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La nuova sardegna. La sorella: non ho mai perso la speranza

Graziella Dore aspetta l’esito delle nuove indagini. «Farei qualunque cosa per scoprire gli assassini»

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GAVOI «La speranza? Quella ce l’ho sempre avuta, è da quasi cinque anni, ormai, che la coltivo». Incrollabile nella sua fiducia nella giustizia, Graziella Dore, sorella di Dina, è ormai diventata, e suo malgrado, la portavoce di famiglia. Da quando, il 26 marzo del 2008, qualcuno le ha portato via la sorella con la quale condivideva tutto. Progetti, speranze, cenette, ma anche le più semplici dritte per gli acquisti. Ne ha viste e sentite tante, Graziella Dore, in questi lunghi anni dalla morte di Dina: prelievi di Dna in mezza Barbagia, piste investigative finite nel vuoto, sospetti approdati a nulla, sopralluoghi e potenziali testimoni sentiti dagli investigatori. Ne ha viste e sentite tante, ma nemmeno per un solo minuto ha perso la speranza di vederli tramutarsi in un risultato concreto. Così, anche i nuovi sopralluoghi in paese di questi giorni, l’ennesimo giro di persone informate sui fatti, le ennesime ipotesi, scuotono sì Graziella Dore, ma in fondo neanche poi tanto. «La mia convinzione – dice – e questo l’ho ripetuto sin dall’inizio è che non fosse mai stato progettato come sequestro. Che nessuno volesse rapire Dina, ma che la volessero uccidere. E questo l’ho pensato per un semplice motivo: perché si sa che la prima regola per un sequestro di persona è quella di trattare bene il proprio ostaggio, perché sarà quello che consentirà a chi lo progetta, di estorcere denaro. Ho pensato al caso di Silvia Melis, e a quello che era stato detto in quel periodo dagli investigatori. E poi sono arrivata a questa conclusione che ho ripetuto sin dal primo istante, quasi cinque anni fa: Dina la volevano uccidere». E a chi le chiede chi potesse odiare a tal punto Dina da volerla morta, Graziella Dore risponde con un sospiro e con un «non so». E aggiunge anche che forse Dina è stata uccisa perché ha riconosciuto tra i banditi qualcuno che invece non avrebbe dovuto vedere. Qualcuno del paese che magari vedeva tutti i giorni, ne conosceva benissimo le fattezze, magari ci scambiava anche due chiacchiere. «Sono passati quasi cinque anni – aggiunge, Graziella Dore – ma nemmeno per un minuto io ho perso, comunque, la speranza in una svolta. Così come continuo a sperare che chi sa qualcosa possa parlare. Possa confidarmi, con ogni mezzo, qualcosa. Garantirei, ovviamente, la più assoluta riservatezza. Farei qualunque cosa per scoprire chi ha ucciso Dina». (v.g.)

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