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L'unione sarda. L'Alcoa entra in coma profondo

Da ieri stop alla produzione, 850 lavoratori senza futuro

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Dal nostro inviato
Stefano Lenza
PORTOVESME L'Alcoa si è spenta ieri mattina alle 6,30, quando le ultime nove celle elettrolitiche hanno cessato di funzionare e sono stati bloccati i trasformatori di alimentazione delle due linee produttive dell'alluminio. Stop con un giorno di anticipo rispetto ai tempi programmati. Così, in questo Due Novembre 2012, le 328 celle vuote sanno di loculi dove seppellire ricordi, speranze e sogni di un passato in cui era possibile vivere il presente e costruire il futuro grazie al lavoro in fabbrica.
Il grande stabilimento è come un gigante in coma profondo e nessuno può dire se, e quando, si risveglierà. Antonio Garau, sessantenne, lo ha visto nascere, crescere e decadere. Sposato, due figlie («una laureata e l'altra diplomata») lavora qui da quando aveva 19 anni. «Purtroppo sempre per le imprese d'appalto. Mi mancavano i santi in paradiso per essere assunto dalla casa madre». Che, al suo esordio, era lo Stato imprenditore chiamato a investire nel Sulcis da politici, sindacati e chipiùnehapiùnemetta a colpi di manifestazioni di piazza e iniziative parlamentari. Era terra di miniere e allora si è rimasti nel settore con la costruzione del polo integrato dell'alluminio. Il tutto affidato all'Alumix, società pubblica controllata dall'Efim. «Il mio primo giorno in cantiere è stato il 9 ottobre del 1971: c'era solo un grande sterrato, accatastato qua e là il materiale da montare». Quando lui indossava già la tuta blu, il suo collega Fabrizio Sideri, 40 anni, non era ancora venuto al mondo. «Ho cominciato nel '98». Le cose, a quel punto erano già cambiate. Tre anni prima, sull'onda montante delle privatizzazioni, il liquidatore dell'Efim aveva ceduto l'Alumix agli americani dell'Alcoa per 450 miliardi di lire, più o meno 220 milioni di euro. Bella somma ma comunque inferiore a quella che, negli anni seguenti, Alcoa ha ricevuto dallo Stato: secondo i dati dell'Ue tre miliardi in tutto, uno negli ultimi dieci anni secondo altre fonti. Tanti ma non abbastanza per salvare la fabbrica. Il sostegno pubblico ha consentito, comunque, ad Alcoa di fare utili a palate sino al 2005 e oltre. Poi l'Europa ha contestato gli sconti energetici a carico della collettività e le cose si sono messe male. Nel 2008 la prima crisi cui si è rimediato grazie a un compromesso con Bruxelles. A inizio 2012 l'annuncio della chiusura.
Nel Sulcis non c'è più nulla da spremere e Alcoa migra verso altri lidi: l'Arabia Saudita dove sta costruendo un super stabilimento che potrà gestire a condizioni super vantaggiose. Nel frattempo i suoi 500 dipendenti diretti e i 350 delle ditte esterne non sanno dove sbattere la testa. «Siamo rientrati oggi dalla cassa integrazione e lavoreremo per due settimane. Poi, forse, quindici giorni a marzo», dicono Garau e Sideri. La loro azienda è disposta a pagare per la cassa integrazione anche per tutto il 2013. «Ma solo se avrà certezza sulla riapertura della fabbrica, altrimenti non sborserà più nulla dalla fine dell'anno».
E fino a San Silvestro l'Alcoa terrà in fabbrica il suo personale per la sicurezza e le manutenzioni. Per qualche giorno resterà attiva la fonderia alimentata con l'olio combustibile. Ma marcia al minimo dei giri. «Con solo quattro esterni invece dei normali 11. E da lunedì saranno solo due», spiega Idamo Enna. Dall'89 ha lavorato negli appalti e due anni fa l'Alcoa lo ha assunto. «Pensavo di aver trovato la sicurezza e invece ora me la passo peggio che mai». Anche a Mariano Matta comincia a mancare la terra sotto i piedi. «Da lunedì sarò in cassa integrazione per tre settimane».
«Se la fabbrica chiude non ci resta che emigrare. Qui non ci sono alternative», osserva Giacomo Santus. Diploma di elettrotecnico, lavora per la società statunitense dal '97. A Bolzano sino al 2001, poi è ritornato a casa. Assessore comunale a Perdaxius, convive con la disperazione e vede nero per il futuro. «Su 1500 abitanti, abbiamo 160 famiglie nelle liste della povertà estrema. La gente sta fuggendo e nel 2013 verrà il peggio, quando anche i piccoli risparmi saranno finiti e neppure i Comuni potranno far nulla perché con le varie manovre governative si ritroveranno con le casse vuote».
Allora non resta che sperare nella vendita dell'Alcoa. Il 13 novembre arriveranno a Portovesme i ministri Passera e Barca con il sottosegretario De Vincenti. «Ci auguriamo - dicono i lavoratori - che vengano con qualcosa di concretamente positivo». Nel frattempo non intendono abbassare la guardia.

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