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La nuova sardegna. Delitto di Dina Dore: rispunta il movente di un terreno conteso

Gavoi, gli investigatori avevano già percorso questa pista Attesa per gli elementi forniti dai testimoni oculari

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di Valeria Gianoglio

GAVOI Quattro anni e mezzo e due testimoni oculari dopo – quelli che hanno visto scappare tre killer, il 26 marzo del 2008 tra le strade di Gavoi – rispunta anche una vecchia pista investigativa. Una pista che risale a due anni fa e conduceva al mondo delle campagne, a un terreno conteso, e agli interessi della famiglia diFrancesco Rocca, il marito di Dina Dore che in queste ore è stato sentito, per l’ennesima volta, dagli inquirenti. Due anni fa, infatti,nelle indagini per scoprire gli assassini della povera mamma di Gavoi irrompe una lettera. Una busta arrivata dall’Ogliastra con un foglio di carta al suo interno, e una lista di nomi scritti a penna, caratteri grandi, in stampatello. Sono cinque: quattro appartengono ad altrettanti ogliastrini, solo uno, invece, appartiene a un residente di Gavoi. Gli investigatori si mettono subito in moto e scoprono che tutti o quasi, questi cinque nomi, sono a vario titolo legati al mondo delle campagne e a un terreno. Uno dei tanti appezzamenti, a quanto pare, che i Rocca possiedono o hanno acquistato, e che era tuttavia nelle mire di altre persone. A Gavoi, due anni fa, quando era emersa la notizia della lettera, chi conosceva bene la famiglia del marito di Dina Dore lo ripeteva con sicurezza, che i possedimenti agricoli dei Rocca erano stati spesso al centro di beghe di campagna. Ma un caso, in particolare, aveva dato problemi più di tutti: si trattava ancora una volta di un terreno conteso tra più famiglie. Agli inquirenti, già da allora, si erano rizzati i capelli: del resto, purtroppo, si sa come vanno a finire spesso in Sardegna le faccende di campagna. Faide, cavalli sgozzati, sino alla soluzione finale: la vita umana. Ebbene, per quanto terribile e assurda, qualcuno, tra gli investigatori, comincia a coltivare questa pista. A ritenere, cioè, che gli assassini della povera Dina potessero in qualche modo essere arrivati da lì: dal dissidio per il terreno conteso, dalle beghe di campagna, da un odio profondo scatenato per un appezzamento. Poi arriva la lettera con i cinque nomi e questa pista riprende nuova linfa. Siamo nei primi mesi del 2010, due anni dopo la scoperta del corpo di Dina Dore nel cofano della sua auto, in via Sant’Antiocru. Completamente incerottata dal capo alla testa. La trovarono con una mano che era riuscita, in uno straordinario sforzo, a tirare quasi del tutto fuori dalla morsa dello scotch. Due anni dopo arriva la lettera, dunque, e un nutrito gruppetto di potenziali testimoni viene portato di nuovo davanti agli inquirenti per essere interrogato. Lo stesso copione che sta andando in onda in queste ore, a Gavoi. Solo che in quel caso i potenziali testimoni vengono sentiti lontano dal paese, in un “terreno neutro”, perché l’indagine è in una fase delicatissima e nessuno ha voglia di spezzarne il fragile equilibrio. Tra questi testimoni c’è anche un allevatore che tempo prima aveva messo gli occhi su un terreno dei Rocca, ma anche una collaboratrice del dentista gavoese, sentita per la prima volta in assoluto. La pista che porta ai Rocca e agli interessi della famiglia, dunque, non è una novità delle ultime ore. Come molti degli elementi che compongono il puzzle del giallo della morte di Dina, si ripresentano ciclicamente. Ma stavolta, a quanto pare, hanno il conforto di due testimoni oculari, che quella tragica sera di fine marzo avevano visto tre persone scappare per i vicoli della parte alta del paese.

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