Gisella Vacca, attrice, cantante, Artista poliedrica, ma soprattutto Donna, la Donna Sarda originaria di Ovodda - piccolo paese nel cuore della Sardegna - che erra nella sua Terra Madre, si nutre dei suoi frutti, si adorna dei suoi fiori, e profuma di erbe selvatiche. Ecco perché il suo esordio editoriale non poteva non trasmettere la morbidezza sinuosa protettiva della Dea Madre, evocatrice di vita in ogni passo della sua vita. Gisella, come la Dea Madre nasce da se stessa; è lei che, nel donare la sua voce, i suoi versi, la sua bellezza Barbaricina, celebra la vita e, dunque, la femminilità.
Non è un caso il simbolo della Dea Madre che mostra orgogliosa, custodito e protetto dai seni materni, anch’essi emblema per eccellenza di nutrimento e di vita.
Si prende cura della sua Dea Madre, da sempre.
È sufficiente sfogliare “Sulla mia carne morbida” (Cenacolo di Ares, 2017) per carpire più di quanto l’autrice osi scrivere.
Le ventuno fotopoesie che il lettore assaggerà, con la vista,entreranno nell’animo per vie traverse. L’occhio catturerà la forza primordiale tanto della Dea Madre quanto dell’artista che con originali scatti fotografici combinerà parola e immagine, o forse il contrario. Lo si arguisce dall’unione poetica dei colori che emergono dalla copertina. Uno sfondo neutro consente di far intravedere i semi della vita, le spighe d’avena, che hanno accompagnato l’infanzia di ogni bambina, sognante una maternità. “Discendenza”, famiglia, amorevolmente avvolta da un indaco, corpo fondante e cornice della foto in quarta di copertina, e soprattutto del nome in caratteri decisi e fieri, proprio come la divinità, femmina.
Femmina è l’acqua. Femmina è la pietra.
Lo sa bene Gisella Vacca mentre procede cauta sugli scogli; il suo movimento, immortalato dallo scatto di Grzegorz Gronowiz, appare nitido e in azione, è un fermo immagine da cui traspare, ancora una volta la Donna che sa riconoscere l’essenza della Vita“nei segni del dolore cristallizzati in sassi nel loro colore che cambia con le nuvole e con le stagioni”, comunque un Paradiso.
E l’essenza di una Donna è il potere, la sua testa. Sì, proprio lei, distante apparentemente dal cuore, e che, invece, si perde per prima quando i battiti iniziano a danzare palpitanti, e l’energia profusa invade, non una parte, ma tutta se stessa. Oscilla e si abbandona, complici l’aurora e il tramonto, “anche se poi la testa la rivoglio indietro quando l’amore passa”.
Una mantide, dispensatrice di morte e di vita.
È nella Natura, nella Vita, la morte. È accompagnata dal ricordo, dal filo della memoria che tiene stretti i fili della tela dell’amore. Fili colorati di un arcobaleno, il riverbero dopo la pioggia, attraversata dai raggi del sole. Un volto appare dissolto come quell’amore dove “hai fatto tutto tu perché ti amassi e soprattutto perché nell’attimo che dura una canzone io non ti amassi più”.
Sono poesie, cullate da scatti fotografici. Sono immagini colorate di rosa indaco. Un colore rosa che nasce dalla commistione del sangue, rosso, che confluisce per generare vita, e si depone nelle mani candide. Talvolta il rosa diviene rosa, “il totem di Santjordi, un libro una rosa e le sue spine. O, le spine soltanto.”
Il sangue, umore e fluido vitale, da assaporare e da onorare ogni giorno, perché Gisella Vacca con “la Luna in domicilio” esalta la danza della vita e della creatività: una luce intensa trapela su un cielo cupo attorniato da nuvole sospese, compagne e testimoni dei passi leggiadri sulla Terra, Oceani di Luna su cui specchiarsi, ogni giorno.
E, nel farlo, i segni del tempo scrivono altri versi, disegnano curve morbide sul corpo, adagiato, caldo e accogliente, una distesa piana che fa spazio al cuore e all’amplesso della vita. Non un colore trapela. Il chiaro scuro, sfumature e ombre sono le protagoniste della vita, e della morte.
“Canto Vita e Poesia … sono l’età dei miei seni”, nudità della Dea Madre, che in una danza gravida attorno al mistero della Vita, attende, “come ogni donna, nuda, più isola che mai offerta in pegno alle maree che lambiscono e fuggono.”
Intanto la Luna si diverte a giocare a nascondino, come una bambina, curiosa, cullata dalle nuvole volteggianti, cattura la luce dell’amico Sole, ma si concede piano piano, ritmando nei seni il fluire della vita fin le viscere profonde della Donna. Nuda, morbida.
La sintesi di un’opera d’arte è impossibile, e, a conclusione della serata del 7 agosto 2017, presso l’ex Vetreria di Pirri, a Cagliari, ne sono sempre più convinta. Lo stesso Giacomo Mameli, giornalista e scrittore - relatore insieme alla sottoscritta - ha ripetuto più volte che le poesie non si debbono commentare, bensì leggere o ascoltare. Ascolto guidato dalle note al piano di Renato Murgiori, sostenendo la forza e unicità delle poesie di Gisella, difficili da incontrare in una marea, ormai, di numerose persone ‘scrittori e poeti’, come sottolinea l’editore Ivo Murgia della casa editrice Cenacolo di Ares di Cagliari.
Gisella Vacca si è distinta. L’originalità, la profondità, la capacità di unire popoli erranti e mantenere l’identità Sarda, esaltando la Terra Madre, ci hanno accompagnato durante la serata, con la voce narrante della stessa autrice, capace ditrasformare in poesia anche l’aria afosa di una notte d’estate nella città del sole.
Nulla è lasciato al caso. La Musica e la Poesia sono il linguaggio universale della Vita, senza mediocrità, “ogni raro incontro è amplesso sublime”, perché è Musica e Poesia.
Come lo è il nome: Gisella Vacca. Segno distintivo di una Donna, e di una generazione, Sarda, figlia e madre dell’Arte.
Gisella Vacca ha celebrato la femminilità nella massima accezione possibile. Solo chi può donare se stesso offre all’altro la possibilità di inseguire un sentiero, dell’anima.