Negli anni universitari Francesco Dore entra in contatto con il Circolo di San Saturnino, organizzazione cattolica fondata nel 1871 da un gruppo di giovani studenti dell’aristocrazia e borghesia locali, tra cui Enrico Santjust, che ne assunse la presidenza e il teologo Francesco Miglior. Quest’ultimo non ebbe riguardi nell’attaccare il canonico Giovanni Spano, personaggio di spicco del capitolo metropolitano, per avere fondato il “controcircolo” massonico Giuseppe Manno in opposizione a quello di San Saturnino. Del circolo in odore di massoneria fu presidente il neolaureato in giurisprudenza Luca Canepa allora ventunenne, futuro vescovo di Nuoro, prima della sua trasmigrazione nel Circolo di San Saturnino, e per questo confessò in seguito «che per qualche tempo fosse stato illuso da un falso liberalismo».
Nei primi anni il Circolo di San Saturnino conosce un rapido sviluppo. Infatti, oltre agli studenti cattolici, si associano numerosi esponenti del clero, ma anche commercianti, artigiani e operai. Questo sodalizio rappresenta il nucleo fondamentale del movimento cattolico-intransigente sardo, votato a contrastare il clima anticlericale dilagante in quell’epoca. L’educazione dei soci alla pronta e coraggiosa professione di fede, il rispetto e la sottomissione al romano pontefice, costituiscono i capisaldi delle norme statutarie. La formazione religiosa e culturale, l’attività giornalistica, la costituzione di una biblioteca circolante, si intrecciano con l’impegno pietistico-caritativo e con la partecipazione alle pubbliche manifestazioni religiose e ai pellegrinaggi. Il peso attribuito all’aspetto intellettuale e religioso con il passare degli anni serve a caratterizzare e a differenziare meglio i diversi momenti vissuti dal Circolo, che conosce fasi alterne di vitalità e di crisi. Al debutto promettente dei primi anni, segue infatti un periodo di decadimento nella seconda metà degli anni ’70. La partecipazione di Francesco Dore coincide con una breve stagione di rinascita. Ammesso come socio attivo il 22 maggio 1882, Dore viene eletto vicepresidente appena un mese dopo. Dai verbali delle sedute risultano iscritti al Circolo il fratello Pietro all’epoca studente di medicina e l’amico Salvatore Daddi, passato da Nuoro al Liceo Dettori di Cagliari. Ma c’è di più: nella seduta del 3 luglio 1882, si propone l’ammissione – come soci partecipanti – di Raffaela Satta madre di Francesco Dore, del canonico nuorese Pasquale Lutzu, di don Giovanni Daddi futuro parroco di Olzai e di Orune, del canonico Agostino Marchi nativo di Olzai.
Nella lettera circolare del 30 luglio 1882 inviata ai vescovi sardi, i soci del Circolo chiedono sostegno morale e finanziario per Il Risveglio, il nuovo periodico che sta per nascere con l’intenzione di parlare non solo alla chiesa cagliaritana ma a tutte le diocesi della Sardegna. Il Risveglio presenta ufficialmente il programma editoriale all’inizio di settembre, con un appello ai “buoni cattolici” sardi perché si facciano promotori di molti abbonamenti al giornale e mandino corrispondenze dalle diverse località dell’isola. Il ventiduenne Francesco Dore ne assume la direzione, affiancato da Potito Depau e da Giuseppe Borgna. Nel numero di saggio del 1 ottobre si legge la presentazione di Eliséo – pseudonimo di Francesco Dore – che si dichiara pronto a «raccogliere la parte più bella sin dalle parole e dagli atti degli avversari; del poter onorare negli amici, più che la comunanza delle idee, la coraggiosa verità che professino; del poter rispettare negli avversari, fra la lotta delle opinioni discordi, l’onesta sincerità che gl’ispiri».
Nella sua lunga carriera giornalistica, Dore avrebbe fatto ricorso sovente a pseudonimi richiamanti il paese natale o località limitrofe (come Drovennòro e Murùi, rispettivamente il rione in cui sorge la casa paterna e il quartiere confinante a monte, e Su Cràpinu nel bosco di Ollolai). Persino Eliséo, al di là del riferimento biblico – «Ma tu, o Eliseo vero, tu perdona l’indegno uso ch’io faccio del tuo nome...» – è assonante con Elisèa, quartiere periferico di Olzai. Rende onore al canonico Francesco Miglior, collaboratore del Risveglio e predicatore in duomo, quantunque non sempre parli «a modo da incontrare la piena approvazione dell’uditorio, e noi lo diremo francamente quando non incontri la nostra».
Ma il passo più sorprendente dell’esordio di Francesco Dore è la commemorazione di Antonio Giuseppe Satta Musio, già deputato al Parlamento e consigliere di Corte d’appello, poiché il personaggio era considerato un importante esponente della massoneria. «Intorno alla sua tomba forse per qualcheduno s’addirebbe meglio il silenzio; a noi invece pare bene dimenticare quali fossero le opinioni religiose del morto, mentre ferveagli in cuore la giovinezza». E riferisce che sul suo feretro non erano posate le insegne massoniche, ma solo «il segno augusto di nostra Redenzione», con evidente riferimento alla croce. Dore lo annovera tra i più insigni figli di Bitti, il paese che dette i natali anche a suo zio Giuseppe Musio e a Giorgio Asproni. «Tutti e tre vissero estranei alla nostra fede religiosa; ma Antonio Satta Musio aveva da molti anni in capo al suo letto un’effigie della Madonna... E sia pace all’anima tua, o galantuomo, povera vittima d’ogni umana perfidia: e ricorra sempre la benedizione degli onesti alla piccola tomba che rinchiude le tue ceneri modeste, o nostro vecchio patriota».
Nel primo numero del 20 ottobre compare un articolo intitolato Le condizioni e i bisogni del nuorese, siglato F.D, che prende spunto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta del 1869, per constatare che da quel periodo al momento in cui si scrive la situazione non è mutata. Dore lamenta che non si è adempiuto al «dovere supremo» che sta in capo a un Governo di una nazione civile, di migliorare le condizioni delle sue province. È colpa anche del Governo se il Nuorese è diventato «un nido di povertà angustiante e di ribalderia feroce», dove le sue braccia sovente hanno disertato «i campi di lavoro per accrescervi una guerra di assassini e di rapine». Lo stesso peggioramento della natura idrogeologica e del clima è da imputare a precise responsabilità. In passato il clima del Nuorese era salubre nelle zone montane malgrado i rigori dell’inverno, così come lo era in pianura, dove scorrevano «pure e fresche acque» provenienti dai terreni montagnosi, che contribuivano a mitigare l’afa estiva. Ma da quando furono turbate le naturali armonie del suolo, da quando l’ingordo e cieco egoismo del governo lasciò che si abbattessero le piante delle foreste secolari, venti e acque impetuose, siccità inaudite, decimarono i prodotti della terra, decimarono la vita ai coltivatori, ai pastori e ai loro animali.
Francesco Dore denuncia anche la piaga degli incendi, ad opera di criminali che rimangono impuniti, poiché l’impunità «s’è in costume di largire ad ogni reato in genere, a questi in particolare». È convinto che il clima sia uno dei fattori «del sensibile indebolimento delle nostre forze vitali, ma non il principale né uno dei maggiori», perché è soprattutto l'inadeguata alimentazione la principale causa della debolezza costituzionale della popolazione.
Il n. 7 del Risveglio del 26 novembre è sottoposto a sequestro dalla procura cagliaritana, per «qualche aspra parola» a commento del discorso della Corona che «mirava ad offendere la sacra persona del Re e a distruggere il nostro regime monarchico costituzionale». Per giustificarsi e alla ricerca di «un parere spassionato», la direzione del Risveglio invia l’articolo incriminato a cinque colleghi della «stampa continentale». A dire il vero i toni dell’articolo in questione – che provocarono il sequestro del giornale – non possono definirsi pacati. Il discorso del re è infatti visto come «uno dei soliti ignobili artifizi di Depretis» e parla di pace «senza argomentare contro i timori di guerra», esalta la pubblica ricchezza senza accennare alla miseria crescente.
[Continua]
© 2015 Copyright Salvatore Murgia
Tutti i diritti riservati del testo e delle immagini