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L'unione sarda. L'ex premier si difende in televisione: «Il Paese è ostaggio di questi giudici»

La rabbia e la delusione dopo lo choc per l'inattesa sentenza di Milano

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ROMA «Una condanna politica, incredibile e intollerabile, da Paese barbaro e incivile». È una reazione durissima quella di Silvio Berlusconi alla sentenza del processo Mediaset che lo condanna a quattro anni di carcere e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Il Cavaliere sceglie la tv per dire la sua. E a stento contiene la rabbia per quella che, a suo dire, è «la conferma di un vero e proprio accanimento giudiziario da parte dei giudici di Milano».
LA DELUSIONE Non lo rasserena la solidarietà di chi gli è a fianco in queste ore e a poco servono gli inviti a non lasciarsi prendere dalla rabbia. L'ex premier, spiegano, è tentato dal desiderio impulsivo di scendere in campo per difendersi. Ma allo stesso tempo vorrebbe tenersi in disparte per «tutelare il partito». Lo stato d'animo muta in continuazione. Lui spiega in tv che «non c'è nessuna connessione» tra la sentenza e il suo passo indietro sulla candidatura a premier.
LE DICHIARAZIONI IN TV Berlusconi usa parole forti per commentare la sentenza di Milano. È un crescendo durante il collegamento telefonico con Studio Aperto, il telegiornale di Italia Uno: è una delle tv del suo impero mediatico coinvolto nell'inchiesta di Milano. Un impero il cui titolo, sulla scorta della sentenza, perde il 3,11% a Piazza Affari. Nel partito c'è chi assicura che dietro la scelta del passo indietro ci sia il pressing dei figli affinché tuteli le aziende di famiglia. La rabbia per la sentenza brucia. Non è la prima volta che l'ex presidente del Consiglio punta il dito contro quello che definisce «uso della giustizia a fini politici». Ma, stavolta, lo sfogo è inarrestabile: «Ero certo di essere assolto da una accusa totalmente fuori dalla realtà. Grazie all'imparzialità di certi giudici un Paese diventa incivile, barbaro, invivibile e cessa di essere una democrazia. Dispiace, ma è così».
LA VICENDA Berlusconi entra poi nel merito della sentenza, per la quale presenterà ovviamente ricorso: «Sulla mia innocenza - dice - ci sono molte prove e due assolutamente inoppugnabili. L'accusa mi vorrebbe socio occulto di due imprenditori americani, uno dei quali io non ho mai conosciuto. E questa accusa non ha nessun riscontro nella realtà. Se io fossi stato socio di questi imprenditori, sarebbe bastata una telefonata ai responsabili dell'ufficio acquisti di Mediaset per far acquistare i diritti televisivi che questi due imprenditori volevano vendere, senza pagare nessuna tangente. Se fossi stato socio di questi imprenditori - sottolinea l'ex premier - sarei subito venuto a conoscenza del pagamento di una tangente, oltretutto così elevata, versata ai responsabili del servizio acquisti, e non avrei potuto far altro che provvedere al loro immediato licenziamento».
LE TOGHE ROSSE «Ho subito più di 60 procedimenti, più di mille magistrati si sono occupati di me - conclude - Il mio gruppo ha avuto 188 visite della polizia giudiziaria e della Guardia di finanza, ci sono state 2666 udienze in questi 18 anni e abbiamo dovuto spendere più di 400 milioni in parcelle di avvocati e consulenti. E poi ci sono i 564 milioni che ho dovuto dare a De Benedetti che non sono la rapina del secolo, ma del millennio».

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