Nel resoconto per l’anno 1882, letto dal segretario Agostino Melis nella seduta del 13 marzo 1883, in presenza dell’arcivescovo Berchialla, si afferma che in tempi recenti il Circolo di San Saturnino era entrato in letargo e «menò una vita sì debole e fiacca che, in qualche momento la si poteva confondere coll’inerzia stessa della morte». Da notare che dai verbali delle sedute del Circolo nell’estate e autunno 1882, non risultano discussioni sulla preparazione del nuovo giornale, eccetto il 4 settembre 1882, quando si parla laconicamente di spesa anticipata per Il Risveglio. Fatto notevole, non vi è alcuna traccia neppure in occasione del sequestro del periodico avvenuto a fine novembre 1882. Nella seduta dell’8 marzo 1883, si ritorna sul tema un’unica volta: «Non si accordò alcun sussidio al Risveglio perché facilmente passerà in mani diverse che non avranno bisogno di verun sussidio». La dichiarazione secca, quasi perentoria, sembra suggerire un brusco cambio di rotta, in qualche modo confermato dall’editoriale non firmato del 20 marzo 1883: la nuova direzione si proclama cattolica, apostolica e romana, ma anche «monarchica senza intingoli di sorta: e soggetta ossequiente alle leggi che sono leggi»; si dichiara poi italiana e sarda «perché la Sardegna per grazia di Dio è parte dell’Italia».
Da quella data il giornale non dà alcuna indicazione della nuova direzione, solo in ultima pagina compare sempre il nome di Agostino Melis gerente responsabile. Dal marzo 1883 non figura più lo pseudonimo di Eliséo. Molti anni dopo, lo stesso Dore sulle pagine dell’Ortobene testimonierà che Il Risveglio conobbe due periodi di vita assolutamente diversi e quasi contrastanti: sorse con carattere apertamente democratico cristiano, e si mantenne tale sino a che fu redatto dal trinomio Dore-Borgna-Depau, «prese poi indirizzo di rigida intransigenza temporalistica quando andò in mani all’arcivescovo Berchialla», e in pratica divenne «organo ufficiale della Curia arcivescovile sotto la direzione di monsignor Canepa».
Tuttavia la partecipazione di Francesco Dore alle sedute del Circolo – in cui ogni tanto figura come presidente - è abbastanza regolare: dai verbali risulta solo che nel primo semestre del 1885 la sua presenza alle riunioni si fa discontinua. È infatti alla vigilia della seduta di laurea, probabilmente gli impegni di studio si fanno più pressanti: infatti conseguirà il grado accademico con il massimo dei voti il 13 luglio 1885.
Ancora studente, nel 1884 era riuscito a far pubblicare un breve saggio contro il giudizio severo sulle università sarde espresso da un docente dell’università di Lipsia. Dore elogia le «piccole università » periferiche dove è più facile la discussione dei casi clinici, in quanto il numero ridotto degli studenti «permette al professore di seguire per mano i loro primi passi nella pratica».
Sugli anni di scuola a Cagliari, Francesco Dore racconterà un gustoso episodio di cui fu protagonista sessant’anni prima e che merita di essere ricordato. In una splendida mattina d’agosto un gruppetto di studenti vocianti, tra i quali il sedicenne Francesco Dore, si era dato appuntamento sulla banchina del porto di Cagliari: «Mi erano compagni di viaggio l’indimenticabile amico e maestro mio e di un mio fratello, a Cagliari, Giuseppe Pinna, i tre fratelli Puligheddu di Oliena, i due Musio di Orosei, Vincenzo Spanu di Dorgali e Salvatore Manca di Sarule». Ad attirare la curiosità dei passanti era il loro carico «zingaresco» costituito da una dozzina di valigie e bisacce, e di altrettante damigiane vuote destinate alla provvista di buoni vini, che speravano non di comprare ma di ottenere dalla generosità delle famiglie amiche. I giovani naviganti, quasi tutti montanari della Barbagia, erano al loro primo viaggio in mare. Decisero di puntare verso Orosei, ma una furiosa tempesta scoppiata improvvisamente li sbatté sulla spiaggia di Siniscola. Da lì percorsero i circa sessanta chilometri di cammino che li separavano da Nuoro. Passando per la valle di Marreri Francesco Dore fu sorpreso e ammirato dell’azienda agricola del rettore Satta Musio di Orune, per il giardino ornato da splendidi filari di rose e fiori di ogni genere e per le volte della casa padronale affrescate da Giovanni Marghinotti, il pittore sardo più rinomato dell’epoca.
Pochi mesi dopo il conseguimento della laurea, nel dicembre 1885 Francesco Dore è vincitore del concorso per la condotta medica di Orune, sede molto ambìta, perché il comune conta 2500 abitanti ed è detentore di un cospicuo patrimonio boschivo, dal cui sfruttamento può ricavare annualmente notevoli introiti a favore del civico bilancio. Il dottor Dore può infatti disporre di un ambulatorio moderno, tra i più forniti e attrezzati del circondario, dove è possibile preparare i prodotti galenici meticolosamente triturati e mischiati sulla lastra di marmo e poi pesati sulla bilancina di precisione.
Il villaggio «con le sue casette rossastre fabbricate sul cucuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio. Ai suoi piedi i torrenti precipitavano rumoreggiando nella vallata, e in lontananza, nelle pianure e nell’agro di Siniscola, le paludi e i fiumicelli straripati scintillavano ai raggi del sole che sorgeva dal mare». Così vedeva Orune Grazia Deledda quando vi ambientò Colombi e sparvieri (1912), proprio negli anni in cui Francesco Dore operava come medico condotto. A Orune è il vento il protagonista, il vero dèmone quando avvolge in un impeto le case, e tenta di penetrarvi dai pertugi delle finestre ben serrate. Allora per le strade non s’incontra anima viva. Per questo gli uccelli hanno una stagione brevissima, solo le lucertole si trovano a loro agio.
Ma nella seconda metà dell’Ottocento Orune è un crogiolo di contraddizioni e di contrasti irriducibili. Un grave motivo di conflitto nasce proprio intorno all'ingente patrimonio boschivo comunale, sul cui sfruttamento sorgono insanabili rivalità tra pastori e contadini, oltre a contenziosi tra amministrazione comunale e governo centrale. Nello stesso periodo a reggere la parrocchia si avvicendano sacerdoti incredibilmente inadatti al ruolo, sovente in aperto contrasto con il loro vescovo, che dal pulpito arrivano persino ad istigare i fedeli alla violenza, all’odio e alla ribellione verso l’autorità costituita.
Il rettore Satta Musio - circondato da un’aura di leggenda nera - fu vittima di un efferato assassinio al ritorno dalla tenuta di Marreri, quella stessa tanto ammirata dal giovane studente Francesco Dore. E quando un successore di Satta Musio, il prete Fedele Nieddu fu destituito per indegnità , sorprendentemente a Francesco Dore fu affidato l’incarico di regio commissario per l’amministrazione della chiesa parrocchiale. In pratica il dottor Dore non si limita a svolgere il proprio compito istituzionale di medico condotto, ma diventa una figura di primo piano nella vita civile della comunità orunese. Gode della fiducia della popolazione su cui esercita autorità morale, è prudente nell’agire e mostra particolare sensibilità verso i temi sociali. È uno degli artefici delle paci di San Giovanni del 1897, che mettono fine ai dissidi fra le opposte fazioni del paese e suggellano la riconciliazione tra Orune e Bitti.
Quasi sul finire del secolo Francesco Dore sposa Maria Giannichedda, giovane maestra di Sassari giunta da poco a Orune. Maria proviene da una famiglia di muratori socialisti, parteggia apertamente per la causa del popolo, ma è cattolica di fede genuina. Sarà prozia di Antonio Pigliaru da parte materna.
E così una mattina d’estate del 1898, il trentottenne Francesco Dore e la ventiduenne Maria Giannichedda si presentano davanti al sacerdote che benedice le loro nozze. Dopo una semplice colazione, il marito prende congedo dalla sposa per qualche ora perché deve fare il giro dei malati: a quei tempi non era facile trovare un sostituto. Questa sarebbe stata la prima di una serie di rinunzie, alle quali Maria si sarebbe sempre adattata.
È ben strano questo medico di Orune che fa parte della Confraternita di Santa Croce, prende in sposa un’ammiratrice di Turati, non manca mai alla messa cui partecipa «sempre in piedi eccetto che alla predica», ma è impaziente di correre a Dorgali per salutare calorosamente Felice Cavallotti.
A Orune nasceranno i loro sei figli. Giampietro (1899-1974), Peppina (1900-1982), Raffaela (1905-1972), Antonio (1906-1997) e Grazia (1908-1984). Il terzogenito Giuseppeddu morirà in tenera età . Tutti sono destinati a diventare figure di primo piano in ambito giornalistico, politico, religioso e letterario.
[Continua]
© 2015 Copyright Salvatore Murgia
Tutti i diritti riservati del testo e delle immagini