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Viaggio storico-letterario in Sardegna

Un saggio di Francesco Casula sulla peculiarità e autonomia di una cultura

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Su Conquiste del lavoro - Quotidiano della CISL fondato nel 1948 da Giulio Pastore, la giornalista sarda Alessandra Mulas ha recensito la "Letteratura e civiltà della Sardegna" (2 volumi, Edizioni Grafica del Parteolla-Dolianova) di Francesco Casula. Ecco il testo. 

Francesco Casula intellettuale e studioso di storia, lingua e cultura sarda già autore di numerosi volumi riguardanti queste tematiche ha voluto regalare una ricostruzione storica della letteratura sarda. Il secondo volume, il primo pubblicato nel 2011, prosegue il tracciato dando nuova linfa a grandi scrittori e letterati dimenticati che non trovano spazio nei programmi scolastici e di studio. Parliamo di romanzieri come Grazia Deledda, Salvatore Satta e Giuseppe Dessi; ma anche di Sigismondo Arquer, Peppino Mereu, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Nereide Rudas, Salvatore Niffoi e di tanti altri nomi meno noti ma la cui produzione è di grande importanza per inoltrarsi in una terra antica che si inserisce in un panorama geopolitico importantissimo per la sua posizione strategica, al centro del Mediterraneo. Nella sua opera, Letteratura e civiltà della Sardegna, Edizioni Grafiche Parteolla, presentata nella sua interezza anche nella sala Protomoteca del Campidoglio, l’autore propone un viaggio storico-letterario partendo dalla nascita della lingua sarda e dai primi documenti in volgare sardo per giungere fino ai nostri giorni. Siamo in presenza di una cultura letteraria autonoma, con caratteri e segni peculiari che non possono essere inseriti in un contesto dialettale, perché il suo è un percorso di letteratura nazionale sarda. Dalle parole dell’autore si comprende che si parla di un popolo che si porta dietro sempre le proprie radici ovunque si trovi “Una Letteratura sarda esiste se, come ogni letteratura, ha i tratti universali della qualità estetica e se, in più è specifica, non tanto per questioni grammaticali e sintattiche, quanto per una questione di Identità” e dunque “che gli autori sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda”. I due volumi sono strutturati con una caratteristica prettamente didattica attraverso un modello di analisi, valutazione e comprensione dei testi, dando al lettore la possibilità di inoltrarsi all’interno di una cultura identitaria fortissima che traspare in tutta l’opera perché nella “complessa e difficile tematica dell’autoconsapevolezza e dell’individuazione personale e collettiva l’Identità è andata assumendo grande rilievo …”. Un’identità che pone degli interrogativi alla psichiatra, intellettuale e studiosa Nereide Rudas sui vari significati che questo termine e modello di rappresentazione sociale voglia esprimere. Argomento che ritroviamo in Grazia Deledda, Emilio Lussu, Giuseppe Dessì, Salvatore Satta i quali sottolineano che la Sardegna non è solo “uno scenario, uno sfondo, ma la vera protagonista, non un luogo ma il luogo, non l’oggetto ma il soggetto”. Presi dalla foga eurocentrica molti studiosi hanno volutamente dimenticato che la civiltà nuragica è stata la più grande della storia di tutto il Mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Terra aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli. La Sardegna, l’Isola sacra in fondo al mare di Esiodo, l’Isola dalle vene d’argento di Platone poi Ichnusa Sandalia ecc. oltre che Isola felice è infatti Isola libera, indipendente e senza stato, organizzata in una confederazione di comunità nuragiche mentre altrove dominano monarchi e faraoni, tiranni e oligarchi. Non a caso le comunità nuragiche costruiscono nuraghi, monumenti alla libertà, all’egualitarismo e all’autonomia. Finchè i Cartaginesi non invasero la Sardegna, per depredare e dominare l’Isola. Con il dominio romano fu ancora peggio, un etnocidio spaventoso. La comunità etnica fu inghiottita dal baratro, almeno metà della popolazione fu annientata, ammazzata e ridotta in schiavitù. Chi scampò al massacro fuggì e si rinchiuse nelle montagne, diventando dunque “barbara” e barbaricina, perché rifiutava la civiltà romana: ovvero arrendersi e sottomettersi. La lingua nuragica, la primigenia lingua sarda del ceppo basco-caucasico, fu sostanzialmente cancellata: di essa a noi oggi sono pervenuti qualche migliaio di toponimi: nomi di fiumi e di monti, di paesi, di animali e di piante. Le esuberanti creatività e ingegnosità popolari furono represse, la gestione comunitaria delle risorse, terre foreste e acque, fu disfatta e sostituita dal latifondo, dalle piantagioni di grano lavorate da schiere di schiavi incatenati, dalle acque privatizzate, dai boschi inceneriti. La Sardegna fu reclusa entro la cinta confinaria dell’impero romano e isolata dal mondo. E’ da qui che nascono l’isolamento e la divisione dei sardi, non dall’insularità o da una presunta asocialità. A questo flagello i Sardi opposero seicento anni di guerriglie e insurrezioni, rivolte e bardane. Un’altra spaventosa ondata di “malasorte” si abbattè sull’Isola, soprattutto nell’800 ma anche nel ‘900, e si snoderà attraverso una serie di eventi devastanti: socio-culturali prima ancora che politico-economici. Fino ad arrivare ai nostri giorni: allo stato centralizzato La storia dei Sardi, come nel passato, continua infatti ad essere caratterizzata da quella che il già citato Giovanni Lilliu chiama la costante resistenziale che ha loro permesso di conservare il senso d’appartenenza ovvero “quell’umore esistenziale del proprio essere sardo … costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno”. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del Mediterraneo.

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