civiltà calpestando i diritti degli altri e denigrando il lavoro altrui con campagne di disinformazione e diffamazione. Ritengo che uno stato civile debba garantire i diritti di tutti i cittadini, anche quelli di chi vuole portare l’agnello in tavola a Pasqua e non solo.
Mi chiedo come mai, con tutti i problemi che è chiamata ad affrontare oggi l’Italia, si dia risalto mediatico e politico a battaglie di cui, badate bene, non contesto la legittimità, ma il modo in cui vengono condotte. Non si tratta di semplici campagne di sensibilizzazione, ma di macchine del fango atte a distruggere un comparto che soprattutto in Sardegna, cerca di resistere ad una crisi che attanaglia l’intera economia. Ci si sente danneggiati come categoria e offesi come persone nel sentir parlare di “barbare tradizioni da cambiare”. Parlano di diritto degli animali alla vita e all’integrità fisica, e perdono di vista i diritti delle persone, come il diritto al lavoro e la libertà di mangiare quel che ci pare. Non voglio sindacare sulle convinzioni etiche di gente che, mentre c’è chi si toglie la vita perché non riesce a sbarcare il lunario, chiede sconti sulle scatolette di cibo per cani e gatti; è chiaro che quando si passa da un’idea al fanatismo, si perde il contatto con la realtà e conseguentemente con le leggi della natura. E non mi interessa neanche ribattere alle convinzioni personali della Brambilla, perché ho seri dubbi sulla sua preparazione in merito, probabilmente non ha mai visto un allevamento ovino in vita sua. Piuttosto mi preme focalizzare l’attenzione sulla disinformazione perpetrata da questi fanatici, che non sanno distinguere un agnello da un capretto, e sottolineare che attraverso il suo ruolo, la Brambilla è riuscita a rimandare il recepimento di una direttiva europea sulla sperimentazione animale, bloccando il decreto legge al Senato. Pertanto se grazie agli amici di Dudù andasse in porto la sua proposta e si arrivasse a bloccare la macellazione, si avrebbero effetti disastrosi sul settore ovinicolo. Mi sono chiesta come mai non vanno a rompere le scatole nelle aziende padane, dove troverebbero sicuramente più allevamenti intensivi e meno benessere animale, e dove altrettanto sicuramente fioccherebbero anche schiaffi, querele e mega richieste di risarcimento da Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Per non parlare della reazione della Lega. Allo stesso tempo, mi domando perché non si preoccupino di controllare le importazioni di carne che vanno, economicamente e qualitativamente, a discapito delle produzioni locali. E mi piacerebbe anche sapere cosa ne pensi Plasmon di queste proposte! Ritengo doveroso denunciare manifestazioni come quella di Piazza Duomo a Milano, dove si è gratuitamente denigrata una categoria che lavora sodo, e dove, oltre che ignoranza, si è rischiato di diffondere anche patologie pericolose per la salute delle persone, come la pasteurellosi e la salmonellosi. Portare in processione le carcasse di poveri animali col solo scopo di avvalorare tesi insensate, va contro il rispetto degli animali stessi e contro il lavoro di persone oneste. Gli allevamenti ovini non sono di natura intensiva, si basano sul sistema di allevamento semi-brado, pertanto addebitare la causa del decesso a maltrattamenti da parte dell’uomo corrisponde al falso. Si tratta di decessi attribuibili a malattie prenatali, che insorgono nei primi giorni di vita, e che qualsiasi esperto può confermare. Ogni allevatore si prende cura dei suoi animali e non ha nessun interesse a che dei capi muoiano ingiustamente. Il ciclo produttivo di una pecora si articola in due fasi, il periodo di gestazione (cinque mesi) e la lattazione, non è assolutamente vero che vengono sfruttate intensivamente. Inoltre, se non ci fosse l’intervento dei pastori molti agnelli morirebbero per malnutrizione, poiché succede che le madri li rifiutino, oppure che, in caso di parto gemellare, il latte materno non soddisfi il fabbisogno di entrambi i piccoli. La natura, miei cari attivisti naifs, non vi dà ragione, segue le sue regole e si serve della selezione per rafforzarsi (quella selezione che, ahimè, sta venendo meno per gli umani). Mi chiedo se si rendono conto delle conseguenze che si avrebbero se venissero allevati tutti gli animali che vengono al mondo o se hanno già pensato di fare una legge che proibisca agli animali di accoppiarsi!
Volete umanizzare gli animali, ma pensate a che fine fareste voi in un mondo animale, magari scoprireste il senso di una catena alimentare e che l’uomo è legato ad essa da sempre.
Se ne leggono tante di cavolate su internet, ma davanti a gente che scrive che sinora ha mangiato l'agnello perché non sapeva come veniva ammazzato, non so se piangere o se ridere. Pensavano che in un determinato periodo gli agnelli iniziassero a morire da soli? Queste, purtroppo, sono le conseguenze di un mondo che separa nettamente chi produce cibo da chi lo consuma, gente che ha perso il senso della vita e della morte di un animale.
Io sostengo lo slogan “dal produttore al consumatore”, e forse sarò anche un’instancabile nostalgica ma preferisco appartenere a quella categoria di persone per le quali fatica, onesta e rispetto sono principi irrinunciabili. Persone che affrontano la vita con dignità, e con la stessa dignità rispettano gli animali che le danno da vivere. In questo mondo un pastore può ancora dare lezioni di economia ad una laureanda, come ha fatto un allevatore di cui non riporto il nome ma che spero si riconosca nella descrizione.
Come provocatoriamente ha scritto qualcuno “ho i canini, quindi sono carnivoro” , perciò smetteremo di mangiare carne solo quando l’evoluzione ci priverà dei denti!