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Coldiretti. Mobilitazione per dire no al trattato CETA

Diversi Comuni sardi hanno già deliberato per impedirne l’entrata in vigore nel nostro Paese

redazione
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Era presente anche una delegazione sarda ieri mattina a Roma insieme ad allevatori, agricoltori, consumatori, sindacalisti, ambientalisti, rappresentanti della società civile e cittadini provenienti da tutta Italia, alla grande manifestazione in piazza Montecitorio, per fermare il trattato di libero scambio con il Canada, che per la prima volta nella storia dell’Unione accorda a livello internazionale il via libera alle imitazioni dei nostri prodotti più tipici e spalanca le porte all’invasione di grano duro e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero.

L’iniziativa è stata promossa dalla Coldiretti insieme a tante altre organizzazioni (Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch) per chiedere ai deputati di approfondire la discussione in Parlamento prima di assumere una decisione di ratifica che porterebbe ad un'indiscriminata liberalizzazione e deregolamentazione degli scambi con una vera e propria svendita del Made in Italy.

Il 15 febbraio 2017 il Parlamento europeo ha dato il proprio consenso alla conclusione delComprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), Accordo economico e commerciale globale tra Unione europea e Canada, firmato il 30 ottobre 2016. Il CETA è un accordo a natura mista per la cui entrata in vigore è necessaria la ratifica da parte di ciascuno Stato membro secondo le rispettive disposizioni nazionali. In Italia è in corso di approvazione la legge di ratifica.

Per questo Coldiretti sta mettendo in campo una serie di iniziative in tutte le Regioni italiane per sensibilizzare i parlamentari a non votare. Si stanno coinvolgendo anche Comuni. In Sardegna, come nel resto dello Stivale, sono tantissimi quelli che hanno o stanno deliberando per sollecitare il Parlamento ed il Governo ad impedire l’entrata in vigore nel nostro Paese  del CETA.  

“E’ un trattato che ci penalizza – sottolinea il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu – sia in casa, con le importazioni, che in Canada dove non sono vietate le imitazioni dei nomi dei nostri prodotti. L’accordo, infatti, prevede l’applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fitosanitarie tra le parti, consentendo di ottenere il mutuo riconoscimento di un prodotto (in questo modo si evitano nuovi controlli nel paese in cui verrà venduto). Il problema è che in Canada viene utilizzato un numero rilevante di sostanze attive vietate nel Ue. Su tutti: l’invasione del grano straniero arriva soprattutto dal Canada dove fanno largo uso del glifosato nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato, che però è vietato in Italia perché accusato di essere cancerogeno. Ma i nostri consumatori fin quando non ci sarà l’etichetta di origine non avranno uno strumento per scegliere in modo consapevole. Analogamente in Canada vi è un diffuso impiego di Ogm nei campi e di ormoni negli allevamenti che sono anch’essi vietati in Italia”.

Ma oltre a subire una concorrenza sleale e pericolosa per la salute dei nostri consumatori in Italia i nostri prodotti sono penalizzati anche in Canada.

Con il Trattato, infatti, si stanno svendendo i marchi storici del Made in Italy agroalimentare. Oltretutto costituisce un precedente pericoloso nei negoziati con altri Paesi anche emergenti perché sono cosi autorizzati a chiedere le stesse concessioni.

Con la ratifica del trattato il Canada è autorizzato a produrre e vendere in tutto il mondo il falso Made in Italy prodotto in loco.  

Tra i casi eclatante di sfruttamento delle denominazioni dei prodotti c’è il Romano che scimmiotta il nostro Pecorino romano, formaggio prodotto con latte di mucca invece che con quello di pecora.

“E’ un trattato che penalizza i nostri prodotti, che fondano sulla distintività e sulla qualità la propria capacità di competere – sostiene il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba -, mentre favoriscono le grandi lobby industriali che nell’alimentare puntano all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità. Questo porta ad una competizione basata solo sui bassi prezzi con gravi rischi per l’ambiente e la salute”.

 

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