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Zona franca: aspetti storici e socio - economici

di Antioco Patta (comitato pro zona franca)

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 Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Antioco Patta, in cui ci espone il punto di vista suo e del comitati pro zona franca. 

Labarbagia.net, come sempre, è aperta a tutti i punti di vista ed al un confronto sui contenuti. Per questo, ricordiamo, siamo aperti a qualsiasi altro contributo in merito. 

 

Cenni Storici:

          
Il dibattito sulla Zona Franca in Sardegna è tornato in auge solo di recente, tuttavia, è un tema che viene da lontano e che ha scaldato il confronto politico-istituzionale ai massimi livelli regionali e talvolta anche nazionali.

Già agli albori  dell'Unità d'Italia si pose il problema delle "sperequazioni" che porto ad un provvedimento (1868) che abolisce le zone franche nei vari porti (come Genova, Venezia, Livorno, Civitavecchia); dall'avvento dei Savoia (1720) alla caduta della monarchia ed al varo dello statuto autonomistico (1948) l'argomento è stato affrontato non poche volte da personaggi illustri della politica, delle istituzioni e dell'economia.... ricordiamo La Marmora che ipotizzo il porto di Cagliari come Porto Franco Internazionale al servizio del commercio mondiale; Attilio Deffenu nella sua battaglia per "l'antiprotezionismo", la "Commissione Pais Serra" e l'economista Giuseppe Todde che parlarono esplicitamente di Cagliari come "Porto Franco Mediterraneo" per finire con Egidio Pilia che definiva "mostruoso" il sistema amministrativo, tributario e doganale in essere, senza dimenticare le lotte per l'autonomia di Umberto Cao e soprattutto di Camillo Bellieni che già in occasione del 2° congresso sardista di Oristano nel 1922, teorizzava gli stati uniti d'Europa proprio partendo dalle zone franche, dalla lingua e dall'identità.

         
L'argomento è stato ripreso seriamente alla fine della seconda guerra mondiale con il lavoro della Consulta e della costituente ma della zona franca ipotizzata inizialmente è rimasto un equivoco e poco chiaro art. 12 della Legge Costituzionale n° 3 del 1948 (che cita i punti franchi), blandamente concesso dai costituenti nazionali che forse per compensare riconobbero alla Sardegna benefici fiscali su IGE e sui dazi dei prodotti dell'industria e dell'agricoltura nella misura del 50 %  per 20 anni poi prorogati di altri 10. In realtà la storia vera è che DC e PCI si allearono contro le spinte autonomiste della Sardegna in quanto partiti sostanzialmente entrambi centralisti, seppur con differenze di
visione complessiva.

Dopo anni di relativo silenzio, la questione riemerge prepotentemente alla ribalta con il congresso di Porto Torres del 1981 e con la campagna elettorale per le regionali del 1984, che vede protagonista il P.S. d'Az. ed il suo leader Mario Melis di un grande successo elettorale che attribuisce ben 12 consiglieri regionali al partito e proietta Melis alla Presidenza della Giunta. 

Il programma era chiaro e diretto, si partiva dai 12 punti dell'intesa di Carbonia e la Zona Franca, la Flotta Sarda ed il Bilinguismo erano gli assi portanti. Anche in quegli anni i "Signori dei Partiti di Roma" fermarono ogni iniziativa con taglio autonomista.....ancora alti e bassi con tentativi di proposta legislativa anche importanti nello sterile dibattito politico stato- regione e siamo all'ormai noto decreto legislativo 75/1998 che disciplina di fatto la questione della zona franca in Sardegna partendo dalla L. 3/1948. Il resto è storia recente e bisogna riconoscere che il merito è dei comitati civici pro zona franca che da mesi animano il dibattito con l'opinione pubblica e che hanno costretto all'azione anche la politica e le istituzioni regionali, fino agli atti formali di attivazione della zona franca firmati dal Governatore Cappellacci ed inviati a Dogane, Governo Nazionale ed Unione Europea.

Allo scopo comunque di favorire una più adeguata comprensione del problema si evidenzia nel merito:

- LE AFFERMAZIONI TENDENZIOSE:
Citiamo una frase che abbiamo sentito ripetere; "con la zona franca non  ci sarebbero i soldi per la sanità!....."
Ebbene, chi solleva questo problema si riferisce all'accordo Soru-Prodi del 2006 (art 1 comma 834) inserito nella Legge Finanziaria del 2007 e che prevede di scaricare (una parte) di sanità e trasporti locali sul bilancio della regione, in cambio dell'applicazione dell'art 8 dello statuto autonomistico (che prevede di dare alla una quota che va dai 5 decimi delle imposte di successione ai 9 decimi per imposta Tabacchi ed Accise) ma anche del 50 % dei crediti fiscali arretrati vantati dalla Sardegna e che uno studio della Fondazione Agnelli valutava in 10,2 miliardi di euro al 2004 (500 milioni di euro all'anno per 10 anni)....Accordo evidentemente capestro ed a nostro danno poichè si accontenta del 50 % di un diritto maturato e di un diritto esercitabile in cambio di nulla, anzi, per un costo visto che  sanità e trasporti sono costi tendenzialmente in aumento.

A questi rispondiamo che le cure sanitarie (LEA-Livelli Essenziali di Assistenza) sono garantite dall'art. 32 della Costituzione e quindi non dobbiamo scambiare nulla, semmai chiediamo di verificare se l'erogazione dei servizi sanitari è conforme al dettato costituzionale o meno. Comunque è un falso problema poichè il rapporto con lo Stato e con la UE rimane invariato, il rimborso IVA non è calcolato sul versato della Sardegna ma su un paniere nazionale convenzionale e quindi è scaricato sulla fiscalità  generale.

- LA SANITA' E L'INGANNO DELLE ACCISE SUI CARBURANTI:
Negli ultimi bilanci della regione, sono imputati come entrate da Accise circa 700 milioni di euro annui in luogo di circa 4,5 miliardi spettanti; infatti, la SARAS di Sarroch lavora circa 15-18 milioni di tonnellate di greggio che sono circa 1/6 dei 95 milioni lavorati in Italia; ebbene, nel bilancio dello stato, nel periodo 2001-2004 le Accise rappresentavano entrate tra 24.5 26,5 miliardi di entrate (studio della Fondazione Agnelli). Negli ultimi due anni hanno sfondato i 30 miliardi. Non ci vuole molto a capire che la Sardegna subisce un gigantesco inganno. Il trucco è nella definizione di Imposta di Fabbricazione (che spetterebbe alla Sardegna in quanto a Statuto Speciale) ed imposta di consumo (che spetterebbe a quelle con statuto ordinario), ovvero il momento dell'imposizione fiscale che può essere legata alla luogo di fabbricazione o al luogo di consumo. Un trucco che ci arreca un danno di circa 4 miliardi di euro annui (i 9/10 di 4,5 md) ......basta questo per poter affermare che LA SARDEGNA RISULTA ESSERE UN CONTRIBUENTE NETTO DELLO STATO ITALIANO.

- LA QUESTIONE IVA E LO STORNO ALLA REGIONE:
Ci sono persone e rappresentanze politico-istituzionali che sostengono che con la perdita dell'IVA a seguito della attivazione della zona franca la Sardegna perderebbe il gettito IVA (che oggi è di circa 2 miliardi di euro annui), che entra nel bilancio della RAS  e che la stessa usa per il suo funzionamento.....falso e tendenzioso anche questo: infatti;

1°) Il ristorno dell'IVA dallo Stato nazionale, avviene da una "cassaforte" nazionale generale e secondo un paniere di parametri convenzionali che prescinde dal singolo versamento. 

2°) l'IVA non versata riguarda solo i consumi locali (dentro un principio di compensazione per maggiori costi sostenuti e dentro un quadro di solidarietà nazionale) e non gli scambi con l'Italia e l'UE verso i quali rimane tutto inalterato. 

3°) In ogni caso, l'IVA versata sui consumi locali rimane in loco per intero e partecipa all'aumento dei consumi e degli investimenti che a loro volta generano lavoro ed entrate per lo Stato dentro un circuito virtuoso ed autopropulsivo; studi recenti dimostrano che nel caso Sardegna lo Stato Nazionale addirittura da un'ipotesi del genere ci guadagnerebbe (si parla di un aumento del 16-18 % del PIL e quindi di entrate certe e superiori sia dirette che indirette per lo stato).

- LA QUESTIONE ENTRATE-USCITE CON LO STATO:
Troppo spesso si parla di entrate e non si parla di uscite, il "Caso Sardegna" è su questo versante "emblematico": abbiamo 392 mila disoccupati che non producono reddito, non versano contributi e partecipano scarsamente ai consumi; di questi, circa 114.000 sono sono sotto "l'ombrello" degli ammortizzatori sociali e che tra erogazioni dirette (CIG, MOB, DS, AF) ed indirette (Contributi figurativi e diritti previdenziali) generano un costo di circa 130 milioni di euro mensili...... ma anche mancati ricavi (IRPEF, INPS, IVA da maggiori consumi, IRAP....) che possono essere quantificati in circa 170 milioni di euro mensili. Diciamo  questo perchè gli studi sulle zone franche dicono che nel caso Sardegna si possono creare 200.000 posti di lavoro in 5 anni, quindi eliminare o quasi la disoccupazione strutturale e dimezzare il numero dei senza lavoro totali. Il risultato sarebbe strabiliante: 130 milioni al mese risparmiati, 170 milioni di ricavi sostitutivi ed altri 150 milioni mensili da ulteriori 90-100.000 posti di lavoro aggiuntivi. A tutto ciò si aggiungerebbero le entrate derivanti dalle attività di impresa, dai maggiori consumi e dall'aumento delle attività "internazionali" con particolare riferimento ai servizi (bancari, finanziari, portuali, contabili, commerciali, progettuali, sanitari, alla persona.....)

Insomma, nello spazio-tempo di 5 anni, la zona franca in sardegna potrebbe creare 200.000 posti di lavoro, assorbire le uscite attuali e generare ulteriori 200 milioni di euro di entrate mensili anche ad un ostinato, egoista e miope stato nazionale italiano.

- IL PROBLEMA DELLA LIQUIDITA' CIRCOLANTE:
Diamo un dato che rende l'idea: la Sardegna è considerata una regione a forte connotato economico agro-alimentare; ebbene, il defcit nella bilancia agro-alimentare è ormai
vicina ai 3 miliardi di euro annui; significa che ogni hanno ci sono tre miliardi di liquidità che prendono le vie del mare e non fanno più ritorno, vuol dire che nel solo "periodo euro" sono spariti dal territorio sardo oltre 30 miliardi di euro in banconote. Se a questo aggiungiamo le diseconomie produttive (che Confindustria valuta per le imprese tra il 15 ed il 20 %) ed i maggiori costi delle famiglia (che nel contesto dei servizi  l'ISTAT valuta attorno al 25 % ), il gioco è fatto; la Sardegna è strangolata dai maggiori costi e da difficoltà che non dipendono dalla propria volontà ma da fattori esterni. Lo dimostra la crisi del sistema industriale, dell'agricoltura e della zootecnia, del turismo e dell'edilizia e dei consumi; lo dimostra la situazione e l'operato del sistema bancario, l'indebitamento delle famiglie e delle imprese, la "Questione Equitalia", il nuovo fenomeno dell'emigrazione giovanile e "dulcis in fundo", il fenomeno nuovo e sconosciuto dei suicidi.

- LA DEMOCRAZIA E LA VOLONTA'  POPOLARE:
Noi aggiungiamo anche che in un paese dove vige lo "stato di diritto" e dove la politica è protagonista positiva nell'amministrazione della cosa pubblica e del governo degli interessi generali, non può sfuggire il fatto che nella fattispecie siamo di fronte non solo ad una richiesta legittima con ineccepibile base giuridica e di "diritto" ma anche ad
una precisa volontà popolare che rappresenta un autentico esempio di esercizio della democrazia. Hanno deliberato per la zona franca, infatti, circa 300 dei 377 comuni della Sardegna, si sono costituiti spontaneamente oltre 150 comitati civici pro zona franca con decine di migliaia di sostenitori.
 
In conclusione;

la Zona Franca forse non risolve tutti i problemi della Sardegna e della "Sua Gente" ma è oggi uno dei pochissimi strumenti credibili ed immediatamente attivabili.....e che contiene nel proprio DNA due caratteristiche fondamentali: la semplificazione amministrativa e la riduzione dei costi (che piace alle imprese) ed il grande livello di autonomia che favorisce lo sviluppo endogeno e la difesa dell'identità (che piace agli abitanti del luogo). Non si tratta di un sogno o di un'ambizione astratta.....si tratta di storia del mondo realizzata e conosciuta, anche recentissima e vicina al nostro contesto.....si tratta di un diritto negato alla comunità sarda che rischia di diventare un crimine contro l'umanità......contro l'intero popolo.

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