«Ma questa norma sul patto di stabilità è un bluff... Una pistola scarica, un mero annuncio». E continuerebbe con altre definizioni, Giulio Calvisi, ma insomma il senso è chiaro: dopo tanti discorsi sull'intenzione di sforare i tetti di spesa, la norma scritta dalla Giunta nel disegno di legge finanziaria «è un pasticcio, che rischia di esplodere in mano a chi l'ha congegnato».
Calvisi non è più deputato ma continua a studiare i conti della Regione, dopo aver seguito dalla commissione Bilancio della Camera i postumi della vertenza entrate. Sulla scrivania dell'esponente del Pd è arrivato il testo della manovra 2013. Compresa la rimodulazione del patto di stabilità . Coi vincoli attuali, quest'anno la Regione può spendere - a parte la sanità - solo 2,51 miliardi di euro, pur avendo molte risorse in più. Questo perché il patto non è stato adeguato alle maggiori entrate. La Finanziaria solleva quel tetto a 3,71 miliardi. «Ma non è vero», protesta Calvisi, «non ci sono effetti immediati sulla spesa».
Lo dice perché la rimodulazione è condizionata al via libera del governo?
«Esattamente. In pratica si dice che la maggiore spesa sarà autorizzata solo se sarà accolta la proposta della Regione di revisione del patto, oppure - se sarà respinta - quando ci darà ragione un giudice. Ma per ora non succede nulla».
Sarebbe stato meglio uno strappo vero e proprio, uno sforamento del patto?
«Per carità , peggio ancora. Si rischiano sanzioni pesantissime. Si cristallizzano le spese correnti ai livelli medi dell'ultimo triennio, sono vietati i debiti per fare investimenti, si bloccano assunzioni di qualsiasi tipo: non potremmo neppure assumere gli stagionali per la campagna antincendio».
Cappellacci dice: meglio rischiare sanzioni future che non poter pagare subito gli stipendi.
«Ma non funziona così. Questo è il ragionamento di chi, per correre a chiudere un affare da 10mila euro, supera in macchina i limiti di velocità anche rischiando una multa da mille euro: ne guadagna comunque 9mila. Ma le Regioni che sforano devono versare allo Stato una somma uguale allo sforamento. Quindi i benefici dello strappo verrebbero annullati. Ma ripeto, stiamo parlando di una norma che è solo campagna elettorale, perché tutto è vincolato alle risposte del governo o di un giudice».
In attesa di quelle risposte, la Giunta non potrebbe comunque finanziare gli investimenti coperti da quel miliardo e 200 milioni?
«Ne discutevo con alcuni tecnici regionali: ipotizziamo anche che la Giunta lo faccia, sarebbe costretta ad accendere nuovi mutui. Perché i flussi di cassa vanno dallo Stato alla Regione, non viceversa».
Detto in termini un po' meno tecnici?
«Poiché è lo Stato che ci trasferisce le risorse, per spendere quei 1.200 milioni non basta dire di poterlo fare. Se lo Stato se li tiene, dobbiamo fare un mutuo, su cui pagheremo gli interessi. Addirittura rischiamo di pagare sia interessi che sanzioni: Cappellacci faccia attenzione perché questa storia è nitroglicerina».
Non pensa che proprio la strada scelta dal governatore possa portare, com'è già successo, a vedere riconosciute le nostre ragioni dalla Corte costituzionale?
«Le nostre ragioni sono già state riconosciute. Lo Stato dice però che, per l'adeguamento del nostro patto di stabilità , non c'è piena copertura finanziaria. Ma sbaglia: per lo Stato il saldo è zero perché non spende più per la sanità e i trasporti della Sardegna, che ora ci paghiamo da noi».
Allora per quale via si può ottenere la dovuta revisione del patto?
«Con una battaglia unitaria in Parlamento, che accerti questa verità contabile, in vista dell'assestamento del bilancio nazionale 2013. Siamo a un passo dalla vittoria definitiva, la Giunta lasci le mosse pseudo-insurrezionaliste e si concentri sulle cose vere».
E del ritorno dell'Agenzia regionale delle entrate cosa pensa?
«Altro fumo negli occhi. Riportano solo in vita l'Agenzia fatta da Soru e cancellata dallo stesso Cappellacci».
Stavolta però con l'obiettivo di sostituire Equitalia.
«Ma quando mai! Per riscuotere noi anche le imposte statali, come in Sicilia, serve comunque una legge nazionale. Vedo molta confusione, quest'Agenzia minaccia di diventare un'Abbanoa della riscossione».
Giuseppe Meloni
