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L'unione sarda. «Se è stato lui ora deve pagare»

Graziella, la sorella della vittima, sconvolta dal dolore

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dal nostro inviato
Massimo Ledda
GAVOI Il dolore non è lo stesso di cinque anni fa. Oggi è meno violento, più profondo e sordo. Come il lutto precoce di certe malattie che non lasciano scampo. Sfibrano nell'attesa e quando arriva la fine lasciano annichiliti. Da quel maledetto 26 marzo 2008 Graziella Dore si è battuta come una leonessa perché venisse dato un volto agli assassini dell'amata sorella Dina. Senza mai indietreggiare di un millimetro. Ora che la risposta è arrivata, che il cognato Francesco Rocca è finito in carcere come mandante dell'omicidio insieme al 23enne Pierpaolo Contu - uno dei due ragazzini che si sarebbero lordati le mani di sangue per pochi spiccioli - non ha quasi la forza di parlare. «Se è stato lui deve pagare il conto, noi non abbiamo mai cercato vendetta, ma solo giustizia. Le posso dire solo che non abbiamo mai creduto a un sequestro, quello che le hanno fatto non è possibile descriverlo, come l'hanno trattata... ora non sappiamo che dire, se non che siamo sconvolti e che abbiamo sempre avuto fiducia nelle forze dell'ordine e nella magistratura. Ma i nostri pensieri in questo momento sono tutti per Elisabetta, per lei e solo per lei, dobbiamo proteggerla a tutti i costi».
La piccola Elisabetta, la figlia di Dina Dore e Francesco Rocca, oggi ha cinque anni. È una bimba vivace e serena, anche se della mamma probabilmente ricorda a malapena il profumo. Lei era lì, nel garage della casa di via Sant'Antioco, il giorno del delitto. Ma era troppo piccola per capire. Aveva otto mesi e rimase addormentata nel porta enfant mentre Dina veniva stordita con una roncola, poi mummificata con dello scotch e caricata dentro il bagagliaio dell'auto dove morì soffocata. In tutti questi anni ha vissuto col padre e coi genitori di lui.
Ieri mattina la sorella di Francesco Rocca è andata a prenderla all'asilo e l'ha portata a casa di zia Graziella. «Per ora starà con noi, poi non so cosa succederà, le racconteremo le favole e per lei sarà una vacanza». Graziella non vuole aggiungere altro. Lascia che a parlare sia la figlia Giulia, 22 anni, che di Dina era la figlioccia. «Per me era come una seconda madre - dice mentre gli occhi neri trattengono a fatica le lacrime -, e ancora oggi se ripenso a quel giorno non mi sembra vero, mi sembra un orribile film». Giulia è una ragazza dolcissima. E nelle sue parole non c'è traccia alcuna di sentimenti come rabbia e rancore. «Noi volevamo la verità, ma di tutte quelle possibili questa è di gran lunga la peggiore, quella che non avremmo mai voluto sentire. Soprattutto pensando a Elisabetta, che al padre è legatissima. Ora aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso, ma in ogni caso è una magra consolazione, visto che nessuno ci riporterà a casa Dina». Inutile chiederle se in famiglia avessero sospetti su Francesco Rocca. Emerge dalle carte, visto che Francesco Zurru, marito di Graziella e padre di Giulia, ha dato un contributo fondamentale alle indagini: fu lui, lo scorso novembre, a raccogliere la confidenza del testimone chiave, un uomo che aveva saputo dal figlio del presunto coinvolgimento di Contu nel delitto. Ma i parenti di Dina non lo diranno mai pubblicamente. Giulia ammette solo quello che in paese tutti sanno. E cioè che i rapporti col marito di Dina si erano raffreddati tantissimo negli ultimi anni, soprattutto dopo che Rocca, nel febbraio 2009, si candidò alle regionali nelle liste di An. «Non so dire esattamente da quando c'è stato l'allontanamento, però è vero che non abbiamo preso bene il fatto che si fosse candidato a neanche un anno di distanza dalla morte di Dina, c'è sembrato un gesto, per così dire, poco delicato. E non solo a noi: tutto il paese l'ha vista come una mancanza di rispetto. Comunque i rapporti, seppur minimi, sono rimasti sempre civili, lui portava la bambina una volta alla settimana da mia nonna, era l'unica occasione in cui lo vedevamo, anche se solo per pochi minuti».
La notte del 26 marzo 2008, davanti al corpo senza vita della sorella, Giuseppe Dore gridò contro il cielo. «Maledetti, maledetti siate. Hanno ammazzato anche me stanotte, ci hanno ucciso tutti e due Dina, che non lo scopra chi è stato perché io non potrò mai perdonarlo, a costo di farmi la galera, tanto sono già morto». Ieri, entrando a casa dell'anziana mamma Angela Marchi, rimasta vittima di un piccolo incidente domestico, il suo volto è duro come il granito. «Non c'è nulla da dire, questo non è il momento di dire nulla». In cinque anni di parole se ne sono dette tante, forse troppe. Ora è il tempo del silenzio.

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