Qualche mese fa, in vista delle elezioni comunali, la curiosità popolare portava inevitabilmente a domandare ad Efisio se da parte sua potesse esserci una ricandidatura. Davanti alla nuova responsabilità nel governo regionale, con simpatia, la risposta dell’ex sindaco era quella di volersi dedicare giustamente alla famiglia, altrimenti «est abberu chi Tiziana mi che boca fora dae dommo», affermava. Un desiderio ribadito anche in occasione dell’ultimo consiglio comunale della precedente amministrazione: momento importante e toccante, dove la priorità non sembrava quella di elencare gli obiettivi raggiunti, ma esprimere vicendevolmente la riconoscenza per la bella esperienza condivisa nei cinque anni. Sempre qui, Efiso, non ha dimenticato di ringraziare la moglie, per la presenza costante, per la pazienza, per il supporto morale e professionale. Glielo raccontai confidenzialmente all’interessata, con una battuta; e lei, sempre composta ed elegante nei modi, non rilasciò lunghe dichiarazioni… sorrise bonariamente, con quegli occhi meravigliosi che nessuno potrà dimenticare.
L’arrivo dell’attuale primo cittadino, candidatosi con un’unica lista, sempre in quel 25 settembre fu interpretato come una conquista: segno di unità e di continuità che permetteva al sindaco uscente di lasciare l’incarico con tranquillità e potersi dedicare alla vita matrimoniale, certo della fedeltà di una donna che avrebbe continuato a seguirlo ovunque, non solo negli spostamenti dentro l’isola, specie verso Cagliari, ma negli ideali e nella passione per il bene comune. Era chiara l’aspettativa di vivere ancora la bellezza di un amore sincero fatto di piccoli gesti, preziosi davanti alle soffocanti priorità istituzionali della politica, per ritrovare la meritata intimità senza grandi pretese, ad esempio facendo due passi, condividendo in semplicità lo stare insieme dopo il sudore tra le carte, protocolli e documenti… camminare immersi nell’incantevole natura, respirandone l’aria salubre che sazia il cuore di genuinità , la base di ogni rapporto autentico. Attimi puri e ristoranti, dove ci si attende di rientrare a casa con nuovo vigore, incoraggiati e sereni; istanti dove la spensieratezza illuminata dalla compagnia non considera minimamente sorprese tragiche e incomprensibili, brutali e misteriose.
Che l’uomo non conosca né il giorno né l’ora della sua chiamata finale è stato il primo messaggio della liturgia all’inizio del tempo di Avvento: solo tre giorni fa, celebrando la prima domenica dell’itinerario verso la Natività , in tutte le chiese si proclamava, grazie alla testimonianza di San Marco, «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento». Facile per un sacerdote preparato sfoggiare le sue competenze bibliche e teologiche per offrire nell’omelia un commento chiaro e ineccepibile di un passo del genere, o per un prete meno ferrato propinare elementi generici e superficiali sull’escatologia; un po’ più complesso quando la teoria si applica concretamente ad una verità che interessa direttamente una moglie premurosa, una figlia stimata, una sorella dolce, una zia affettuosa, una lavoratrice costante, una parrocchiana generosa, una donna ospitale. Non è la preparazione più o meno accertata del prete a spiegare la parola di Dio, ma l’esempio di testimoni silenziosi definiti «santi della porta accanto» a far capire cosa ci chiede Dio. Volontà umanamente inesplicabile e inaccettabile davanti a circostanze infauste e improvvise, nelle quali è lecito chiedersi «Ma cosa vuole questo Dio da noi?»; interrogativo che martella anche nella testa dei suoi ministri. Un anno estremamente pesante, ferito dalla paura della malattia e colpito dalle recenti catastrofi ambientali nella nostra terra: eventi che destabilizzano la pace dentro le mura domestiche e ci fanno intravedere una sorta di presagio di sventura che potrebbe non lasciarci esenti, coinvolgendoci in prima persona. A questo proposito, si consideri che l’Avvento è nato proprio in un momento critico della storia a causa di incolumità , malattie, attacchi nemici e fame da far immaginare imminente la fine del mondo e Papa Gregorio Magno, l’evangelizzatore della Barbagia, ritenne importante rafforzare l’insegnamento della fede cristiana sulle realtà ultime, per vincere la paura e proclamare la prossimità del regno.
Pare non sia necessario che la Scrittura impartisca lezioni sull’imprevedibilità della vita: per coloro i quali non sfogliano il testo sacro basta udire un’ambulanza in corsa per ricordarci quanto è incerta l’ora della nostra morte, sirene che da qualche tempo fanno venire la pelle d’oca, perché abbiamo paura: non lo si può nascondere e non ci si deve vergognare. È più urgente capire cosa significhi «vegliare». In quei cinque versetti della pericope succitata, l’imperativo è ripetuto per tre volte: «Vegliate… Vegliate, dunque… quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!». L’essere pronti non è un’improvvisazione, ma un impegno costante, spontaneo e puntuale; una tensione da vivere ogni giorno, nella soddisfazione di aver potuto cogliere ogni secondo come un’opportunità unica e irripetibile, da non perdere.
Tiziana era una di quelle che non ha mai sprecato nulla. Sempre accanto, con discrezione e nascondimento. Particolarmente vicina al marito, non di certo come una first lady: chiunque, in Sardegna e fuori, conosce Arbau e, al di là di bandiere e schieramenti partitici, se ne apprezzano le sue intuizioni politiche sagge e lungimiranti; non tutti sanno che dietro ogni proposta c’era Tiziana, con la sua dolcezza e la sua sapienza! Dalle strategie amministrative alla camicia da indossare, dalle incombenze giuridiche alla cena pronta, sempre lei. Amore vissuto con spirito di servizio pure nei confronti dei genitori, dei fratelli, dei tanti nipoti, dei parenti, degli amici di Ozieri e di Ollolai. Tra l’altro, una giovane di grande fede e umile preghiera, attivamente partecipe alla vita pastorale della parrocchia, soprattutto quando si trattava di realizzare opere caritatevoli. L’autore del Libro dei Proverbi scrive «Una donna perfetta, chi potrà trovarla?». Efisio l’ha trovata; o, meglio, da lei si è lasciato trovare. Talenti e qualità , quelli della nostra sorella estinta, che cancellano le fragilità della condizione umana, ma allo stesso tempo accrescono il dolore sempre in nome della creaturalità e finitudine che ci caratterizzano.
Il vuoto che lascia la sua dipartita non è descrivibile: a distanza di quaranta ore ci ritroviamo increduli, incapaci di realizzare quanto sia capitato. Tentiamo comunque di non adirarci soltanto; vorremmo ringraziare il Signore per avercela donata. Tale propensione spiega le pagine di necrologi, gli infiniti messaggi, le pubblicazioni social, la grande folla che all’esterno del nostro edificio sacro è convenuta per l’ultimo saluto, unendosi al rito funebre attraverso gli altoparlanti. Tantissimi, iniziando dalle autorità istituzionali, politiche, militari e religiose, per dire al marito, a tzia Gonaria, ai familiari tutti: «Non siete soli». La partecipazione alla Messa e la presenza spirituale di coloro che assicurano il suffragio da casa nel rispetto della profilassi sanitaria è il miracolo che Gesù, pieno di compassione, compie per saziare la nostra fame di pienezza. Come la folla descritta oggi da San Matteo nel brano poc’anzi ascoltato, così noi abbiamo bisogno di essere nutriti nell’anima; e come il Maestro compie la moltiplicazione grazie ai pochi pani e pochi pesci messi a disposizione dai discepoli, così la nostra solidarietà , apparentemente insufficiente, sarà il canale della misericordia divina affinché, come dice lsaia nella Prima Lettura, la morte sia eliminata per sempre e vengano asciugate le lacrime da ogni volto.
Che Natale sarà il 25 dicembre? Non ci importano le beghe su orari e sui numeri dei posti a sedere a tavola: con rispetto e obbedienza, ci fideremo di quanto sarà decretato per la tutela della salute pubblica. Ci interessa di più la salute spirituale: sarà il Natale dove nelle tenebre del mondo di oggi Dio porterà ancora Luce con la tenerezza del Bambino; dove ci preme lasciarci guidare dal Buon Pastore, come lo presenta oggi il salmista (immagine che l’avvocato-pastore conosce bene) e che si fa Agnello per redimerci dal male e restituire speranza. «Consolamini, consolamini, popule meus: cito veniet salus tua».
Luca Mele