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L'unione sarda. «Mi disse: ho ucciso Dina Dore, ho provato gusto e lo rifarei»

Il teste-chiave: Contu agì su incarico del marito della vittima

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«Mi ha detto di aver ucciso Dina Dore e di aver provato gusto, lo avrebbe pure rifatto».
Il testimone-chiave non arretra di un millimetro. Le sue parole sono accuse che pesano come pietre sul futuro di Pierpaolo Contu. Il suo ex amico lo ascolta da vicino, seduto su una panca laterale nella piccola aula al piano terra del Tribunale per i minori di Sassari dove si svolgono gli interrogatori chiesti dal pm di Cagliari Tronci e dai suoi colleghi della procura minorile Pitzorno e Fenu. Il teste-chiave vorrebbe un paravento, qualcosa che lo protegga dagli sguardi del suo giovane compaesano. Nell'impossibilità di accontentarlo si procede a vista. Ma poco cambia: il testimone affronta con piglio deciso le domande dei pm e degli avvocati nel corso di un inedito doppio incidente probatorio, dalle 9 del mattino alle due del pomeriggio davanti al gip dei minori Palmas, e poi fino alle sei di sera col gip di Cagliari Altieri.
Il teste sa bene che le sue dichiarazioni sono importantissime e conferma tutto quello che aveva dichiarato agli inquirenti quattro mesi fa. Parla senza tentennamenti, prima di fronte a Contu - accusato di aver eseguito a 17 anni su commissione un omicidio aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà - e poi davanti a Francesco Rocca - il vedovo accusato di omicidio premeditato aggravato dal vincolo coniugale per aver ordinato il delitto. È teso il teste-chiave nel ribadire le accuse davanti a Rocca che, provatissimo, non lo degna di uno sguardo mentre Contu, attentissimo, ascolta in silenzio. Nell'aula ci sono anche i fratelli di Dina Dore, la donna di 37 anni soffocata a morte con scotch per pacchi nel garage della sua abitazione di via Sant'Antioco, a Gavoi, la sera del 26 marzo 2008: Graziella, Bruno e Giuseppe vogliono seguire da vicino le indagini, per questo si sono affidati agli avvocati Mariano e Massimo Delogu. In aula c'è anche l'avvocato Giuseppe Gungui, nominato dal tutore della piccola Elisabetta: la figlia di Dina Dore e Francesco Rocca aveva otto mesi quando la madre è stata assassinata davanti ai suoi occhi. Aveva pianto per quasi tre ore prima che il padre la trovasse per terra, sul seggiolone, quando ancora si pensava a un sequestro di persona perché nessuno aveva aperto il bagagliaio della Fiat Punto. Dina era lì, senza vita: forse i banditi volevano portarla via, forse volevano simulare un sequestro, forse qualcosa è andato storto. Forse.
LA CONFIDENZA «Il giorno prima Pierpaolo Contu mi aveva telefonato per dirmi che il 26 marzo non avrei dovuto cercarlo»: il testimone si sofferma sui dettagli. Con Contu si erano sentiti di sera tardi ed erano andati a casa di Rocca. Il dentista piangeva. «Poi sono andato in continente per lavoro, al rientro Pierpaolo mi ha chiamato. Siamo usciti. Dopo aver girato alcuni bar è salito sulla mia macchina. Mi ha detto: tu sei furbo, hai capito tutto. Si riferiva all'omicidio di Dina Dore. Parlava in sardo. Mi ha detto di averlo fatto su commissione del marito, in cambio avrebbe ottenuto la casa del delitto oppure 250.000 euro. Aveva scelto i soldi. Gli ho detto di non dire fesserie ma Pierpaolo ha aggiunto: ho provato gusto, lo rifarei. Dopo qualche giorno sono andato a casa sua: era in bagno, col phon in mano, temevo volesse suicidarsi. Siamo usciti, piangeva, gli ho detto di non fare fesserie perché non sarebbe stato giusto per la sua famiglia».
IL SILENZIO L'avvocato Gianluigi Mastio, in difesa di Contu, e poi Mario Lai e Angelo Manconi, in difesa di Rocca, sottolineano le contraddizioni col racconto di quattro mesi fa su orari, appuntamenti, circostanze, dettagli. Il teste si fa duro, quasi brusco: «Mi sarò spiegato male, mi sarò confuso». E poi spiega il suo lungo silenzio: «Paura, solo paura. Ero molto preoccupato. Ma poi il 2 novembre 2012 sono stato convocato al commissariato di Gavoi, ho saputo che un anonimo faceva nomi e cognomi, anche il mio: diceva che avrei accompagnato Contu all'appuntamento con Rocca che lo avrebbe introdotto di nascosto a casa di Dina. Io non sapevo nulla di quel che riferiva l'anonimo, soprattutto non avevo accompagnato nessuno da nessuna parte ma in quel momento ho capito che si stava chiudendo il cerchio. Non potevo più tacere e ho parlato con mio padre». Che sapeva tutto da quattro anni e mezzo ma solo allora ha trovato la forza per confidarsi col marito di Graziella Dore, Rino Zurru: «Mio figlio era molto scosso, spaventato», ricorda davanti ai giudici. «Un omicidio così brutale compiuto da un suo amico su ordine di un altro amico. Per quattro anni quasi non ha dormito, temeva la reazione di Contu e della famiglia Rocca». Subito dopo Zurru conferma la circostanza che ha segnato la svolta più importante nelle indagini.
LE FIDANZATE I testimoni aspettano il loro turno al secondo piano, arrivano in aula una alla volta, scortati dalla polizia: in un clima tesissimo confermano tutto quello che hanno riferito agli inquirenti quatto mesi fa. La ex fidanzata del testimone-chiave ribadisce di aver saputo da Giovanna Cualbu, la madre di Pierpaolo Contu, del coinvolgimento del figlio nel delitto Dore: «Era disperata, mi aveva abbracciata e mi aveva detto che Pierpaolo era coinvolto. Ero scoppiata in lacrime, avevo paura, per questo avevo interrotto il fidanzamento. Dopo pochi giorni, per tranquillizzarmi, Giovanna mi aveva detto che i due ragazzi non c'entravano niente». Anche la fidanzata di Contu aveva troncato la relazione: «Quando Pierpaolo è stato convocato in commissariato, il 2 novembre, i miei familiari mi hanno costretto a lasciarlo fino a quando non si fosse chiarita la ragione della convocazione. Avevo detto a Pierpaolo di non cercarmi più perché doveva aver combinato qualcosa di molto grave».
Alla fine di una giornata intensa l'avvocato Mario Lai sottolinea il diverso racconto dei cinque testimoni su «circostanze che hanno poco rilievo sul fatto ma che influiscono sull'attendibilità» mentre l'avvocato Mastio lascia intendere che le contraddizioni lasceranno il segno. Però, sull'altro fronte, il pm Tronci appare visibilmente soddisfatto.
Alle 18, quando il doppio incidente probatorio finisce, Graziella Dore non c'è: è scappata via nel primo pomeriggio per andare a prendere Elisabetta. Da quando il padre è finito in cella, il 28 febbraio, la bambina è stata affidata alla zia materna. In attesa del pronunciamento definitivo.
M. Francesca Chiappe

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