La concezione politica, culturale ed etica, per così dire la sua visione del mondo è interamente espressa e rappresentata nelle sue opere: nei suoi romanzi come nelle sue poesie e nei suoi saggi. E’ dentro Quelli dalle labbra bianche: in quei poveri, affamati, denutriti e anemici, che non portavano le labbra coralline ma bianche appunto, perché hanno sempre mangiato il prodotto di piante frumentacee e poca carne e pesce, destinati ai piatti dei ricchi. Dentro quei nove sardi caduti nella steppa russa: in guerra. Sardi – dirà Masala – cattivi banditi in tempo di pace, ma eroi buoni in tempo di guerra: in guerre nelle patrie trincee, in pace nelle patrie galere. E’ dentro “Serafina, la vedova del caporale Efisio Pestamuso” che in chiesa, durante la celebrazione di una messa funebre in memoria dei nove sardi defunti, “sta rigida davanti al candelabro del defunto marito. Non ha alcuna voglia di sentire quello che grida Prete Fele” perché “non le interessano le ferite riportate dal Cristo nero. Quelle di suo marito nessuno le ha contate”. E’ nel romanzo Il dio petrolio, ambientato a Sarrok (Cagliari), città simbolo dell’industria petrolchimica (de s’ozu de pedra: dell’olio di pietra), che secondo Masala avvelenerà e devasterà alcuni fra gli angoli più suggestivi della Sardegna, sconvolgendo anche a livello antropologico le popolazioni. E’ nei saggi di Riso sardonico, in cui afferma apoditticamente che “La storia di necessità è storia dei vincitori, i vinti non hanno storia…gli storici insomma scrivono la storia con la complicità degli archivi (sos papiros) lasciati dai vincitori: i vinti non possono lasciare mai nulla negli archivi”. E’ in S’Istoria (Condaghe in limba sarda, come sottotitolo) nel quale Masala riprende e amplia nel tempo la vicenda di un paese simbolo della Sardegna, Biddafraigada. E’ in e Sa limba est s’istoria de su mundu storia di un villaggio malefadadu di contadini e pastori. E’ nelle sue poesie: in Littera de sa muzere de s’emigradui, in cui la moglie dell’emigrato appunto rivolgendosi al marito: Prenda mia istimàda,/cando torras,/ si mai has a torrare, /no mi pèdas ue est s'aneddu 'e oro:”est diventadu pane a fizu tou, gli annuncia. E’ in s’Innu nou contra a sos feudatarios in cui canta : Trabagliade, trabagliade,/minadores de Carbonia,/in sos puttos de ludràu:/cras bos toccat sa pensione,/unu pagu ‘e silicosi/e unu pagu de cannàu.
Ma è soprattutto nella sua attività di militante e combattente per il Bilinguismo. Iniziò la sua battaglia quando su Comitadu pro sa limba elaborò la proposta di legge che fu sottoscritta con firme autenticate da 13,650 elettori sardi. Fu Masala stesso, come Presidente di quel Comitato a presentare la proposta il 17 Giugno del 1978 al presidente del Consiglio regionale. Da allora lo scrittore sarà sempre più impegnato sul fronte della difesa e della valorizzazione della Lingua sarda e dunque della necessità di introdurre nell’Isola il Bilinguismo perfetto, con la parificazione giuridica e pratica del Sardo con l’Italiano, ad iniziare dall’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado della lingua sarda nell’insegnamento e dunque nei curricula scolastici.
Ma possiamo anche parlare di Masala “politico”, sensu stricto come militante nel PSI prima e nello PSIUP poi. Nel PSI si iscrisse agli inizi degli anni ’60 per uscirne subito dopo, nel 1964, seguendo l’amico Lussu nel Partito socialista di unità proletaria. Questo Partito nacque in seguito alla scissione del PSI, accusato di aver tradito gli ideali socialisti, dopo l’ingresso nel Governo di centro-sinistra, voluto da Nenni e guidato dal democristiano Aldo Moro. Nello PSIUP fa parte del Comitato regionale: ma per poco tempo. Inizia infatti a muovere forti critiche alla forma-Partito e ai Partiti italioti in genere al loro al suo rapportarsi con la Sardegna in forme di colonialismo politico e culturale. “Presi coscienza – scriverà – che la scissione era stata un’operazione di vertice e, anche e soprattutto, che la dirigenza sarda dello PSIUP (purtroppo tutti figli e nipoti politici di Lussu) nella quasi totalità, altro non era che la filiale isolana della fabbrica politica italiota, cioè si limitava a importare nell’Isola i manufatti politici prodotti in Continente: insomma una grave forma di centralismo burocratico, di colonialismo politico-culturale, senza nessun approfondimento né della Questione sarda né della grande lezione del sardismo lussiano”. Scrive dunque una lettera a Lussu. Eccone alcuni scampoli: "I padroni del Partito, cioè i baroni delle tessere, hanno adottato una tattica adoperata in Sardegna già nel periodo dei Nuraghi: i cacciatori nuragici avevano scoperto che, riunendosi in gruppo, potevano cacciare meglio, cioè potevano procurarsi maggior cibo, nei territori di caccia. Naturalmente i moderni cacciatori, a differenza dei clan nuragici, non usano le clave ma le tessere. Esse le tessere contano più di qualunque corretta ideologia…esse le tessere procurano ai baroni un maggior peso e un maggior potere…dentro le riserve di caccia del Partito – continua la lettera – di necessità i clan devono darsi battaglia fra di loro, litigare insomma, per il maggior cibo, su futili pretesti ideologici e senza comprensibili motivazioni politiche: prima si stabilisce di essere contro e poi si inventano le motivazioni per cui si è contro. Così l’ideologia diventa aria fritta, nebbia, catrame e il Partito stesso diventa un cane che si morde la coda. Insomma questi baroni delle tessere fanno come il figlio Giove col padre saturno: per paura di essere divorati dal padre (il Partito), essi i figli espropriano il potere egualitario di tutto il Partito, cioè si divorano il padre. E non basta. I padroni del Partito, oltre a uccidere il padre, ammazzano anche la madre, la Sardegna, distrutta dalla logica del centralismo burocratico italiota. Caro Lussu – conclude Masala – c’è veramente del marcio in Danimarca!”. Lussu rimase molto male: Masala voleva distruggere, ammazzare la sua creatura prediletta: lo PSIUP sardo. Lussu, rispondendo a Masala che voleva portare al mattatoio tutti gli psiuppini sardi, afferma che li vorrebbe tutti in Consiglio regionale… Ormai il dissenso fra i due è totale, almeno per quanto atteneva al Partito. Masala riscrive a Lussu un’altra lettera che servirà a aumentare il solco profondo che ormai li separa, non solo in merito al Partito ma anche su altre questioni importanti. Scrive Masala: 1.Lo PSIUP in Sardegna come tutti gli altri Partiti italioti, è funzionale allo Stato accentratore; 2. L’Italia è uno Stato ma non una Nazione, mentre la Sardegna è una Nazione ma non è uno Stato; 3. La cosiddetta Autonomia è una perfetta Eteronomia; 4. L’esperienza sarda dimostra che lo stato, comunque esso sia è un nemico. Lussu risponde in modo secco e acre, quasi indispettito: in merito allo Stato ma non solo. "Il modo in cui rievochi lo Stato – scrive Lussu – fa pensare che tu sia con gli anarchici non con Marx". Altrettanto secca è la nuova lettera di Masala: "A pensarci bene – scrive – l’ultimo e più felice stadio di una società comunista è l’anarchia, cioè una società di liberi e uguali, senza governanti e governati, senza dominatori e senza dominati, senza vincitori né vinti. Per conto mio – prosegue Masala – non sono per l’anarchia borghese ma per l’etnia egualitaria, cioè per una comunità etnica che produce beni materiali e culturali da distribuire in parti uguali. Se è vero come è vero che la proprietà privata ha creato il codice per legalizzare e sacralizzare le disuguaglianze, allora è vero che per desacralizzare la proprietà, per decodificare lo Stato è necessario ritornare alle etnie egualitarie". Inoltre Masala, pur sapendo che Lussu come una malabestia odiava il separatismo, conclude la lettera affermando che: "A pensarci proprio bene l’Italia non è la nostra madrepatria ma è la nostra matrigna e non è più una donna giovane e bella, con la corona in testa, come appare nelle carte bollate postrisorgimentali, ma è una vecchia che puzza, non c’è quindi da addolorarci molto se l’etnia sarda comincia a prendere le distanze da questa salma”. A questo punto la polemica epistolare fra Lussu e Masala si interrompe. Anche perché in una ultima, provocatoria e “cattiva” lettera Masala ricorda a Lussu alcune posizioni del passato che a suo dire sarebbero in contraddizione con quelle del presente. In modo particolare un articolo contro le leggi antiebraiche in Italia, pubblicato in Giustizia e Libertà del 21-10-1940, in cui il cavaliere dei Rossomori aveva parlato di “Repubblica sarda indipendente”.
Nonostante le scaramucce epistolari rimarrà comunque intatta la stima e l’ammirazione di Masala nei confronti di Lussu. Dopo l’esperienza politica nello PSIUP Masala – è lui stesso a sottolinearlo più volte – non aderirà più ad alcun Partito politico e sarà un libero “cane sciolto”. Con l’esplosione del Movimento del ’68 simpatizzerà con gli studenti e gli extraparlamentari ma anche a loro rimprovererà forme di colonialismo politico: con l’importazione in Sardegna di gruppi e gruppuscoli da Milano e altre città italiane e relativi programmi e proposte. La sua battaglia politico-culturale (scriverà saggi, romanzi, poesie, moltissimi articoli su Quotidiani e riviste, in modo particolare nel periodico Nazione sarda, con Lilliu, Eliseo Spiga, Antonello Satta, Elisa Nivola) sarà sempre più incentrata nella difesa della lingua sarda e dunque nella rivendicazione del Bilinguismo perfetto. Lingua sarda – me lo ripeteva fino all’ossessione – la cui salvezza e salvaguardia dipendeva soprattutto dal suo insegnamento, come materia curriculare, nelle scuole di ogni ordine e grado. Non aderirà neppure ai Movimenti e Partiti indipendentisti: pur essendo ormai la sua posizione di critica radicale all’Italia (un cadavere che puzza) da cui dunque occorreva allontanarsi al più presto.