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L'unione sarda:Il crac di Alcoa e Carbosulcis, storia di un colossale imbroglio

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di GIORGIO PISANO
Ottomila posti di lavoro cancellati dalla crisi, il Sulcis somiglia sempre più a una Valle della Morte. Centotrentamila abitanti, disoccupazione (secondo l'Istat) al 19 per cento, è un sogno che si è frantumato: contadini e pastori, a suo tempo orgogliosamente riconvertiti in tute blu, sono diventati niente, schegge impazzite di una terra senza futuro. La situazione è talmente scannata che giornali e televisioni nazionali hanno scoperto all'improvviso quest'angolo di Sardegna e sono venuti ad ascoltare il tam tam funebre dei caschi operai battuti sull'asfalto.
Alcoa e Carbosulcis sono diventate le industrie-simbolo dello sfascio. Nella valanga di parole rovesciate in queste settimane sulle colonne dei quotidiani c'è molta solidarietà verso chi finisce in strada ma nessuna voglia di raccontare cosa c'è dietro questo terremoto. Alcoa e Sulcis avevano un destino segnato?, sono o non sono l'apice di un colossale imbroglio ordito dalla politica ai danni dei lavoratori?, ha senso tenerle farmacologicamente in vita?
Difficile trovare qualcuno che abbia voglia di parlarne fuori dai denti, che se la senta di rivelare i retroscena, ammettere responsabilità proprie e del partito di appartenenza. Dalla Regione, assessorato all'Industria, fanno sapere «a titolo confidenziale che un conto è discuterne a voce, altro conto finire sui giornali». La regola, dunque, è il silenzio, fatta eccezione per i comunicati di rito.
Tore Cherchi, presidente della provincia Carbonia-Iglesias, una delle rarissime facce perbene della politica, accetta l'intervista ad una condizione: che non sia solo un'incursione all'inferno, che si parli anche del Piano-Sulcis (presentato a Regione e Governo) per recuperare almeno duemila posti di lavoro nei settori dell'agrindustria, servizi e turismo. «La Regione ci ha destinato 127 milioni di euro, al Governo ne abbiamo chiesto 300: sono la base per avviare gli investimenti e cercare una via di salvezza. L'ultima».
Sessantun anni, due figli, Tore Cherchi è stato sindaco di Carbonia (eletto quasi per plebiscito), deputato e senatore della Repubblica. È laureato in ingegneria mineraria, specializzato in metallurgia. In piena attività parlamentare, ha frequentato in lungo e in largo le industrie sarde. E va fiero di averlo potuto fare senza accompagnatori, senza apripista. «Entrare nella mensa di una fabbrica, sentirsi ben accolti e discutere faccia a faccia con gli operai è stata per me una grande soddisfazione». Il segno più evidente dell'accettazione, del gradimento. Figlio di un emigrato morto in Germania, si è iscritto al Pci (sezione Karl Marx) che aveva ventun anni e in quell'alveo è rimasto diventando, volta per volta, Pds, Ds e adesso Pd. Di osservanza strettamente bersaniana, naviga sulla rotta della discrezione, non approfitta di un'intervista (e lo vedrete) per massacrare gli avversari politici. Insomma, non risponde al fuoco delle provocazioni.
Cominciamo con Alcoa.
«Allora precisiamo innanzitutto che la metallurgia non è una cattedrale nel deserto. Appare e si evolve in Sardegna a cominciare da due secoli fa. Alcoa, che inizia nel 1995, nasce dopo il default dell'Efim che innescò addirittura una crisi valutaria».
Cos'è l'Efim?
«È l'ente più piccolo delle Partecipazioni Statali, assegnato in dote al Psdi dal Caf, cioè il triumvirato Craxi-Andreotti-Forlani. Alcoa, acronimo di Alluminium company of America, ha 762 lavoratori che varcano ogni giorno i cancelli e, a regime normale, 350 milioni di fatturato».
Contributi pubblici ricevuti?
«Zero. Da diciassette anni non è uscita una lira o un euro dal bilancio pubblico per la metallurgia».
Aspettative di vita?
«Dipende da una decisione politica. Se l'Italia e l'Europa stabiliscono che la produzione di base può andare avanti, ovviamente a tariffe energetiche adeguate, Alcoa può sopravvivere».
Senza nessuna prospettiva di mercato.
«Veramente produzione e consumo di alluminio sono in espansione in tutto il mondo».
E allora?
«Il problema è il costo dell'energia. Che non dipende dall'efficienza dell'azienda ma da qualcosa che si deve acquistare all'esterno».
Sbagliato dire che i lavoratori Alcoa sono stati truffati?
«Diciamo che la politica industriale non ha voluto dare nel tempo una stabilizzazione al problema-energia. In questo senso i lavoratori sono stati certamente ingannati».
I sindacati non hanno la colpa di aver tenuto bordone all'azienda?
«Neanche per un momento. La responsabilità di questa vicenda è tutta della politica energetica italiana. Nel nostro Paese l'energia costa il 35 per cento in più della media europea: bisogna scavare su questo nodo».
Responsabilità dell'ex Pci, no?
«Anche il centrosinistra, quando è stato al governo, non ha contribuito a risolvere il problema-energia. Le responsabilità sono tante. Faccio un esempio, così ci capiamo: in Italia il gas costa più che in Europa perché da noi persiste il monopolio Eni».
Che vuol dire?
«Voglio dire che Eni da una parte ed Enel dall'altra gestiscono, in splendido isolamento, il mercato. Fanno e disfano, come si dice. L'Enel ha in Italia centrali a carbone che hanno costi doppi rispetto a identici impianti esteri».
E la politica asseconda.
«Deve scegliere se avere un sistema energetico efficiente oppure dichiarare che tutta una serie di produzioni della Chimica, della Siderurgia, della Metallurgia, del Vetro e della Carta vanno fatte all'estero. Ecco qual è l'inghippo, o l'imbroglio come lo chiama lei».
Cioè?
«Decisioni d'emergenza che si rinnovano ogni due anni non consentono a nessun imprenditore di programmare a lungo termine. Ecco perché la Politica, e con questo termine intendo Governo e Parlamento, deve uscire dall'eterno faccio-non faccio».
Centrodestra e centrosinistra, cosa cambia?
«Le liberalizzazioni le ha fatte un governo di centrosinistra ma va anche detto che non è riuscito a varare una politica energetica degna di questo nome».
Crede di avere responsabilità personali?
«Sarebbe presuntuoso pensare di non averne».
Sbagliato dire che destra e sinistra hanno spolpato le Partecipazioni Statali?
«Sbagliatissimo. Chiamiamo le cose per nome. L'assalto alle Partecipazioni Statali comincia alla fine degli anni '70 e prosegue negli Ottanta. È targato Caf. Negli anni '90, dopo dissipazioni e sperperi senza precedenti, si chiude un'epoca e inizia la privatizzazione».
Non crede ci sia stato un connivente e criminale silenzio?
«C'era, da parte della politica, una scelta precisa: non far pagare alle industrie il costo dell'energia. Poi, a partire dal 2005, col governo Berlusconi, passa una serie di provvedimenti-tampone, uno dei quali viene sanzionato dall'Unione europea con una multa da 300 milioni di euro».
Tutti assolti?
«No, ma per onestà va precisato che la Metallurgia aveva chiesto la cessione di una centrale Enel per poter autoprodurre l'energia e reggersi sulle sue gambe. La proposta non è stata accolta».
Come uscirne, ora? Chiudere?
«Chiudere in una realtà come il Sulcis sarebbe una follia. Tanto più che la soluzione industriale c'è. Basterebbe che Alcoa potesse costruire una centrale a carbone e produrre energia secondo gli standard europei, cioè 50 euro a megawattora. In questo modo riuscirebbe a stare in piedi».
Veniamo alla Carbolsulcis.
«Nasce negli anni '80 sull'onda del caro-petrolio. Il Governo affida all'Eni un progetto per 25 anni di estrazione, 2.500 occupati e una produzione annua di un milione e 730mila tonnellate. In cambio l'Eni ottiene un contributo di quasi quattrocento miliardi di lire nel 1985».
Come finì?
«La legge che dava vita a questo progetto fu approvata da tutti, me compreso, che, anzi, la ispirai. Un solo voto contrario, quello di Mario Segni».
Mega-operazione assistenziale.
«Non direi. Allora tutto il carbone europeo era sovvenzionato, quello tedesco in modo particolare. Non solo: le miniere del Sulcis figuravano tra quelle più efficienti».
Poi?
«A un certo punto l'Eni decise di disfarsi delle miniere e le scaricò sulla Regione Sardegna guardandosi bene dal restituire il denaro che aveva incassato dal Governo».
Come si può definire un'operazione come questa?
«Un imbroglio, non c'è dubbio. Assieme al senatore Mario Pinna, mi rivolsi alla procura generale della Corte dei Conti segnalando il caso. La Corte dei Conti rispose che la faccenda non rientrava tra le sue competenze».
Non era di sua competenza neanche la storia dei locomotori...
«Esatto, denunciammo anche quella: 25 locomotori pagati dallo Stato, inviati in Sardegna e messi su un binario morto. Non hanno mai fatto un chilometro. Una vergogna».
Tutti sapevate che il carbone della Carbosulcis non vale nulla.
«È carbone solforoso, certo. Negli Usa si usano carboni ad alto tenore di zolfo. Nel mondo le risorse energetiche povere, come il carbone, sono le più abbondanti. Il problema è che bisogna utilizzare le tecnologie».
Ovvero?
«Bisognava e bisogna gassificarlo, il carbone. E anche questo lo sappiamo tutti. L'Eni aveva il compito di riaprire la miniera, l'Enel di avviare gli impianti di gassificazione».
Lei crede al processo di gassificazione?
«Non se ne discute più. L'hanno realizzato all'estero, Enel compresa. Il futuro è nelle nuove tecnologie».
E intanto la miniera muore.
«Il fatto è che l'Unione europea non ammette più alcun tipo di sussidio pubblico. La miniera deve reggersi da sola».
Gli operai sono scesi nei pozzi proprio per questo motivo.
«Certo. Dopo che l'Eni se l'è squagliata, il professor Paolo Savona cercò di privatizzarla ma la cosa non andò in porto. La gestione dell'ultimo decennio è stata particolarmente scandalosa».
Non è populismo d'accatto scendere nei pozzi come ha fatto un deputato?
«Non critico le scelte degli altri».
Benissimo, ma la domanda era un'altra.
«Allora dico che spero l'abbia fatto per altri motivi».
Quando parla di gestione scandalosa a chi si riferisce?
«A viale Trento, alle giunte regionali».
Che sono state, negli ultimi dieci anni, di destra e di sinistra.
«Lo so. In questo arco di tempo la miniera non ha praticamente funzionato: basti dire che ha prodotto 110mila tonnellate in un anno, nel 1998 ne faceva il triplo. La gestione è stata ignominiosamente clientelare».
Da parte di chi?
«Col centrodestra si è toccato il fondo, il centrosinistra non ha fatto granché meglio».
Chi si è distinto sul fronte clientelare?
«La Carbosulcis è stata appannaggio del Pdl. Le correnti del partito hanno litigato di volta in volta su chi doveva diventare presidente».
Adesso la miniera è in coma controllato.
«In attesa che si prenda una decisione. Servono processi tecnologici in grado di garantire un'energia pulita».
Non è meglio farla finita?
«Alla luce della nuova legislazione europea, i dirigenti Carbosulcis dicono di poter arrivare all'equilibrio economico producendo 700mila tonnellate. Dimostrino di poter raggiungere questo obiettivo».
Altrimenti?
«Altrimenti sarà stata un'altra stagione di parole in libertà sulla pelle degli operai».
Ottimista?
«Non eccessivamente. Questa è davvero l'ultima possibilità».
 

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