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L'unione sarda. Killer-delirio: come sta nonna?

IL FATTO. Nella confessione Antonj Muscas ha alternato momenti di lucidità e follia

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dal nostro inviato
Paolo Carta
SERRAMANNA Muto. Per dieci minuti. Seduto su una sedia della caserma dei carabinieri di Serramanna. Assente.
D'un tratto si rivolge al maggiore Gianluca Puletti: «Ma come sta mia nonna?». Un quarto d'ora prima, tranquillo, come se stesse raccontando la trama di un film a un amico, senza rendersi conto di esserne stato il protagonista, Antonj Muscas, ventenne con disturbi psichiatrici, aveva spiegato come era andata la cena del venerdì: «Stavo mangiando un trancio di pizza, mi sono passate per la mente le immagini di tutta la mia vita e ho realizzato: Sono un fallito . Ho preso un coltello e ho colpito mia nonna. Quando si è spezzato il manico, ne ho preso uno più grosso».
IL DELITTO Così è morta Maria Santoro, 65 anni, vedova, madre di otto figli. Compresa Elisabetta, quella che a diciassette anni rimase incinta e che a venti lasciò la Sardegna per andare a cercare fortuna nella Penisola, senza portarsi appresso Antonj, affidato alla nonna. Quella che ieri neppure gli inquirenti riuscivano a contattare a Brescia.
IL DOLORE Ora a Serramanna tutti si interrogano sulla tragedia. Morte annunciata visti i problemi del ragazzo seguito dal Centro di Igiene mentale di Sanluri? Oppure estremo gesto d'amore di una donna nei confronti di un nipote terribile, che lei ha allevato come se fosse un figlio e che non avrebbe mai abbandonato, neppure dopo le minacce e le continue richieste di soldi?
La verità la conoscono in pochi anche nelle case popolari di via 25 Aprile, dove ieri il consueto bazar degli ambulanti brulicava di gente al culmine di una giornata di primavera, e in ogni crocicchio, in ogni gruppo di serramannesi, la domanda era sempre la stessa? «L'hai saputo? Incredibile».
L'ULTIMO GIORNO Perché Antonj Muscas era considerato un bravo ragazzo. Gentile. Premuroso. Con tutti. Soprattutto con la nonna-mamma. Ultimo nato di una famiglia tranquilla, per niente sulla bocca di tutti. Da dieci giorni il ventenne era impiegato come lavoratore socialmente utile nei cantieri organizzati tra mille difficoltà dal Comune di Serramanna. E venerdì, al termine della serata, come ogni giorno, aveva fatto prima una capatina al bar di una zia, nella strada principale del paese, poi si era presentato al bocciodromo comunale.
LE BOCCE Ex promessa, oggi ottimo giocatore di Terza categoria regionale, Antonj aveva sfidato in un singolo il campioncino campidanese, Fabio Serra. «Finita la partita - ricordano Tore Molino e Angelo Medda, colonne della società sportiva - ha salutato tutti. Ci vediamo domani . Poi aveva chiesto il permesso di tagliare alcuni fiori dalle aiuole del campetto. Certo , gli avevamo risposto, ma poi ci ha ripensato e ha preso la strada verso casa». Una tranquilla, normalissima giornata. Diventata poi di straordinaria follia.
Difficile cercare di entrare a fondo nel rapporto tra nonna Maria e quel nipote considerato figlio a tutti gli effetti, il nono di una nidiata bella e numerosa come potevano esserlo solo le famiglie di campagna mezzo secolo fa.
LA NONNA Morto il marito agricoltore, sistemati tutti i figli, Maria Santoro, originaria di Sanluri, aveva dedicato tutta la sua esistenza ad Antonj. Era severa? O troppo permissiva? Gli lesinava i soldi per sigarette e partite a bocce? Aveva paura di quel ragazzo che - stando ad alcune testimonianze raccolte nel quartiere - qualche anno fa aveva dato fuoco al portoncino della palazzina di fronte?
IL RICOVERO Non resta che affidarsi ai documenti ufficiali che parlano per Antonj Muscas di un trattamento sanitario obbligatorio disposto, cioè di un ricovero d'urgenza presso una struttura psichiatrica protetta. Poi le cure al Centro di Igiene mentale. Problemi con la droga? Quasi tutti li escludono, anche per le condizioni economiche del ragazzo che aveva smesso di studiare senza trovare poi un vero lavoro.
Di sicuro era la nonna a seguirlo tutti i giorni, a controllare che prendesse le medicine, diverse pillole. Anche dopo la diagnosi peggiore per Maria Santoro: tumore. Affaticata per la chemioterapia, sofferenze nel corpo e nell'anima, non aveva accettato di trasferirsi a Sanluri da una delle tante sorelle che volevano prendersi cura di lei. «Devo badare ad Antonj».
Lo ha fatto. Sino a venerdì sera. Sino alle 23 coltellate.
No, Antonj, tua nonna non sta più male, ora ha smesso di soffrire.

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