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L'unione sarda. «Una moto maledetta»

Il padre di Simone Sitzia: perché si trovavano su quel bolide? Il babbo di Andrea Deidda: è stato a cena con noi, poi è uscito

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La notizia della tragedia è piombata sulle famiglie dei due ragazzi morti nell'incidente sulla Statale 195 alle otto del mattino. Uno squillo sinistro, poi la voce sconosciuta di un poliziotto e la conferma che la vita di Andrea Deidda e del suo inseparabile amico Simone Sitzia è finita dopo un terribile schianto in moto al bivio di Capoterra, proprio quando ormai erano vicini a casa. Quando la folle notte in sella a una moto avuta in prestito volgeva al termine.
Una morte difficile da accettare per le famiglie delle due vittime, non solo per la loro giovane età, ma perché quei ragazzi non avevano la patente per guidare una moto così potente, in sella a quel bolide non dovevano esserci.
LA DISPERAZIONE Frutti d'Oro I è un dedalo di strade che portano i nomi dei fiori. Simone Sitzia aveva 18 anni e abitava in via Dei Giacinti con la madre Ornella Atzori, il padre Roberto Sitzia e il fratello Christian. Era il primogenito, aveva abbandonato gli studi e ogni tanto si dava da fare pulendo i giardini dei vicini. La casa è un andirivieni di parenti e amici che si stringono attorno alla famiglia. «Simone perché mi hai lasciato, non può essere vero»: le urla strazianti della mamma raggiungono il giardino, dove, nonostante il sole tiepido del mattino, è impossibile non avere i brividi. Gli occhi lucidi degli zii e del nonno rivelano che nessuno ha molta voglia di parlare.
IL RICORDO Il padre, nonostante la rabbia e lo strazio, riesce a raccontare gli istanti in cui ha visto Simone per l'ultima volta: «Ieri sera a cena, poi stamattina ci è arrivata la telefonata della Polizia stradale che ci informava dell'incidente di Simone. Vorremmo sapere perché si trovava su quella moto, avrebbe compiuto 19 anni a marzo». Anche il cugino, Omar Baccoli, ha la forza di dire qualche parola: i due erano coetanei: «Da bambini eravamo molto uniti e trascorrevamo insieme molto tempo, poi ci siamo un po' persi di vista, ma l'affetto è rimasto immutato».
L'AMICO La sciagura si è abbattuta anche su Rio San Girolamo, dove Andrea Deidda, 20 anni, viveva in via Reno con la madre Fabiola Tatti, il fratello maggiore Thomas e il patrigno Massimo Michittu. Lo sgomento dei vicini si tocca quasi con mano: quel ragazzo sempre sorridente lo conoscevano da sempre e non riescono a credere a quel che è successo. Patrigno e nonno di Andrea passeggiano per strada per non stare rinchiusi in casa e farsi assalire dai ricordi. La madre è andata all'obitorio a trovare il figlio più piccolo, quello che le ha dato il dispiacere più grande per un genitore: morire. «Lo abbiamo visto l'ultima volta ieri alle 19 - racconta il patrigno - giocava al piano di sotto con Simone alla Playstation, poi è sparito. Aveva trovato lavoro in una serra di fiori a San Sperate, era contento. Era un bravo ragazzo, non ci dà pace il modo in cui l'abbiamo perduto».
Il nonno materno, Angelo Tatti, quasi per esorcizzare un dolore così grande, di Andrea preferisce ricordare i momenti in cui lo vedeva correre in sella a una bici: «Era una promessa del ciclismo isolano, correva per la Las Vegas di Assemini e faceva incetta di trofei. Poi, come purtroppo capita a tanti giovani, smise di correre e delle sue gare ora ci rimangono solo i ricordi».
Ivan Murgana

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