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L'unione sarda. «Il biogas fa bene all'agricoltura e sostiene l'ambiente»

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Il biogas fa bene all'ambiente ma anche all'agricoltura. La valorizzazione degli scarti prodotti negli allevamenti ha portato i suoi frutti in regioni come il Veneto e la Lombardia. In Sardegna, al contrario, non si comprendono ancora tutte le potenzialità. Ne è convinto Giorgio Asuni, consigliere comunale di Ussana ed esperto in fonti rinnovabili. «Nel Nord Est centinaia di impianti di biogas hanno sistemato le aziende zootecniche locali, da noi invece», e penso ad Arborea, «continuiamo a inquinare lo stagno con l'inevitabile moria di pesci negli allevamenti».
I VANTAGGI Il discorso si fa tecnico, ma i risultati sono convincenti. «Al termine del processo di digestione anaerobica nell'impianto di biogas», spiega Asuni, «si ottiene un sottoprodotto che può trovare un interessante riutilizzo agronomico. In sostanza, il cosiddetto compost, facilmente trasportabile, può essere impiegato al posto dei fertilizzanti chimici, con tanti benefici per l'ambiente».
IL CONFRONTO Bisogna però prendere, come modello, altri Paesi. «In Germania per esempio», aggiunge Asuni, «nell'ultimo decennio c'è stato un boom nello sviluppo del settore: sono stati installati oltre 50 impianti al mese. Oggi sono attivi settemila centrali con oltre due milioni di chilowatt prodotte a fronte di diecimila occupati». La Germania, continua l'esperto, «ha ormai l'obiettivo di produrre il bio-metano per sostituire il 10% del consumo del gas naturale entro il 2030». In Italia, invece? «Si contano un migliaio di impianti soprattutto in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Puglia», dice Asuni. «In Sardegna ne abbiamo appena una ventina». Troppo poco.
L'AMBIENTE Dunque, lo sforzo dell'Isola, ma in generale di tutta l'Italia, si deve indirizzare verso le fonti d'energia rinnovabile. «Le indicazioni per ridurre le emissioni di gas serra - l'obiettivo degli Stati mondiali è di azzerarlo nel 2050 - sono contenute, ormai in modo chiaro, nelle linee guida per la strategia nazionale sul clima al quale le Regioni e gli enti locali si devono attenere», commenta Asuni. «L'energia è uno dei campi fondamentali di queste linee guida e il modo di produrre elettricità contribuisce per oltre il 33% alle emissioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra in Italia».
LE FONTI RINNOVABILI In quest'ottica, le rinnovabili possono mettere le ali, sostiene Asuni, «ma lo sviluppo deve avvenire in una logica decentrata nei territori piuttosto che su grandi impianti». Secondo l'esperto, tra di loro emergono soprattutto «gli impianti cogenerativi a biogas alimentati a biomassa solida: queste centrali dovranno contribuire al risultato nazionale con 3000 megawatt e con una crescita annua di 140 mega da qui al 2020». Tuttavia, per raggiungere un simile obiettivo, conclude Asuni, «rivestono un ruolo essenziale le aziende agricole e le industrie cartarie, alimentari, del legno e del mobilio, che arriveranno a soddisfare la domanda elettrica e termica quando le altre fonti rinnovabili non saranno in produzione per mancanza di sole (fotovoltaiche) e di vento (eolica)».
Lanfranco Olivieri

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