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La nuova sardegna. Pd, Silvio Lai minaccia di non candidarsi

Rivolta contro le 4-5 candidature esterne. Milia: «Voterò contro». Anche altri partiti attendono le decisioni nazionali

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di Filippo Peretti

CAGLIARI La festa delle primarie è già finita, il Pd sardo è ora in rivolta sulle candidature. Dopo il voto unanime della direzione regionale di sabato, il segretario Silvio Lai minaccia una decisione clamorosa: la rinuncia a presentarsi alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. «A questo punto – ha dichiarato – accetterei solo se le liste fossero condivise dal partito nell’isola». Il superbersaniano Lai (che lo stesso leader nazionale ha candidato come capolista assieme agli altri segretari regionali) sarà oggi a Roma per un estremo tentativo di evitare l’invasione di candidati esterni. Di 4 o 5 forestieri non ne vuole neppure sentire parlare, al massimo – in linea con la direzione regionale – potrebbe accettarne uno, possibilmente sardo (qualcuno ha parlato del vice capogruppo al Senato, Luigi Zanda, cagliaritano), il quale, forse informato del clima di rivolta, aveva comunque prudentemente fatto sapere di non voler pestare i piedi a nessuno. L’arrivo di candidati esterni ridurrebbe di molto la possibilità di elezione dei partecipanti alle primarie. Ad esempio verrebbero escluse tre precise aree del partito nell’isola, quelle rappresentante da due deputati uscenti (Siro Marrocu, ex pci, e Paolo Fadda, ex popolare) e del renziano sassarese Gavino Manca. C’è anche da tenere conto che il Pd, nell’ultima legislatura, ha fortemente criticato il Pdl che nel 2008 aveva imposto candidati esterni (ed erano “appena” tre). Domani a decidere sarà la direzione nazionale. Ne fa parte anche l’ex presidente della Provincia, Graziano Milia, il quale ha detto di essere pronto a votare contro la proposta di lista: «La mia posizione è netta e senza possibilità di mediazione, se non quella di un/una capolista al Senato comunque riconducibile alla Sardegna. I motivi sono semplici e risiedono anzitutto nelle battaglie che ho sempre fatto a favore di un partito della Sardegna autonomo e federato con un patto ben chiaro con quello nazionale». E inoltre «la Sardegna sta vivendo un momento terribile con rapporti con lo Stato che mai hanno raggiunto così bassi livelli di intensità, ha, dunque, bisogno di una delegazione forte e coesa estesa a tutti i partiti per far valere le proprie ragioni e non può quindi permettersi di dare rappresentanza ad altre esigenze al di fuori delle proprie». In cambio del «sì» a un esterno, Milia propone di chiedere al Pd nazionale la riforma elettorale che per le elezioni europee garantisca seggi sicuri alla Sardegna. La battaglia non è facile perché riguarda quasi tutte le regioni. «Ma noi siamo diversi», ha detto Silvio Lai, dimostrando un po’ di ottimismo. C’è tensione alta anche in altri partiti. Secondo indiscrezioni, ieri la sede centrale dell’Udc avrebbe dovuto ricevere i nomi dei candidati sardi, ma dall’isola non è stato trasmesso niente. Sembra che il segretario Giorgio Oppi (che oggi sarà nella capitale) voglia conoscere prima i criteri scelti per procedure alle candidature vere e proprie. Oppi deve discutere sia dei candidati della Camera (l’Udc si presenta da sola), sia di quelli del Senato: per Palazzo Madama la coalizione che sostiene Mario Monti si presenta sotto un unico simbolo e c’è naturalmente grande battaglia anche in Sardegna, a meno che il capolista non sia Beppe Pisanu, che è sempre stato eletto nell’isola ma che stavolta potrebbe presentarsi nel Lazio. Non è messo meglio il Pdl. Il coordinatore regionale, Settimo Nizzi, sta facendo consultazioni per arrivare, entro due-tre giorni, a una proposta formale di lista. A decidere sarà poi il partito nazionale nella commissione che è capeggiata dal segretario Angelino Alfano e da uno dei tre coordinatori, Denis Verdini. Il Pdl è alle prese con alcuni problemi complessi: la necessità di scontentare molti uscenti (dei 14 seggi del 2008 ne potrà riconquistare 5, massimo 6); l’esigenza di mettere nuovi nomi e di ampio consenso, l’obbligo di rappresentare almeno le 6 province maggiori. Circolano molte indiscrezioni, ma continuano a non esserci certezze per nessuno. Nazionalmente è stato predisposto uno schema di lavoro come filtro su deputati e senatori uscenti: produttività in aula e in commissione, età, numero di legislature. Secondo una previsione, dovrebbero essere favoriti gli uscenti Mauro Pili, Bruno Murgia e Settimo Nizzi (deputati) e il senatore Fedele Sanciu. Ma si è appreso che su Salvatore Cicu (vice capogruppo uscente alla Camera) deciderà Roma se derogare dal tetto di 3 legislature (Cicu ne ha 5). C’è poi la pressione su diversi consiglieri regionali: dal capogruppo Pietro Pittalis agli assessori Simona De Francisci, Alessandra Zedda, Giorgio La Spisa e Antonello Liori.

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