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L'unione sarda. Omicidio Carta, Batzella confessa «Doveva essere un sequestro»

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«Niveo a casa sua propose a me, Piras e Lecca di uccidere Gianluca Carta. Eravamo tutti contrari: Carta non ci conosceva e non poteva riconoscerci. Allora Niveo disse che andava bene». Però le cose finiscono diversamente: «Stavamo organizzando un sequestro che poi è diventato omicidio. Niveo disse: è per oggi . Poi non ci diede alcuna spiegazione sul perché» dell'assassinio. Un delitto il cui movente è stato identificato dagli inquirenti nei dissapori legati al mondo dei night club tra assassini e vittima, ma che forse ha avuto origini diverse: «Secondo me era più la droga il vero movente».
INTERROGATORIO Sabato 26 ottobre, terzo piano del palazzo di giustizia di Cagliari, stanza del sostituto procuratore Maria Virginia Boi. Seduto sulla poltrona che dà proprio sulla scrivania del pubblico ministero c'è la persona il cui racconto sta definitivamente svelando genesi, organizzazione e sviluppo di un omicidio commesso nel maggio 2011, rimasto insoluto per un anno e ormai quasi risolto. L'uomo che sta rispondendo alle domande di inquirenti e investigatori, forse spinto a farlo da altre rivelazioni dei giorni immediatamente precedenti oppure crollato sotto il peso del rimorso, si chiama Gianfranco Batzella, ha 39 anni, è di Elmas. Soprattutto, è nipote di Niveo, 56 anni, di Assemini, apicoltore e con fama di mammasantissima: sarebbe stato proprio quest'ultimo a voler vedere Carta morto, a formare la banda, preparare l'agguato sulla statale 130 durante la notte tra il 17 e 18 maggio 2011, portare la vittima lontana da occhi indiscreti e farla fuori. Il nipote faceva parte integrante di quel nucleo di malviventi, formato anche da Enrico Lecca (24 anni, gommista di Elmas, primo a parlare col pm e svelare i dettagli della vicenda lo scorso aprile) e Michele Piras (23 anni, di Assemini, ultimo a essere chiamato in causa ma fondamentale: la sua ricostruzione la notte del 25 ottobre ha consentito di incastrare gli ultimi elementi al posto giusto e ha dato il via all'interrogatorio di Gianfranco Batzella il giorno successivo). Il racconto reso venerdì scorso al pubblico ministero è decisivo: è la versione di chi vive in diretta l'organizzazione del delitto, vede il principale indagato pulire il fucile dopo l'assassinio, indica un movente alternativo a quello del mondo a luci rosse e inserisce chi ha partecipato alla spedizione in un contesto deliquenziale abitudinario, fatto anche di fucilate contro la caserma dei carabinieri di Decimomannu nel gennaio di quest'anno. Di chi, in definitiva, viveva a stretto contatto con Niveo Batzella e ha partecipato con lui a una rapina all'istituto di suore di Sant'Andrea Frius e a un fallito sequestro di persona a scopo di estorsione nel capoluogo (quello dell'imprenditore caseario Ferruccio Podda lo scorso febbraio) prima di programmare un assassinio che ha mandato tutti dietro le sbarre.
LA DROGA Così si torna all'inizio, a quando si comincia a organizzare il sequestro «che poi è diventato omicidio». In un primo incontro tra Niveo e Lecca si discute apertamente «di prendere Carta per rapinarlo e ucciderlo». Il 59enne provava un forte rancore nei confronti dell'imprenditore di Assemini. Circa un anno prima il night di Niveo Batzella era stato preso di mira da qualcuno che aveva esploso contro le sue porte alcune fucilate. Il locale era chiuso da allora e il proprietario aveva ritenuto colpevole proprio Carta, a sua volta titolare di un night a Domusnovas. Si era pensato subito a questo come causa scatenante del delitto, però il nipote Gianfranco indica anche «la droga» come movente, perché lo zio vende «cocaina ed eroina. Secondo me questo era il vero movente». Comunque: «Serviva una quarta persona per l'omicidio. Lecca disse di non mettere in mezzo il suo amico Paolo Coraddu ( attualmente indagato e tirato dentro l'inchiesta proprio da Lecca ) perché il padre aveva avuto problemi con Carta. Così propose Michele Piras». Il primo incontro è utile per valutare la sua affidabilità, poi in altre occasioni - sempre a casa di Niveo - il ragazzo e Lecca descrivono i controlli in corso sull'imprenditore. In un'occasione mostrano anche a zio e nipote la posizione dalla quale osservavano i movimenti della vittima. I due sapevano dove abitava.
«NON SAPEVAMO» Grazie ad altre testimonianze si sa come è avvenuto l'agguato: con una Fiat Punto rubata a Quartu, Piras e Lecca speronano la Mercedes di Carta intorno all'una del mattino del 17 maggio 2011 (la vittima designata sta andando a Domusnovas a lavorare), mentre i due Batzella sono alla guida di un Doblò col quale bloccano la berlina dalla parte anteriore. L'imprenditore scende, viene fermato, caricato sul furgone e portato via. Piras ha spiegato al pm di essere andato via, per bruciare la Punto, quando ancora Carta era vivo e discuteva coi Batzella di denaro. Poi, quando lui e Lecca erano tornati indietro a cercarli, non c'erano più. «Abbiamo saputo dell'omicidio due giorni dopo, non credevamo l'avrebbero ucciso».
«L'ABBIAMO UCCISO NOI» Ma Gianfranco spiega le cose in modo diverso. Per il sequestro serviva un mezzo adeguato e fu Lecca a procurare le informazioni necessarie a procurare il Doblò. «Dopo dieci giorni tutti e quattro lo liberammo all'interno». Coraddu, il giovane che per Lecca «era il migliore amico», al quale il gommista si rivolgeva sempre considerandolo quasi un fratello e che invece alla fine proprio lui aveva coinvolto nella vicenda, «non c'era al momento del furto del Doblò e neanche durante l'agguato». Bloccato Carta, portatolo via in terreno dove c'era «la lapide di Baldussi» (Tiziano, ucciso nel 1996: delitto irrisolto) e ordinato a Lecca e Piras di tornare indietro a bruciare la Punto, zio e nipote danno alle fiamme il furgone, quindi tornano verso la statale 130 e vedono davanti alla piazzola in cui Carta era stato sequestrato tre o quattro persone: temono che qualcuno abbia notato l'aggressione, ma proseguono. Nei giorni successivi, Paolo Coraddu intensifica l'amicizia con Niveo. Assieme a Lecca frequenta la casa dell'apicoltore anche di notte. È il punto di appoggio in cui lasciare «i pezzi delle auto che rubavano» e lì riparano anche il veicolo di Batzella. In quella officina «Niveo aveva gli attrezzi per pulire il fucile. Lo pulì dopo il delitto davanti a me». Inoltre Coraddu «sapeva che eravamo stati noi a uccidere. Glielo disse Lecca». Una confessione in piena regola.
Andrea Manunza

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