E’ da tempo che la stampa sarda dedica ampio spazio alle campagne elettorali, per il rinnovo del Governo dei sardi, trascurando l’obiettivo prioritario per il quale le forze politiche isolane dovrebbero ambire a candidarsi e a vincere le elezioni e cioè: come far uscire i sardi dalla crisi in corso e dare una nuova prospettiva etica, culturale, economica e sociale.
La crisi internazionale dei primi del 900 portò alla prima guerra mondiale, al fascismo e in Sardegna anche alla nascita del Psd’az, come organizzazione per portare avanti un processo di emancipazione del Popolo sardo. Ciò non avvenne non solo per le contraddizioni interne allo stesso partito, ma per l’instaurarsi in Italia, e nel resto d’Europa, di dittature fasciste funzionali ai piani del capitalismo e dell’imperialismo di quei tempi, che arrivò alla “resa dei conti” con la seconda guerra mondiale.
La ristrutturazione mondiale dopo il ’45 vide come risposta alle aspettative dei sardi la nascita dell’Autonomia, l’industrializzazione forzata dell’Isola, le servitù militari più vaste d’Europa e la perdita graduale di importanza politica dei movimenti e partiti identitari in favore di quelli più legati agli interessi momentanei dell’Italia. I due Piani di Rinascita, lungi dal creare emancipazione politica, ricchezza e prospettive economiche per i sardi, furono strumento di divisione, di sperpero e di creazione di clientele di cui la classe politica attuale continua parzialmente a vivere, mediando il dominio italiano e delle multinazionali della globalizzazione.
Il fallimento di questo progetto sociale ed economico si è accelerato anche per l’acuirsi di una crisi finanziaria ed economica che ha sostituito le guerre mondiali con le armi del dominio della finanza e delle banche, che perseguono il proprio profitto distruggendo popoli, nazioni e la stessa Terra nel nome del “progresso”.
La crisi oggi impone ai sardi la necessità della creazione di un progetto economico e sociale che a partire dalle risorse esistenti in Sardegna crei modelli alternativi ecosostenibili ed ecocompatibili, salvaguardando quindi le economie tradizionali esistenti, valorizzando la nostra cultura, il nostro ambiente, il nostro paesaggio: il patrimonio identitario irrinunciabile del Popolo sardo.
Questo percorso di rottura della dipendenza coloniale con la creazione di momenti, seppur parziali, di indipendenza e sovranità nazionale, deve fare i conti con il superamento delle “logiche di tancato” e di piccolo gruppo che in questi decenni hanno minato la crescita di un di un movimento politico organizzato che supportasse i sardi nel proprio ed originale progetto di indipendenza nazionale. Oggi siamo in una situazione di sudditanza e dipendenza non solo dall’Italia (che ha rinunciato persino alla sua stessa Sovranità, vedi il suo ingresso nel MES), ma dall’Europa della Finanza mondiale e dalle Multinazionali della globalizzazione. La consapevolezza che la Politica sarda, sino ad oggi, nel suo adeguarsi ai percorsi dei nostri dominatori, abbia perso l’orientamento tradendo la nostra storia e le aspettative di giustizia sociale, di libertà e di benessere per tutti i sardi, ci pone inevitabilmente di fronte alla scelta, se soccombere definitivamente o intraprendere un cammino alternativo che ci consenta di portare la Sardegna fuori dalla crisi. Nessuno lo farà per noi.
Questa prospettiva di speranza implica una un chiarimento dei rapporti tra lo Stato italiano e il Governo della RAS. In questi ultimi anni, la totale assenza di una rappresentanza politica sarda forte e autorevole, nei confronti dei Governi italiani, in grado di mediare i conflitti, è la prova dell’incapacità di questa rappresentanza politica di gestire il momento storico a favore dei sardi. Chi ha governato in questi ultimi cinque anni ha generato più sudditanza. Mai la nostra condizione di dipendenza dall’Italia e dall’Europa è stata così forte, umiliante e portatrice di povertà economica e sociale. La violazione dei principi dello Statuto di Autonomia a partire dalla Questione Fiscale, all’impugnazione da parte dei Governi italiani delle Leggi sarde (che siano buone o no per i sardi), sono atti di prepotenza e di prevaricazione nei confronti di un Popolo e di delegittimazione delle sue istituzioni deputate a legiferare autonomamente e a difendere i nostri interessi primari.
La mancata applicazione di buone leggi dello Stato (vedi il caso dei 300 Vigili del Fuoco sardi, a cui da anni si nega il diritto al rientro in Sardegna, contrariamente a quelli delle altre regioni d’Italia), lo sfruttamento militare e industriale del territorio, la negazione del diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione e alla mobilità… oggi impone ai sardi un percorso di Indipendenza e di sovranità per la Sardegna, non solo come diritto inalienabile dei Popoli all’autodeterminazione, ma come necessità per uscire dalla crisi.
La bussola della Politica italiana ha portato noi sardi a disorientarci. Non è più tempo di inseguimento di miraggi di benessere, creati ad arte per farci perdere l’orientamento, e come nel deserto, portarci in direzioni sbagliate per indebolirci e farci morire di sete. Noi dobbiamo seguire il nostro orientamento. Noi Indipendentisti dobbiamo chiederci quale sia la nostra funzione in un momento di crisi morale e strutturale, quindi finanziaria dello Stato italiano e dei suoi mezzi di controllo e quale percorso politico intraprendere per contrastarlo.
La risposta è la creazione di un vasto fronte nazionale sardo capace di unire l’indipendentismo diffuso e organizzato, insieme a tutte le forze politiche e movimenti che mettono al centro della propria azione la rottura della dipendenza e la Sovranità del nostro Popolo. Nella forza aggregante che veda il superamento di egoismi politici, di personalismi, di quei fenomeni di “cannibalismo” imposti e praticati al nostro interno per dividerci e impedirci di andare avanti, è la vittoria di un progetto politico che contribuirà a far superare la crisi ai sardi. Solo questo fronte può superare gli sbarramenti elettorali creati per eliminarci.
Alle diverse coalizioni indipendentiste, sovraniste, autonomiste e a tutti i movimenti civili di ribellione presenti in Sardegna, il pressante invito a uscire dalle logiche di primogeniture, dai tatticismi, dal tornaconto di gruppo, dall’isolamento in cui vogliono relegarci. Fare tutti un passo indietro significa acquisire maggiore forza per andare avanti tutti uniti con le nostre diversità. Se avremo la capacità di fare tutto ciò, il Popolo sardo acquisirà più libertà, autorevolezza e benessere e la Sardegna vincerà.