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Quattro domande a Don Albino Sanna, il barbaricino segretario nazionale dell'Unione Apostolica del Clero

Ha festeggiato 50 anni di sacerdozio appena qualche giorno fa

a cura della redazione
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E’ nato a Gavoi nel 1939 don Albino Sanna e proprio qualche giorno fa ha festeggiato nel suo paese natale i 50 anni di sacerdozio. Un’occasione importante sia per il protagonista che per i suoi compaesani. Ma non solo, tutta la Barbagia ha preso parte all’evento con le sue comunità parrocchiali.
Don Albino è stato ordinato presbitero a Gavoi il 12 luglio 1964. Per 23 anni nel seminario diocesano è stato rettore e padre spirituale, per due anni parroco a Nuoro a San Giovanni e per altri nove a San Giuseppe. Ha in seguito varcato il Tirreno per stabilirsi a Roma dove ricopre il prestigioso incarico di segretario nazionale dell’Uac (Unione apostolica del clero). Papa Benedetto XVI lo ha insignito dell’onorificenza di prelato d’onore di Sua Santità il 6 novembre 2006. È laureato in Teologia pastorale nella Pontificia università lateranense. È giornalista pubblicista, scrittore nonché autore di nove libri. È stato segretario internazionale della Confederazione unione apostolica del clero e membro del Consiglio internazionale.

Abbiamo rivolto a don Albino qualche domanda: un modo per conoscerlo meglio come uomo di fede e come barbaricino.

Ha voluto essere con la sua comunità a festeggiare una tappa importantissima della sua vita, la partecipazione è stata numerosa e grande l’affetto dei gavoesi. Sono momenti preziosi che custodirà nei suoi ricordi: quanto è importante per chi porta avanti la sua missione, avere la certezza di un nido familiare così grande e radicato? E alla luce del suo operato, quanto hanno influito nella suo lavoro l’essere nato e cresciuto in una comunità barbaricina?

La ricorrenza dei 50 anni di prete è stata per me un’occasione ulteriore per prendere atto del mio essere profondamente gavoese e gioire per la amabilità, interesse, partecipazione da parte dei miei compaesani nella loro totalità a questo evento che ho considerato e considero non tanto un mio onore quanto un onore di tutta Gavoi. “Festa del paese” è stato lo slogan delle celebrazioni. E così è stato. Non solo ha coinvolto tutto il paese ma anche quelli del circondario e delle comunità parrocchiali e del Seminario di Nuoro dove ho esercitato per quarant’anni il mio ministero. Sono convinto che la mia vocazione è nata per la fede e i valori che sono presenti ancora oggi, nonostante tutto, a Gavoi. Esso è come un terreno fertile che ha potato frutti di vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie. Una vocazione infatti non nasce per caso. I paesi della Barbagia sono forti nel carattere e fedeli alle proprie decisioni. Questa forza è stata per me fondamentale soprattutto nei momenti delle decisioni definitive e nei momenti di immancabili dubbi e difficoltà Tutta la comunità mi ha aiutato a vincere le perplessità e ora posso ringraziare Dio e tutta la comunità per il dono dei 50 anni di prete.

I giovani che oggi si apprestano a formare le famiglie di domani sono quelli nati negli anni 70, 80, 90… anni di profonde trasformazioni sociali. E mettere su famiglia ora, rappresenta un obiettivo che per molti risulta impossibile: come incoraggia i giovani in questo?

Il mondo dei giovani è profondamente trasformato in questi ultimi 50 anni, è trasformata tutta la società, il modo di comportarsi nelle relazioni interpersonali, nelle scelte lavorative e professionali, nel trascorrere il tempo libero, nelle relazioni familiari. E’ necessario riappropriarsi, in questo contesto difficile soprattutto per i giovani, dei valori di base compresi quelli religiosi, in una religiosità cosciente e libera, e di quelli familiari. La famiglia per molti giovani è diventata un rifugio. Nei decenni passati non si vedeva l’ora di emanciparsi dalla famiglia, ora si sta al suo interno perché non si trovano sbocchi lavorativi  e qualche volta perché è comodo. La società, e soprattutto la crisi economica,  non favorisce certo questa emancipazione, anzi, ha quasi creato delle paure, paura del futuro, e delle fragilità psicologiche e sociali. E’ difficile quindi pensare seriamente di formarsi una famiglia. Occorre prendere il coraggio a due mani, cercare e garantirsi un lavoro, consolidare affetti e relazioni interpersonali più stabili con chi si intende condividere tutta una vita. Se si lascia passare il tempo inutilmente è sempre peggio. In queste decisioni fondamentali dei giovani ricopre una funzione di incoraggiamento e di sostegno la famiglia. I genitori dovrebbero occuparsi subito, fin dall’adolescenza, del futuro dei loro figli.

Le nostre piccole comunità rappresentano un baluardo più unico che raro nel mantenimento dei rapporti sociali; l’associazionismo e la tradizione poi fungono da collante identitario per molti giovani e non. La “sardità” negli anni 60-70 per la maggior parte dei giovani era una catena che impediva alle generazioni di affacciarsi alla vita sociale - lavorativa “continentale”. Oggi invece c’è una rincorsa al recupero e al mantenimento di lingua e identità. Lei scrive “C’è una riscoperta delle tradizioni popolari come occasione per divertirsi e spuntinare fino all’esagerazione”. Non crede che invece questa riscoperta possa essere l’occasione per rafforzare quel sistema di valori di unione che ha sempre contraddistinto le nostre comunità?
 

E’ profondamente vero. Le piccole comunità costituiscono un baluardo nel rafforzamento dei rapporti sociali. Si presentano direi quasi in continuazione occasioni opportune per questo: feste del paese, occasioni di incontro tra famiglie per momenti gioiosi e tristi, compleanni, eventi religiosi. Mi pare che le nostre comunità apprezzino questo fenomeno che occorre fortificare nella conservazione di buone tradizioni curando il rispetto delle stesse, ma soprattutto il rispetto delle perone, la valorizzazione di chi si prende degli impegni di volontariato nell’organizzazione di eventi. Questo vivere intensamente la vita quotidiana delle nostre comunità non impediscono di vivere in altri contesti ambientali come conseguenza di scelte familiari e lavorative, anzi sono una forza interiore per affrontare nuove situazioni compresa quella di una eventuale o necessaria emigrazione, tanto è vero che tutti cercano di tornare almeno temporaneamente nel proprio paese o decidere, superata l’emergenza, di rientrare definitivamente, proprio perché queste sono le nostre radici ed in esse ci realizziamo come persone nella serenità e nella concordia. La “sardità”, la riscoperta delle tradizioni popolari, i  momenti di festa devono rimanere, anzi  occorre crearne anche di nuovi in modo che la gente si ritrovi, dialoghi, festeggi. Dobbiamo uscire di più dalle nostre case e socializzare.

"Verità, bontà, bellezza", un'esperienza di fede da vivere nella povertà, semplicità e nella pace, una sete di spiritualità. Lo ha scritto ormai più di un anno fa, a commento di una foto su facebook in seguito all’elezione di Papa Francesco: simpatico, dal piglio popolare e alla mano. Quanto è cambiata veramente la percezione della Chiesa nella gente, e quanto questo ha “migliorato” il vostro lavoro in mezzo alle persone?

Sono profondamente convinto che l’esperienza di fede favorisce il vivere sociale sereno e carico di speranza. La fede ha bisogno di essere vissuta nella società e tra la gente senza essere invadente o condizionante, anzi è una forza interiore di libertà e di rispetto degli altri e delle loro convinzioni. Non sempre viene colto questo valore, forse per pregiudizi ideologici. L’attuale Papa ci ha riportati all freschezza del Vangelo e alla vita di fede sincera, serena, semplice e concreta. Sempre di più tra i giovani vi è la ricerca di spiritualità, una spiritualità che coinvolga la persona liberandola da incrostazioni pietistiche, ma che dia prospettive future nella scelte di vita nella solidarietà, aiuto e disponibilità verso gli altri, donazione di sé nella generosità. Tutti questi elementi servono ad unire maggiormente le comunità e a dare ad essa una maggiore profondità del senso della vita. La “nuova primavera” con l’elezione di Papa Francesco sta interessando sinceramente tutta la società e la sta aiutando alla riscoperta di una religiosità più vera. Questo evento interessa soprattutto i giovani. La mia esperienza di prete a Roma mi consente di toccare per mano questa bella e confortante novità. Stiamo cercando e lo dovremmo fare con maggiore entusiasmo di concretizzare questa “novità” nella nostre comunità a iniziare da quella dei preti e dei religiosi. Sono fiducioso che questo evento porterà maggiori energie e freschezza a tutta l’esperienza religiosa. Vi è un’attesa e noi preti in particolare dobbiamo non deluderla. Il Papa ci ha tracciato una strada feconda.

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