Nel momento in cui anche uno degli argomenti più impopolari quale quello dei vitalizi assegnati agli ex consiglieri regionali sta diventando di pubblico dominio, risulta ancora difficile avere la massima trasparenza e chiarezza sul futuro delle foreste demaniali della Sardegna.
Non c’è alcun intento polemico, né denigrazione o altro, ma l’esigenza fondamentale di conoscere elementi importanti e basilari per la conservazione e l’incremento del patrimonio ambientale isolano, in particolare il patrimonio ambientale pubblico rappresentato dalle foreste demaniali.
Dopo la denuncia pubblica (inizio aprile 2014) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus riguardo i rischi di tagli boschivi e di riconversione del bosco ad alto fusto in ceduo, l’Ente foreste della Sardegna (E.F.S.) ha ritenuto opportuno iniziare a fornire qualche particolare sui propri programmi in merito, con uno specifico comunicato stampa, preannunciando un’opportuna (un po’ tardiva, ma fondamentale) sezione specifica (“pianificazione forestale”) nel proprio sito web istituzionale dedicato ai programmi di utilizzo delle foreste demaniali.
A distanza di un mese è giunta, finora, soltanto una sintetica fotografia dell’area interessata dal primo taglio nella Foresta demaniale del Marganai (loc. Caraviu e su Isteri, Comune di Domusnovas): si tratta di un primo intervento di taglio di 34 ettari di Leccio, Corbezzolo, Fillirea, Macchia alta ed nell’ambito di un progetto pilota che prevede il “ripristino del governo a ceduo e la pianificazione dei futuri tagli” per complessivi 305 ettari (anni 2009-2021), in base al piano di gestione dei tagli boschivi del complesso Marganai approvato dalla Provincia di Carbonia – Iglesias con determinazione n. 95 del 3 dicembre 2010.
Così lo motiva l’E.F.S.: “i boschi oggetto di intervento sono stati sempre - a memoria d’uomo e documentale - governati a ceduo: pertanto il ripristino di tale forma di governo deve essere inteso come ripristino colturale e delle pratiche selvicolturali da parte dell’Ente Foreste (tale attività non era stata praticata nel recente passato ma era una realtà consolidata nei decenni precedenti). Il piano dei tagli ha quindi, sia per la modesta estensione e sia per la ripresa della consueta forma di governo, il carattere sperimentale e di ripristino di tale pratica prima che potesse essere perduta del tutto, in quel territori a ciò vocato”.
Da ciò si potrebbe supporre che tutti i boschi rientranti nella gestione dell’E.F.S. a memoria d’uomo governati a ceduo dovranno/potranno essere ricondotti a tale ripristino colturale e delle pratiche selvicolturali: dalla Foresta demaniale di S’Acqua Callenti (Castiadas), già governata a ceduo dai forzati dell’allora Colonia penale fino al 1956, alla Foresta demaniale di Rosas-Monte Orrì, (Narcao, Siliqua), già massacrata a ceduo per decenni a fini minerari, alle Foreste demaniali di Gutturu Mannu, di Is Cannoneris, di Monte Nieddu e di Pixina Manna, tutte già ampiamente interessate dalla ceduazione fino a 50-60 anni fa, nel cuore della più esteso compendio forestale del Mediterraneo, proprio mentre il nuovo Assessore regionale della difesa dell’ambiente Donatella Spano e i rappresentanti dei Comuni interessati (Pula, Sarroch, Assemini, Capoterra, Siliqua, Santadi, Uta, Villa San Pietro) stanno cercando di realizzarvi il parco naturale del Sulcis, come ben noto allo stesso E.F.S., che si è proposto per la gestione.
Come si vede, è necessaria la massima trasparenza e chiarezza su obiettivi e intenti della nuova politica forestale, in particolare dopo la redazione dei piani forestali particolareggiati di tredici complessi forestali, predisposti dall’A.T.I. D.R.E.AM. Italia – R.D.M. Progetti, ha avviato un nuovo utilizzo dei boschi sardi. L’obiettivo dichiarato è quello della gestione forestale sostenibile, ma non si comprende come mai si voglia cambiare rotta dopo decenni di ampiamente pubblicizzata attività di ricostituzione del bosco ad alto fusto dal precedente ceduo.
Non si può giocare con le parole affermando “i boschi oggetto di intervento sono stati sempre - a memoria d’uomo e documentale - governati a ceduo”: come noto, fra il 1820 e il 1883 le foreste della Sardegna vennero abbattute per i quattro quinti, con un picco nel 1847.
Quelle aree, poi, vennero governate a ceduo.
E, spiace dirlo, non chiariscono nulla le prese di posizione risentite, quasi porre domande su temi ambientali rilevanti sia lesa maestà, o le difese d’ufficio svolte da stimati docenti universitari quali il prof. Roberto Scotti che, per sua ammissione, è stato “coinvolto dal raggruppamento di imprese che li ha realizzati (i piani forestali particolareggiati, n.d.r.) per offrire supporto”.
Facciamo un piccolo passo indietro.
Sia in epoca romana (III sec. a C. – V sec. d.C.) che durante la dominazione catalano-aragonese e spagnola (XV-XVIII sec.) le foreste, i boschi e le macchie della Sardegna subirono l’attenzione della scure per ragioni sostanzialmente economico-speculative.
Sicuramente, però, è stato l’800 il secolo nel quale la copertura forestale isolana ha subito le peggiori e più pesanti devastazioni: dall’Editto delle chiudende (1820) all’abolizione del feudalesimo (1835-1843), alla creazione della rete ferroviaria (1865), questi sono i momenti storici nei quali il disboscamento della Sardegna creò le condizioni per l’attuale situazione diffusa di rischio idrogeologico.
Come sopra detto, tra il 1820 e il 1883 le foreste della Sardegna vennero abbattute per i quattro quinti, con un picco nel 1847.
Con i primi decenni del ‘900, fra mille difficoltà, prima lo Stato, poi la Regione autonoma della Sardegna, attraverso la gestione del Corpo forestale e dell’Azienda Foreste Demaniali (oggi Corpo forestale e di vigilanza ambientale e Ente foreste della Sardegna), hanno portato avanti una strenua attività per la ricostituzione del patrimonio forestale isolano, in particolar modo nell’ambito delle Foreste demaniali.
Oggi la Sardegna è la prima regione italiana per superficie forestale (1.213.250 ettari, il 50,36% dell’Isola), secondo l’Inventario nazionale foreste e carbonio, anche se in buona parte si tratta di macchia mediterranea evoluta e bosco misto a macchia. Uno straordinario patrimonio ambientale, validissimo a fini ambientali, paesaggistici, turistici. Per non parlare della difesa del suolo in un’Isola che sa solo il Cielo quanto ne abbia bisogno.
La retrocessione a ceduo - o chiamatela come volete - di ampie superfici di bosco e la conseguente ripresa dei tagli boschivi anche di boschi di fatto ormai ad alto fusto è destinata alla produzione di banale legna da ardere e biomassa, come sembra?
Oltre alla pulizia di bosco e sottobosco, sempre necessari e un po’ caduta in disuso, perché per non incentivare a questi fini la forestazione produttiva sulle estese aree di proprietà pubblica o privata oggi inutilizzate anche con il sostegno di fondi comunitari?
Sono diverse le normative applicabili nel caso concreto: dal regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i. sulla gestione dei boschi e il vincolo idrogeologico alle prescrizioni di massima e di polizia forestale ai sensi degli artt. 8-10 del regio decreto n. 3267/1923 (in Sardegna decreto Ass.re reg.le Difesa Ambiente n. 24/CFVA del 23 agosto 2006), ai piani economici (oggi piani forestali) di cui all’art. 130 del regio decreto n. 3267/1923, il cui valore sul piano giuridico prevede che siano “parificati a tutti gli effetti di legge alle prescrizioni di massima”. Parificati, non sostitutivi di quelle prescrizioni di massima che, all’art. 4, prevedono chiaramente il divieto di “conversione dei boschi d’alto fusto in qualsiasi forma di trattamento a ceduo”.
Inoltre, non bisogna dimenticare l’applicazione delle altre normative di tutela ambientale, da quella sul vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) a quella sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora (direttiva n. 92/43/CEE, D.P.R. n. 357/1997, D.P.R. n. 120/2003).
In attesa di saperne di più, c’è da chiedersi comunque come mai l’E.F.S., i cui organici (ben 7.000 dipendenti) sono forniti di ogni professionalità per la gestione forestale, sia dovuto ricorrere all’esterno per la redazione delle proposte di piano (importo pari a euro 1.121.250,00 + I.V.A.) e perché debba essere un Consiglio di amministrazione in scadenza di mandato e in assenza di Direttore generale a prendere decisioni così rilevanti per il futuro delle foreste demaniali sarde.
E’ necessaria la massima trasparenza e le più ampie informazioni, perché un ritorno al passato, anche parziale, sarebbe una follìa della quale la Sardegna non ha minimamente bisogno: auspichiamo ancora una volta una rapida presa di posizione da parte della nuova Giunta Pigliaru per la salvaguardia e l’incremento delle foreste demaniali e di tutto il patrimonio forestale isolano.